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AA.VV., Polis und Moderne. Siegfried Landshut in heutiger Sicht.
Dietrich Reimer Verlag, 2000
di Elena Fiorletta
Pubblicato il 3 - 7 - 2005
Se Polis und Moderne vuol essere un primo tentativo di scoprire dove si
nascondono le tracce del pensiero e dell'opera di Landshut a trent'anni
dalla sua scomparsa e di riallacciare i fili di un pensiero - precocemente
interrotto - sul Politico a confronto con le sfide del Moderno (a cui lo
stesso titolo allude), allora sembra essere un tentativo riuscito. Se poi
tra coloro che vi hanno in qualche modo contribuito figurano anche nomi
importanti come quello di Iring Fetscher o di Shmuel Eisenstadt, allora le
premesse per parlare di una "riscoperta" di Siegfried Landshut sembrano più
solide di quelle che sorreggono solitamente tante "riscoperte e
riabilitazioni" destinate spesso a concludersi senza aver sortito effetti
di qualche rilievo. Polis und Moderne. Siegfried Landshut in heutiger Sicht
(Dietrich Reimer Verlag, Berlin Hamburg 2000, 224 pp.) raccoglie gli
interventi del ciclo di conferenze e del convegno organizzati tra l'11
novembre e il 2 dicembre del 1997 dall'università di Amburgo in occasione
del centenario della nascita di Siegfried Landshut, scienziato della
politica "non-ariano" e pertanto allontanato all'inizio della sua carriera
accademica dall'università e costretto all'esilio nel 1933 insieme a
centinaia di altri intellettuali ebrei. Rainer Nicolaysen, già "biografo"
di Landshut [Siegfried Landshut. Die Wiederentdeckung der Politik. Eine
Biographie, Frankfurt/Main 1997] ha curato anche questa edizione che ha il
pregio di presentare anche un'appendice con la riproduzione di venti
documenti tra lettere personali (prima e durante l'esilio), certificati che
testimoniano dell'allontanamento dall'università di Amburgo, appunti di
lezioni tenute durante il periodo d'insegnamento dopo il rientro in
Germania. L'ordine dei contributi riproduce quello del convegno: prima le
conferenze pubbliche (con gli interventi di Klaus von Dohnanyi, Shmuel
Eisenstadt e Iring Fetscher), poi le relazioni lette durante il convegno
vero e proprio, cui hanno partecipato diversi studiosi, tra cui allievi di
Landshut e autori che si sono cimentati con la sua opera.
Apre la raccolta - di cui ci preme offrire una panoramica il più possibile
completa, anche se non possiamo per ovvie ragioni inoltrarci nelle pieghe
dei singoli ragionamenti - il discorso inaugurale tenuto da Klaus von
Dohnanyi [Haben die Politischen Wissenschaften einen Nutzen für die
Politik?, pp. 7-16], ex sindaco di Amburgo, in occasione dell'apertura del
ciclo di conferenze. Pur trattandosi di un discorso di taglio marcatamente
politico, lo si segnala qui per due motivi: in primo luogo per l'affresco
drammatico della città anseatica alla vigilia dell'affermazione del regime
hitleriano, ricco di riferimenti biografici in particolare a quegli
intellettuali che animavano la vita universitaria, tra i quali Siegfried
Landshut e Hans von Dohnanyi; e poi per il tentativo - questo forse un po'
meno riuscito - di attualizzazione dell'idea-guida del pensiero di
Landshut, un "modello di politica orientata al bene comune", nell'epoca
della globalizzazione. Siegfried Landshut e Hans von Dohnanyi erano
entrambi all'attivo dell'Istituto per la politica estera, diretto da
Mendelssohn Bartholdy e allora impegnato nel difficile dibattito sulle
conseguenze del trattato di Versailles e dei risarcimenti post-bellici. Del
gruppo di studiosi faceva parte anche Alfred Vagts - emigrato già prima del
'33 negli Stati uniti, dove si stabilì dopo essere stato chamato ad
insegnare storia alla Harvard University - che Dohnanyi ha voluto ricordare
in memoria delle centinaia di intellettuali espulsi dalla Germania con
l'avvento del nazionalsocialismo. A tal proposito non è forse superfluo
segnalare che tanto il ciclo di conferenze su Landshut che la biografia
edita da Nicolaysen si collocano nell'ambito di un progetto intrapreso
dalla stessa università di Amburgo all'inizio degli anni Novanta da oltre
cinquanta studiosi e studiose afferenti a diversi ambiti disciplinari con
