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Jean-pierre Cassarino (2016), “la Centralità Periferica Dell’art. 13 Dell’accordo Di Cotonou”, Diritto, Immigrazione E Cittadinanza 1-2: 21-32.

Il riferimento all’art. 13 dell’accordo di Cotonou, di cui uno dei paragrafi è dedicato alla cooperazione in materia di riammissione, è divenuto un tema ricorrente nei negoziati relativi alla questione migratoria fra Paesi europei e Paesi del gruppo

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   Diritto, immigrazione e cittadinanza XVIII, 1-2.2016 INTERVENTI La centralità periferica dell’art. 13 dell’accordo di Cotonou   di    Jean-Pierre Cassarino ∗    Sommario: 1. Una questione trasversale - 2. Modalità e paradossi - 3. Un sistema in espansione Il riferimento all’art. 13 dell’accordo di Cotonou, di cui uno dei paragrafi è dedicato alla cooperazione in materia di riammissione, è divenuto un te-ma ricorrente nei negoziati relativi alla questione migratoria fra Paesi eu-ropei e Paesi del gruppo ACP. Le esperienze bilaterali mostrano come la riammissione abbia acquisito un ruolo centrale, sebbene questa questione spinosa sia lasciata in secondo piano rispetto ad altri aspetti strategici. Questo articolo mira a decriptare le implicazioni di tale apparente con-traddizione. Oggigiorno, il riferimento a “l’art. 13 dell’accordo di Cotonou” firmato nel giugno 2000 dagli Stati membri dell’Unione europea (UE) e dagli Stati dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico (c.d. gruppo ACP), è quasi un rifles-so immediato nei dibattiti ufficiali sulla cooperazione fra Unione europea e Africa, in materia di migrazioni, legali o irregolari che siano. 1  Se da un lato, l’accordo di Cotonou ha segnato l’inizio di una nuova era nelle relazioni commerciali fra il gruppo ACP e l’UE, sia attraverso il su-peramento delle preferenze commerciali precedentemente accordate agli *  Dottore in scienze politiche, precedentemente professore al Centre Robert Schuman  dell’Istituto universitario europeo (Firenze, Italia) e research fellow  per il progetto BOR-DERLANDS. Attualmente è ricercatore associato presso l’Istituto di ricerca sul Maghreb contemporaneo (Tunisi). 1. La ricerca che ha condotto alla redazione di questo articolo è stata svolta nell’ambito del progetto “BORDERLANDS: Boundaries, Governance and Power in the European Union’s Relations with North Africa and the Middle East”, finanziata dal Consiglio europeo per la ricerca. Il progetto è diretto da R. Del Sarto e ha sede presso il Centro Robert Schu-man, Istituto universitario europeo di Firenze. L’autore ringrazia L. Demurtas e A. Favi per la traduzione di questo articolo. Le opinioni espresse in questo articolo impegnano esclusi-vamente la responsabilità dell’Autore.  J.-P. Cassarino 22 Stati ACP sul mercato europeo, sia grazie all’introduzione di misure volte a rimediare agli effetti della “transizione verso un’economia mondiale libe-ralizzata” (art. 34 § 2), sia attraverso l’adozione di “nuovi accordi commer-ciali compatibili con le disposizioni dell’OMC” (art. 36 § 1); dall’altro lato si è distinto per l’instaurazione di un dialogo politico in materia migratoria. Questo dialogo si fonda su tre aspetti: 1) il trattamento equo dei cittadini stranieri e il riconoscimento di diritti e obblighi paragonabili a quelli dei cittadini (art. 13 § 2); 2) il legame fra migrazione, sviluppo e riduzione del-la povertà nei Paesi di srcine (art. 13 § 4); 3) la lotta contro la migrazione illegale e la possibilità di concludere degli accordi bilaterali in materia di riammissione, fra Stati membri dell’UE e Stati ACP (art. 13 § 5). All’epoca, questi tre aspetti avevano suscitato vive critiche, tenuto conto del ruolo accordato alle questioni della sicurezza e della lotta all’immigrazione irregolare ai sensi dell’art. 13, anch’esso parte integrante di un trattato commerciale e di cooperazione economica. Questi tre punti possono essere infatti ricondotti a un ragionamento di tipo politico ed economico che il Consiglio dell’Unione europea, sotto la presidenza austriaca, aveva chiaramente formulato in un documento strate-gico del luglio 1998: «Un’espansione dell’aiuto allo sviluppo e della coo-perazione economica con le principali regioni d’emigrazione è essenziale. Tuttavia, non bisogna farsi illusioni sul fatto che questo permetterà di argi-nare l’emigrazione; potrebbe anzi sortire l’effetto contrario. In un primo tempo, uno sviluppo economico conduce potenzialmente a una maggiore emigrazione proveniente dai centri urbani dei Paesi del Terzo Mondo. Nel medio termine, ossia nel giro di qualche anno, il numero di emigranti dimi-nuisce considerevolmente. Tenuto conto di queste interconnessioni, la pre-venzione delle crisi, l’intervento e l’aiuto economico negli Stati poveri non possono sostituirsi al controllo dei flussi migratori e delle frontiere; le due strade devono essere percorse in parallelo». 