l'intento di ricostruire la storia dell'università durante il Terzo Reich e
riprendere i fili delle tante storie personali di esilio vissute da
altrettanti intellettuali di origine ebraica, di cui tanti non tornarono
mai indietro. Non una semplice statistica - "di statistiche ne abbiamo
fatte tante e tuttavia non abbiamo la minima idea della realtà di allora",
puntualizza Dohnanyi [Polis und Moderne, p. 8] - ma un lavoro minuzioso di
"decostruzione" e ricostruzione storica che vanta diverse pubblicazioni,
tra le quali, tra le prime, Die Wissenschaftler Ernst Cassirer, Bruno
Snell, Siegfried Landshut (di John Michael Krois, Gerhard Lohse, Rainer
Nicolaysen, Hamburg 1994). Il discorso di Dohnanyi, come forse c'era da
attendersi, semplifica a tratti eccessivamente il pensiero di Landshut,
come anche il suo richiamo alle categorie classiche del pensiero politico
per comprendere le anomalie del presente: "Una comunità di 300 milioni di
persone non è pensabile sul modello della Polis", dice infatti Dohnanyi
[op. cit. p. 11] che - con Landshut - riconosce nella globalizzazione un
processo che avanza in direzione contraria rispetto al tentativo di
riassegnare alla politica il suo presupposto originario, quella
Lebensgemeinschaft che contrassegnò pressoché ininterrottamente l'opera
dell'autore della Kritik der Soziologie. La politica, aggiunge Dohnanyi in
chiusura, non può comunque fare a meno delle scienze politiche, anche
questo è un insegnamento di Landshut che col tempo non perde la sua
validità.
Più che un contributo alla sua riscoperta quello di Shmuel N. Eisenstadt
[The Modern European Political Programme - Tensions and Antinomies. The
Civilizational and Historical Framework of Siegfried Landshut's Work and
Problematiques, pp. 17-36] è piuttosto un tributo all'insegnamento di
Landshut nell'ambito della scienza della politica. In un saggio in inglese,
Eisenstadt - che conobbe Landshut negli anni Quaranta nella Gerusalemme di
Martin Buber - affronta il tema delle antinomie della modernità a partire
dal binomio uguaglianza-libertà - caro a Landshut, come indica il
sottotitolo della Kritik der Soziologie, Freiheit und Gleichheit als
Ursprungsproblem der Soziologie [Libertà e uguaglianza come problema
originario della sociologia] - letto alla luce delle tensioni tra
democrazia e totalitarismo che attraversarono l'Europa degli anni Trenta.
Eisenstadt propone una lettura della modernità come processo di
trasformazione delle antinomie della secolarizzazione nella tensione tra le
diverse interpretazioni dell'autonomia e dell'egemonia dell'uomo e della
ragione, dalle quali origina la domanda sulla possibilità di un autentico
fondamento morale o di un ordinamento morale a fronte del riconoscimento di
tale autonomia e egemonia. Attorno a questo nucleo problematico si
articolano le tendenze insite nel discorso della modernità: la risposta
religiosa o tradizionale da una parte, l'affermazione del primato della
ragione dall'altra. Le tensioni tra il programma culturale della modernità
e le sue premesse e quelle tra tali premesse e l'effettiva evoluzione
istituzionale registrata dalle moderne società occidentali sono espressione
di quella prima contraddizione ma allo stesso tempo costituiscono il
terreno sul quale si sviluppano le antinomie classiche del moderno: tra
concezioni totalizzanti e pluralistiche, variamente declinate, o tra
controllo e autonomia, tra disciplina e libertà. Tali tensioni, osserva
Eisenstadt riprendendo quegli stessi temi weberiani con i quali Landshut
non ha mai smesso di misurarsi, sfociano e si manifestano nell'arena
politica [op. cit., p. 29], dove il problema è rappresentato dalla
difficoltà di definire peso e misura della pluralità degli interessi
individuali in vista della formazione della volontà generale nell'ambito
dei moderni sistemi democratici costituzionali. Uno dei compiti più ardui
per la scienza politica sta nel comprendere come il riconoscimento della
legittimità delle diverse visioni del mondo e della società "migliore"
affondi le sue radici in quella antinomia originaria tra visione
totalitaristica - potenzialmente totalitaria - e quella pluralistica.
Nessuna delle democrazie moderne può dire di essersi liberata interamente
del suo elemento giacobino, magari in versione utopica, o dell'appello a
qualche componente essenziale dell'identità collettiva, o del richiamo alla
centralità della religione nella costruzione di tale identità o per la
legittimazione dell'ordinamento politico [op. cit., p. 32]. Non c'è insomma
tra i moderni sistemi democratici occidentali chi non porti le tracce di
quelle tensioni che accompagnano il "discorso culturale della modernità"
sin dalle origini e che, conclude Eisenstadt, segnarono la strada della
riflessione di Siegfried Landshut. Quello di Eisenstadt è comunque un vero
e proprio saggio che riprende temi fondamentali della sua riflessione e che
merita attenzione indipendentemente dal contesto in cui è stato presentato.
Il contributo di Iring Fetscher [Siegfried Landshut - Karl Marx und der
klassische Politikbegriff, pp. 37-51] si distingue per competenza,
chiarezza espositiva e ricchezza di particolari. Non manca neanche un
ricordo personale della comune partecipazione alla "Marxismuskommission"
della Evangelischen Studiengemeinschaft, di cui Landshut, così Fetscher,
"era di gran lunga quello che conosceva Marx meglio di tutti, in
particolare gli scritti giovanili": «Una volta tirò fuori dal taschino
della giacca una lente e se la fissò per leggere meglio: per tutti noi,
membri della commissione, fu uno shock. Più tardi venni a sapere che anche
il Karl Marx che Landshut tanto ammirava si aiutava a volte con lo stesso
strumento. La cosa mi tranquillizzò, e non soltanto me» [op. cit. p. 37].
Al centro della riflessione di Fetscher c'è l'interpretazione di Marx nel
pensiero di Landshut, dalla Kritik der Soziologie all'ultimo saggio Immer
noch Marx? pubblicato postumo nel 1969, senza tralasciare quello del 1956
sulla Auflösung der Klassengesellschaft [La dissoluzione della società
classista]. Sin dalla Kritik Marx ha per Landshut un ruolo di primo piano:
la sua lettura del Marx degli scritti giovanili troverà conferma tre anni
più tardi nella pubblicazione dei Manoscritti economico-filosofici del '44
(di cui Landshut nel 1932 in collaborazione con Jacob Peter Mayer curò
l'edizione tascabile Kröner, come Nationalökonomie und Philosophie nel
volume Der historische Materialismus. Die Frühschriften, ora alla settima
ristampa). Nella Kritik der Soziologie, scritta nel '29 come tesi di
abilitazione ma respinta dalla commissione, ostile all'autore e
all'ambiente accademico in cui si era formato, Landshut - spiega Fetscher -
affronta criticamente, a partire da Weber, le diverse impostazioni della
sociologia tradizionale tedesca. La validità di una ricerca scientifica non
risiede in ultima istanza - come vuole Weber - nella scelta arbitraria
dello studioso, ma in una relazione che in qualche modo si fondi nelle cose
stesse, nell'oggetto della ricerca da cui sorge e si impone la domanda
scientifica. Landshut, vede bene Fetscher, giunge a formulare due tesi che
fungono da paradigma critico per le altre teorie sociologiche affermatesi
negli anni a cavallo tra Ottocento e Novecento: «L'origine di un problema
autentico va cercata nella sua problematicità fattuale. Il carattere
fattuale del suo campo tematico è storico, e richiede la comprensione di
"connessioni concrete"». Lo stesso Weber, che pure si è lasciato guidare
nei suoi studi dalla realtà dell'avanzare del capitalismo moderno
(l'oggetto della sua analisi è il contesto esistenziale dal quale nascevano
i suoi studi), lo stesso Weber si abbandona alla tendenza formalizzante in
auge nella sociologia degli esordi e, inseguendo il modello idealtipico,
prende congedo dalla realtà. Questo è il punto in cui Landshut lascia Weber
e si allaccia a Marx: il punto di vista di Marx, quello che ha guidato le
sue indagini infaticabili sulla società, è la sua possibile trasformazione.