2  Questo richiamo è necessario per comprendere le ragioni per le quali l’art. 13 dell’accordo di Cotonou fu articolato in tre aspetti a priori  para-dossali, che univano riforme economiche, aiuto allo sviluppo e controllo dei flussi migratori e delle frontiere. Questo stesso articolo suggerisce di “definire una politica di prevenzione” (art. 13 § 5) che, nell’arco di quindi-ci anni, trovi piena espressione nelle relazioni fra Europa e Africa, attra-verso meccanismi fondati su “un sottile dosaggio fra incentivi e pressio-   2. Tradotto dall’Autore verso il francese e, successivamente, verso l’italiano: Consiglio dell’Unione europea, Strategy Paper on Immigration and Asylum Policy, 9809/98, 1.7.1998, Bruxelles, §56 e 57.   Interventi 23 ni”, 3  sia commerciali sia diplomatici, che subordinino “i vantaggi in ogni settore di azione” 4  alla cooperazione in materia di riammissione. 1. Una questione trasversale La centralità della riammissione nelle relazioni esterne dell’UE non ne-cessità più di essere dimostrata. Si è imposta in modo trasversale nell’ambito dei nuovi orientamenti strategici (2015- 2020) per la pianifica-zione legislativa e operativa riguardante lo Spazio di libertà, sicurezza e giustizia in Europa, 5  e nel susseguirsi ininterrotto dei programmi plurienna-li anteriori, fra i quali Stoccolma (2009-2014), L’Aia (2004-2009), e Tam-pere (1999-2004). Questa trasversalità si è sviluppata ulteriormente, a ma-no a mano che le questioni di Giustizia e Affari interni fornivano una strut-tura per gli orientamenti relativi alle politiche di sviluppo, nonché per l’approccio comune in materia di migrazione e asilo nell’ambito dell’azione esterna dell’Unione. 6  Questi sviluppi intraeuropei hanno chiaramente avuto delle ripercussioni sui negoziati in materia di politica migratoria, che si sono succeduti dagli anni 2000, fra gli Stati d’Africa e d’Europa, tanto su scala bilaterale che multilaterale. Non è necessario menzionarli in questa sede. 7  Basti rilevare come i quattro vertici UE-Africa, che si sono tenuti al Cairo (aprile 2000), 3. «Tra gli ulteriori elementi per esercitare pressione ai quali si dovrebbe ricorrere ci sono gli aiuti allo sviluppo, la politica di vicinato, gli accordi commerciali e le preferenze com-merciali (con la possibilità di collegare la conclusione di accordi di libero scambio o la con-cessione di un trattamento preferenziale per determinati Paesi terzi alla conclusione parallela di un accordo di riammissione), l’istruzione (Erasmus +) e la cultura.» Commissione euro-pea (2015), Piano d’azione UE sul rimpatrio , COM (2015), Bruxelles, p. 17. 4. Consiglio dell’UE, Conclusioni del Consiglio sul futuro della politica di rimpatrio. Comunicato stampa 711/15 ,   8.10.2015, Bruxelles, p. 3. 5. Adottata dal Consiglio europeo nel giugno 2014. Vedi Consiglio europeo, Conclusioni del Consiglio europeo del 26 e 27giugno 2014 . EUCO 79/14, Bruxelles, 27.6.2014. 6. Per un approccio critico, si veda S. Stetter Cross Pilar Politics: Functional Unity and  Istitutional Fragmentation of EU Foreign Policies , Journal of European Public Policy, 2004, 11(3): pp. 720-739; P. Pawlak, The External Dimension of the Area of Freedom, Se-curity and Justice: Hijacker or Hostage of Cross-Pillarization , European Integration, 2009, 31(1): pp. 25-44 ; F. Trauner and H. Carrapiço,  The External Dimension of EU Justice and  Home Affairs after the Lisbon Treaty: Analysing the Dynamics of Expansion and Diversifi-cation ,   European Foreign Affairs Review 17 (special issue), 2012, pp. 1-18. 7. Per una panoramica, si veda l’opera di L. Kabbanji, Politiques migratoires en Afrique de l’Ouest. Burkina Faso et Côte d’Ivoire , Paris, Karhala, 2011.  J.-P. Cassarino 24 a Lisbona (luglio 2007), a Tripoli (novembre 2010) e a Bruxelles (aprile 2014), coprono un arco di tempo sufficientemente lungo per constatare la crescente importanza del tema della cooperazione in materia di riammis-sione nelle relazioni esterne di attori statali e regionali, sebbene entrambi portatori di interessi fortemente divergenti. La retorica gestionale, le priorità e i principi enunciati a partire dagli anni 2000, testimoniano, senza alcun dubbio, il consenso raggiunto sull’Agenda internazionale per la gestione delle migrazioni (AIGM). Introdotta a Berna nel 2001, questa agenda non mira solamente a creare meccanismi suscetti-bili di influenzare i flussi migratori. Essa implica molto di più che la sola gestione di questi flussi. Il consenso che ha riscontrato presso numerosi governi occidentali e africani in questi ultimi quindici anni, è il risultato di un processo di legittimazione che merita qualche precisazione. Superando i loro interessi divergenti, i Paesi di destinazione, d’srcine e di transito condividono in effetti un obiettivo comune quanto alla gestione delle mi-grazioni: introdurre dei meccanismi atti a rinforzare la loro posizione cen-trale nel controllo della mobilità dei loro cittadini e dei cittadini stranieri. La cooperazione in materia di riammissione, come il controllo rafforzato alle frontiere, sono parte di questa visione comune. La AIGM è il risultato di consultazioni organizzate a intervalli regolari, che riuniscono i titolari del potere decisionale e i rappresentati di diversi Paesi nell’ambito di “una rete di incontri politici informali”. 