La realtà è necessariamente modificabile, perché quella presente
contraddice l'autentica essenza dell'uomo, che consiste nella sua libertà e
nella sua autorealizzazione. E qui Landshut riconosce la superiorità di
Marx rispetto ai sociologi tedeschi, che assumono la società come "realtà
unitaria" dai caratteri costanti, come "l'oggetto in sé irrilevante di
un'analisi" e dimenticano che lo stesso concetto di società non nasce prima
della moderna società borghese. Per Marx, con la nascita della società
borghese e il suo autonomizzarsi di fronte allo stato politico, l'uomo si
divide: da una parte gli individui mossi da fini egoistici, in lotta
permanente e ostili allo stato che percepiscono come una particolarità a
loro sovraordinata, estranea e di ostacolo per la loro libertà; dall'altra
i Citoyens, che si identificano con l'universalità dell'intero e delle sue
leggi, anche se solo "spiritualmente" [p. 39]. L'uomo reale è membro della
società borghese ma, in quanto monade egoistica, è separato dagli altri
uomini e si esperisce come "non vero". Per fare dell'uomo reale l'uomo
autentico occorre cambiare radicalmente la società borghese, occorre che
l'uomo come esemplare si risolva nel genere [die wahre Emanzipation des
Menschen bestehe darin, als Exemplar in der Gattung aufzugehen], solo
allora l'emancipazione umana può dirsi compiuta. Qui secondo Fetscher
l'interpretazione di Landshut si spinge oltre l'intenzione di Marx [pp. 39
e sgg.] peccando di semplificazione in particolare nell'uso dei concetti di
"esemplare" e "genere": «Il termine "ente generico" in Marx ha un duplice
significato. Egli intende da una parte l'entità [Wesen] del genere, cioè la
connessione generale degli uomini nell'ambito di una società, ma nel
contempo anche l'essenza [Wesen] dell'individuo che si attua come zoon
politikon, come animale sociale, cioè dell'uomo che si realizza attraverso
i rapporti con gli altri uomini e mediante l'appropriazione delle qualità
appartenenti al genere, quali lingua, ragione, abilità e così via».
L'appropriazione della cultura da parte dell'uomo passa per la riduzione
del tempo di lavoro, sua condizione essenziale, e quindi la trasformazione
del produttore associato in un altro soggetto. L'interpretazione di
Landshut dell'ideale futuro secondo Marx, osserva Fetscher, «è
eccessivamente orientata al modello della "vera democrazia", che in Marx
deve essere sostituita e superata dalla "vera società (senza classi)". Egli
non vede l'idea utopica dello sviluppo complessivo dell'individuo nella sua
molteplice particolarità, che Marx rappresenta negli esempi dello
scienziato e del compositore, orientati per così dire all'ideale
rinascimentale, ma parla di un effettivamente problematico "risolversi"
[aufgehen] dell'"esemplare" individuale nella specie"». Per il resto
l'interpretazione di Landshut funge ancora oggi da guida [p. 40]. Fetscher
si sofferma ancora sul nesso Marx-Weber - «lo stesso Weber resta
nell'ambito della struttura individuata da Marx ma, e questo per Landshut è
un limite, abbandona il motivo alla base dell'intento conoscitivo marxiano,
che era all'origine di quella concezione complessiva». Più che un Marx
della borghesia - come vuole una lunga tradizione interpretativa, a dire il
vero ormai superata - Weber è allora piuttosto una sorta di "marxista
borghese" [p. 41], al cui sguardo la società attuale - almeno fintanto che
è ancora impegnata nella lotta per affermarsi del tutto - presenta uno
sviluppo non solo tollerabile, ma addirittura piacevolmente progressivo.
Solo al proletariato - che soffre della sua estraniazione - la società
mostra in tutta la sua portata la necessità di una trasformazione. Sono
temi, questi, che accompagnano l'intera produzione di Landshut, che
Fetscher passa a questo punto brevemente in rassegna: del saggio Karl Marx
del 1932 Fetscher rileva a ragione come a Landshut sfugga il fatto che, se
è vero che non può essere il singolo individuo membro della società
alienata a realizzare il passaggio alla società liberata, lo stesso non può
dirsi però per il proletariato quale classe unita in soggetto collettivo
pronto all'azione. Per questo nell'interpretazione di Landshut il
superamento dell'alienazione in Marx si riduce all'esito necessario dello
svolgimento oggettivo del processo storico, «il cui compito segreto è
produrre quale suo risultato finale la vera essenza dell'uomo, fare
dell'idea la realtà infinita, e della realtà la ragione compiuta» [p. 44].