8  La loro fre-quenza e periodicità costituiscono un fattore determinante per la predispo-sizione di regole e di comportamenti da rispettare, nonché del lessico da impiegare, in materia di gestione del fenomeno migratorio. Hanno altresì contribuito a definire orientamenti comuni 9  e a identificare problemi con-divisi o percepiti come tali. È proprio in ragione della ricorrenza di queste consultazioni che un nuo-vo lessico è stato introdotto. Gestione, buona amministrazione, sicurezza, fardello, flussi misti, migranti economici, “falsi” richiedenti asilo, intero-perabilità, armonizzazione, responsabilità condivisa, approccio equilibrato: tutte nozioni ormai appartenenti al lessico degli organi governativi e inter-governativi. Questa egemonia lessicale la si può oggi percepire nei discorsi ufficiali, nei media e nella carta stampata, che sia essa applicata alle migra-zioni internazionali o all’asilo, tanto in Occidente quanto in Africa. 8. S. Lavenex,  A Governance Perspective on the European Neighbourhood Policy: Integration beyond Conditionality? , Journal of European Public Policy 15(6), 2008, pp. 938-955. 9. A. Klekowski von Koppenfels, The    Role of Regional Consultative Processes in Manag-ing International Migration , IOM Migration Research Series no 3, Ginevra, IOM, 2001. Si veda anche C. Thouez et F. Channac Shaping International Migration Policy: The Role of  Regional Consultative Processes , West European Politics 29(2), 2006, pp. 370-387.   Interventi 25 Si potrebbe perfino affermare che l’Agenda internazionale per la gestione delle migrazioni continua ad unire al di là delle divergenze e permette di definire i ruoli di ciascuno, tenendo sempre presente che «è il risultato di singoli individui e che, una volta determinata, crea le condizioni necessarie allo sviluppo delle loro soggettività». 10  Questa agenda è, in effetti, il pro-dotto degli Stati, creata per gli Stati. Essa favorisce i processi di diffusione materiale e immateriale, mentre canalizza il trasferimento di politiche pub-bliche fra Paesi emittenti e riceventi. L’agenda genera quindi un sistema , senza il quale il riferimento all’art. 13 dell’accordo di Cotonou nei nego-ziati euro-africani non avrebbe, sul lungo periodo, mai avuto senso e senza il quale la cooperazione in materia di riammissione fra Stati africani e eu-ropei non avrebbe raggiunto le proporzioni attuali. Se la compattezza di un sistema, caratterizzata da forti relazioni d’interdipendenza fra Stati, permette di garantire il trasferimento di politi-che pubbliche attraverso condizionalità, processi di apprendimento, misure di compensazione o attraverso semplice emulazione, potremmo immagina-re che il tenore di questo trasferimento non dovrebbe mutare sensibilmente nel tempo. Tuttavia, questa ipotesi è lungi dall’essere comprovata, basti pensare alla molteplicità di tipologie di accordi bilaterali connessi  alla riammissione siglati da Paesi del continente africano. Prendere in conside-razione questi accordi è necessario, da un lato, per capire meglio l’espansione del sistema di riammissione nel continente africano, e, dall’altro lato, per comprendere le ragioni per cui numerosi Stati membri dell’UE hanno dovuto rivedere le loro modalità di cooperazione bilaterale. 2. Modalità e paradossi I modi di cooperazione bilaterale in materia di riammissione sono, in pra-tica, una copia della maniera in cui gli Stati codificano le loro interazioni. Due Stati possono accordarsi per formalizzare la loro cooperazione, con-cludendo un accordo di riammissione, ciascuno di essi ritenendo che l’accordo formalizzato risponda a degli interessi determinati, anche se lo stesso si basa su reciprocità diseguali. In questo caso si parlerà di un ac-   10. J. Dryzek, M.L. Clark, et G. McKenzie Subject and System in International Interac-tion , International Organization 43(3): p. 502, 1989. Per approfondire il tema, si legga tra gli altri O. Greenwood, World of Our Making: Rules and Rule in Social Theory and Inter-national Relations , Columbia, University of South Carolina Press, 1989. P.J. Katzenstein (ed.), The Culture of National Security. Norms and Identity in World Politics , New York, Columbia University Press, 1996; F. Martha et K. Sikkink  International Norm Dynamics and Political Change , International Organization 52(4), 1996, pp. 887-917.