Quello di Landshut è, come si vede, un Marx ancora fortemente hegeliano dal
quale, soprattutto, viene rimosso il riconoscimento del momento attivo
della prassi, sul quale la terza tesi su Feuerbach non lascia dubbi. Nel
1932 Marx è per Landshut già un classico, e tale resterà anche in seguito:
non il segreto ispiratore del corso della storia o guardiano inconsapevole
della filosofia di stato dei paesi a socialismo reale ma l'uomo e lo
studioso che si è dedicato con tutto il vigore intellettuale di cui era
capace alla ricerca di una via all'emancipazione umana. Le sue speranze
sono certamente andate deluse: nelle moderne società a capitalismo avanzato
gli individui sono alienati oggi più di ieri. Non per questo la politica
deve abdicare al suo compito di porre dei fini comuni e consapevoli
nell'interesse dell'affermazione e della garanzia di una "vita buona": «La
si può accusare di essere un'utopia borghese - conclude Fetscher - ma di
fronte al semplice adeguarsi a tutto quel ci viene offerto, non ha perso
nulla della sua forza persuasiva».
Più brevemente sugli altri contributi alla raccolta: Rainer Nicolaysen [Von
der Leidenschaft des Denkens und der Traurigkeit in der modernen Welt, pp.
53-66] propone una versione ridotta della sua importante biografia alla
quale rimandiamo senz'altro per una ricostruzione dettagliatissima della
vita di Landshut e per i tanti e importanti riferimenti alla sua attività
intellettuale; Peter Reichel [Politische Aussenseiter und Avantigardisten.
Deutsch-jüdische Sozialisten in der Weimarer Republik, 67-80] si ricollega
solo indirettamente a Landshut prendendo in esame la storia di un gruppo di
socialisti tedeschi di origine ebraica durante la repubblica di Weimar,
mentre i tre contributi successivi sono frutto di altrettanti allievi di
Landshut. Degno di rilievo è in particolare quello di Wolfgang Kessel [Das
politisches Gemeinwesen im Denken Siegfried Landshuts, pp. 81-94], che di
Landshut fu a lungo assistente, il quale si sofferma sul concetto di
comunità politica [politisches Gemeinwesen], di cui abbiamo già rilevato la
centralità. Kessel in particolare ha potuto avvalersi degli appunti inediti
di una lezione tenuta durante il semestre invernale 1958-59. Per gli
studiosi una rarità. Heinz-Hermann Schepp [Über den Zusammenhang von
Politik und Pädagogik bei Siegfried Landshut, pp. 95-106] mette in rilievo
il nesso tra pedagogia e politica nel pensiero di Landshut, fornendo degli
spunti illuminanti per comprendere le ragioni della sua incomprensione di
fondo del movimento studentesco, che nel '68 aveva occupato l'università di
Amburgo. Di Dietrich Hilger (a sua volta tra gli allievi di Landshut e
forse tra quelli che più decisamente ne hanno raccolto l'eredità) è
disponibile un vero e proprio studio sulla Sozialpolitik -
Traditionsvermittlung durch Traditionsabbruch [Politica sociale.
Trasmissione della tradizione tramite l'interruzione della tradizione, pp.
107-124]. In quella che si qualifica come una "critica positiva" della
concezione di Landshut, Hilger affronta la questione della rottura nella
tradizione della politica europea al fine di ridimensionarne in qualche
modo gli esiti e avviare a partire da qui la ricerca di una possibilità di
"ricostruzione" della scienza politica aperta al confronto con gli sviluppi
registrati dal mondo moderno. Politica sociale è teoria e prassi allo
stesso tempo e si autointerpreta come erede più prossima della filosofia
pratica di ascendenza aristotelica: Hilger si inserisce infatti a pieno
titolo nell'ambito della cosiddetta riabilitazione della filosofia pratica,
di cui Wilhelm Hennis (a sua volta allievo di Landshut), Manfred Riedel,
Karl-Heinz Ilting sono stati nel corso degli anni Sessanta i principali
promotori. Il sociologo Sven Papcke [Krise der Kritik - Siegfried Landshut
zu Herkunft und Aufgabe der Soziologie, pp. 125-136] riprende idealmente
gli argomenti della Kritik der Soziologie per mostrare come ancora oggi la
sociologia non possa considerare risolti i problemi che Landshut segnalava.
«La disputa tradizionale sul senso e sui campi di attività di competenza
della sociologia non può dirsi affatto conclusa, così come è aperto il
problema dei suoi risultati» [p. 128]. Questa disputa sembra suggerire che
la sociologia sia una disciplina capace oggi di orientare con la sua
attività lo spirito del tempo: invece non è così [Ibid.]. «La sociologia
non elabora rappresentazioni concrete della società e delle sue
contraddizioni» [p. 129], il sociale quale esperienza vissuta è sostituito
da un modello di società universalmente valido, e pertanto inservibile. Per
questo, vede Papcke, l'obiettivo che la Kritik der Soziologie perseguiva
era quello di riassegnare la sociologia alla sua origine storica, perché
recuperasse la memoria della sua provenienza da una condizione di crisi,
fosse quella della polis, o quella della dissoluzione dell'universalismo
spirituale medievale, o del conflitto tra società civile e stato assoluto,
o di quella tra l'individuo e l'inumanità del capitalismo. Tuttavia, annota
criticamente Papcke, lo stesso Landshut non ha compiuto il passo decisivo
che da una sociologia storica conduce ad un tipo di storia teorico-sociale,
che non si limiti più a scoprire i motivi nascosti delle relazioni sociali
ma si spinga fino a dimostrare la persistenza delle loro strutture. Questo
avrebbe richiesto un programma per una diagnosi del presente, che Landshut
nella Kritik non aveva sviluppato. Pertanto, nell'impossibilità di passare
alla prova dei fatti, lo stesso Landshut - conclude Papcke - non può fare
altro che limitarsi «ad una sorta di "ecologia storico-ideale della
sociologia"» [p. 131].
Nell'intervento a seguire Georg Zenkert [Die Entmachung der Öffentlichkeit
in der Neuzeit, pp. 137-146] si concentra sulle trasformazioni che hanno
interessato il concetto politico di sfera pubblica dall'ideale classico ad
oggi, con particolare riguardo a Hobbes e Rousseau. Nucleo
dell'argomentazione, la contraddizione tra la presenza invadente del
Pubblico da una parte e la sua perdita di potere in generale dall'altra.
Zenkert recupera produttivamente l'analisi di Landshut del concetto di
opinione pubblica - dalla sua affermazione come alternativa alla retorica
antica quale principio orientativo fino al suo ridimensionamento a
"veicolo", quindi non più "principio", delle forme della socializzazione -
indicando nell'idea moderna di sfera pubblica il peso dell'ipoteca di una
definizione ex negativo: la Öffentlichkeit diventa il non-privato, mentre
il privato resta l'ambito privilegiato d'azione del singolo. Quanto più il
non-privato rivendica spazio e potere, tanto più si ridimensiona l'ambito
d'azione; ma quanto più aumenta la partecipazione tanto più si perfeziona
il sistema del dominio razionale. Una via d'uscita non sembra essere a
portata di mano, né tale sembra quella decisionistica indicata da Rousseau:
in una situazione in cui il mondo dell'azione e il sistema degli
ordinamenti e le sfere regionali a identità collettiva vanno sempre più
alla deriva, la sfera pubblica aspetta ancora un nuovo concetto che le
renda ragione.
L'economista Birger Priddat [Der Begriff des Ökonomischen bei Siegfried
Landshut, pp. 147-164] si occupa del concetto di Economico nel pensiero di
Landshut alla luce della sua seconda tesi di abilitazione, presentata nel
1933 e mai discussa, una Historisch-systematische Analyse des Begriffes des
Ökonomischen [Analisi storico-sistematica del concetto di Economico].
Priddat interpreta - e non a torto- questo studio come una prosecuzione
ideale della Kritik der Soziologie che, dopo il capitolo conclusivo su
Rousseau, «potrebbe proseguire con l'analisi della teoria dell'economia di
mercato di Adam Smith» [p. 158]. Priddat legge infatti il "programma" di
Landshut come il tentativo di revocare la distanza dell'individuo dalla
politica, dalla quale la modernità lo "dispensa". Landshut, sottolinea
Priddat, «parla di una svolta copernicana della coscienza pubblica nella
modernità, "attraverso la quale le speranze e le attese importanti nella
vita dei singoli individui prendono la direzione contraria rispetto agli
ordinamenti e le istituzioni della convivenza. Tutte le categorie che
originariamente definivano il singolo individuo come uomo - libertà,
felicità - assunsero un significato che essenzialmente lo dispensava da
tali istituzioni e, in quanto "prodotto dei suoi rapporti", lo rinviava ad
essi per l'esaudimento delle sue speranze e delle sue aspettative"» [p.
160]. Che poi alla "scienza" dell'economia sia sufficiente un ritrovato
orientamento al "very communitarian", come Landshut auspica per la
politica, per Priddat è poco probabile. In questo senso Landshut resta
quindi un "asymmetrischer communitarian" [p. 160]. L'intervento di Priddat
si segnala per la luce che getta su quel nucleo di argomenti che
catturarono già il giovanissimo Landshut (che si dedicò alla filosofia dopo
aver concluso gli studi di economia) e che ritornano - come si è visto -
sotto le forme più diverse e in diversi ambiti disciplinari e se ne
consiglia pertanto la lettura a chi voglia provare a districarne la trama.
Chiude il ciclo di interventi il politologo Udo Bermbach [Einige Fragen zu
Landshuts Politikverständnis, pp. 165-173], che tenta di rispondere alla
domanda sulla possibilità di riattivazione delle categorie classiche del
pensiero politico per i problemi del presente. La risposta di Brembach è
decisamente negativa, e la critica a Landshut è a tratti ingenerosa, quando
ad esempio lo accomuna a Lukács nell'accusa di «aristotelismo di sinistra»
[p. 171] o ne fa un nostalgico della polis.
Il libro, lo abbiamo già detto, è corredato da una scelta di documenti
biografici, tra cui lettere e documenti che testimoniano dei momenti più
difficili della vita del giovane Landshut all'avvento del
nazionalsocialismo. Tra questi la comunicazione ufficiale del Decano
dell'università di Amburgo - siamo nel 1933 - della revoca della
discussione della tesi di abilitazione "alla luce della mutata situazione"
e una lettera ad un amico da Alessandria (Egitto) di pochi mesi dopo, in
cui Landshut si chiede come Heidegger abbia potuto farsi illudere al punto
di prendere l'intervento militare per una commedia [p. 183, Documento 5].
Ultimissima, chiude il volume una breve nota biografica che aiuta il
lettore ad orientarsi nelle vicende personali che hanno costretto Landshut
all'esilio, e in quelle intellettuali che ne hanno fatto un pensatore per
tanti versi isolato e, almeno fino a poco tempo fa, in gran parte
sconosciuto.
Udo Bermbach insegna dal 1971 Scienza politica all'università di Amburgo.
Ha scritto sui problemi del parlamentarismo, sulla teoria dei partiti, sul
pensiero politico e sulla teoria politica della modernità. Ha pubblicato
Demokratietheorie und politische Insitutionen (1991) e Wo Macht ganz auf
Verbrechen ruht. Politik und Gesellschaft in der Oper (1997).
Klaus von Dohnanyi, dal 1981 al 1988 primo sindaco di Amburgo, dal 1990
impegnato in varie attività di ricostruzione nella Germania orientale
nell'ambito delle competenze dell'Istituto federale per la ricostruzione.
Tra le sue pubblicazioni Das deutsche Wagnis (1990) e Im Joch des Profits?
Eine deutsche Antwort auf die Globalisierung (1997).
Shmuel N. Eisenstadt, dal 1959 al 1990 ha insegnato Sociologia alla
Hebräischen Universität di Gerusalemme, è stato diverse volte, in veste di
professore ospite, a Chicago, Harvard, Stanford, New York, Paris, London,
Oslo, Zurigo, Vienna e Heidelberg. Tra le tante pubblicazioni, in lingua
tedesca sono disponibili Tradition, Wandel und Modernität (1979), Die
Tranformation der israelischen Gesellschaft (1987), Die Antinomie der
Moderne. Die jakobinischen Grundzüge der Moderne und des Fundamentalismus
(1998).
Iring Fetscher, dal 1963 al 1988 ha insegnato Scienza della politica alla
Goethe-Universität di Francoforte sul Meno, più volte professore ospite a
New York e Tel Aviv, membro di diversi istituti di ricerca a Canberra e
Cassenaar. Tra le tante pubblicazioni, Marx e il marxismo (Firenze 1969),
il Pipers Handbuch der politischen Ideen (1985-1993), Überlebensbedingungen
der Menscheit. Ist der Forschritt noch zu retten? (1991), "Wollt ihr den
totalen Krieg?", nonché la direzione della rivista Marxismusstudien.
Recentemente ha curato l'edizione degli scritti di Marx ed Engels
Studienausgabe in 5 Bänden (2004).
Dietrich Hilger ha studiato con Landshut fino al 1957, dal 1970 al 1980 ha
insegnato Storia sociale e economica all'università di Amburgo. Ha
pubblicato Edmund Burke und seine Kritik der Französischen Revolution
(1960), Die Eigentumslosen. Der deutsche Pauperisums und die
Emanzipationskrise in der Darstellungen und Deutungen der zeitgenössischen
Literatur (1965), oltre a numerosi contributi a diversi Lexicon.
Wolfgang Kessel, allievo di Landshut, poi suo assistente, dal 1966
politicamente impegnato nelle attività del Bundestag. Ha pubblicato diversi
studi sul parlamentarismo e sulla storia del parlamento.
Rainer Nicolaysen ha collaborato dal 1989 al 1991 aal progetto "ENGE ZEIT.
Spuren Vertriebener und Verfolgter der Hamburger Universität" [Tempo di
penuria. Tracce degli espulsi e dei perseguitati dell'università di
Amburgo], nel 1996 ha discusso la tesi di dottorato poi pubblicata come
Siegfried Landshut. Die Wiederentdeckung der Politik. Eine Biographie
(1997), dal 1998 è ricercatore presso l'Istituto di storia dell'università
di Amburgo, nel 2004 ha curato la selezione di scritti di Siegfried
Landshut Politik. Grundbegriffe und Analysen (Verlag für Berlin-
Brandenburg, Berlin 2004).
Sven Papcke dal 1974 insegna Sociologia presso l'università di Münster. Si
è occupato in particolare di storia della sociologia, di sociologia
politica, del movimento dei lavoratori e di sociologia della cultura. Ha
pubblicato, tra i suoi studi, Gesellschaftsdiagnosen. Klassische Texte der
deutschen Soziologie im 20. Jahrhundert (1991), Deutsche Soziologie im
Exil. Gegenwartsdiagnose und Epochenkritik 1933-1945 (1993), Humanistische
Traditionen der Soziologie und ihre Widersacher (1999).
Birger P. Priddat insegna dal 1991 Filosofia e economia politica alla
Privatuniversität di Witten / Herdecke (dal 1995 è decano). Si è dedicato
soprattutto a studi di economia istituzionale, di storia delle teorie
economiche, di etica economica, metodologia dell'economia e filosofia. Tra
le pubblicazioni ricordiamo Moralischer Konsum. 13 Lektionen über
Käuflichkeit (1998), Theologie, Ökonomie, Macht. Eine Rekonstruktion der
Ökonomie John Lockes (1998).
Peter Reichel insegna dal 1983 presso l'Istituto per la scienza politica
dell'università di Amburgo. Tra i suoi scritti Der schöne Schein des
Dritten Reiches. Faszination und Gewalt des Faschismus (1993), Politik mit
der Erinnerung. Gedächtnisorte im Streit um die nationalsozialistische
Vergangenheit (1995, ripubblicato nel 1999).
Heinz-Hermann Schepp, allievo di Landshut, dal 1964 al 1993 professore di
Pedagogia generale e formazione degli adulti all'università di Gottinga. Ha
studiato in particolare questioni relative alla pedagogia storica e
sistematica e alla formazione politica. Ha pubblicato tra l'altro Pädagogik
und Politik (1990) e Die Schule in Staat und Gesellschaft (1993).
Georg Zenkert insegna dal 1996 Filosofia pratica alla Pädagogischen
Hochschule di Heidelberg. Si è occupato di filosofia politica e ha
pubblicato, tra i suoi studi, Konturen praktischer Rationalität. Die
Rekonstruktion praktischer Vernunft bei Kant und Hegels Begriff
vernünftiger Praxis (1989), Macht und Meinung. Die rethorische Konstitution
der politischen Welt (1992).
[Le informazioni qui riportate sono ricavate pressoché interamente da Polis
und Moderne, Verfasserverzeichnis, pp. 213-215]