Preview only show first 10 pages with watermark. For full document please download

L`homo Naledi, Una Scoperta Molto Importante.

   EMBED


Share

Transcript

L’HOMO NALEDI, UNA SCOPERTA MOLTO IMPORTANTE. I fossili di Johannesburg Il nord di Johannesburg è stato definito la culla dell’umanità. Negli anni ’30 e ’40 del secolo scorso furono trovati molti reperti fossili che fornirono le prime importanti informazioni sui nostri antenati. Poi per decenni le scoperte si affievolirono. Ora però dalle profonde caverne presenti in questa regione emergono due nuove rivelazioni che potrebbero gettare una luce diversa sulle origini del genere umano. In una caverna si sono trovate migliaia di ossa che potrebbero illuminare un periodo di circa un milione di anni della nostra evoluzione, che rappresenta da sempre un mistero per la scienza. C’è un vuoto nella storia narrato dai fossili ed è proprio in quel vuoto che sembra collocarsi l’alba dell’umanità: la nascita del genere homo ed è questo il capitolo più importante e misterioso della nostra evoluzione. L’australopiteco Prima d’allora c’era il mondo dell’australopiteco, una creatura simile alla scimmia, con un cervello piccolo. Questo è il prototipo dell’australopiteco: camminava eretto, ma apparteneva al mondo delle scimmie. Se si vedesse un australopiteco in fondo ad un campo di calcio, molto probabilmente si chiamerebbe lo zoo e si chiederebbe se è scappata una scimmia. L’australopiteco è una scimmia bipede. Se tornassimo indietro nel tempo incontreremmo questi animali nella savana, potremmo vederli camminare come noi in modo eretto, ma con il corpo più piccolo e avrebbero denti e mandibole più grandi. L’Homo erectus e l’Homo habilis La storia dei fossili lascia presagire che ad un certo punto, all’incirca due o tre milioni di anni fa, questi australopitechi dall’aspetto scimmiesco diedero origine alla prima specie umana: l’Homo erectus. Questa nuova specie aveva un cervello più grande e cominciò a maneggiare gli strumenti. Se ora vedessimo un Homo erectus in fondo ad un campo di calcio, chiameremmo la polizia dicendo che c’è un uomo selvatico, e chiederemmo di portargli dei vestiti. Il più grande mistero con cui la paleontologia si confronta ancora oggi, consiste nel cercare di capire come, quando e dove avvenne la transizione dall’australopiteco all’Homo erectus. Per anni la sola specie che si palesò, colmando in parte il grande vuoto, fu l’Homo habilis, di cui però furono scoperti piccoli frammenti, troppo poco per poter definire con precisione le origini del genere umano. Ma ora ecco una nuova luce. La culla dell’umanità Agosto 2013, Pedro Boschoff, un Sudafricano disoccupato, si domandò se non avesse potuto fare qualche soldo facendo ciò che più gli piaceva: cercare fossili. In passato aveva fatto il soldato, l’avventuriero e si era interessato di paleontologia. Si rivolse ad un professore universitario, Lee Berger, per sapere se poteva lavorare con lui all’università, perché come Berger credeva che laggiù c’era ancora molto da scoprire. Lee Berger aveva iniziato ad esplorare la zona nota come culla dell’umanità all’inizio degli anni Novanta. In diciotto anni di ricerche aveva trovato solo pochi fossili isolati, una cosa non insolita nel campo della paleontologia umana. I reperti fossili risalenti alla specie umana sono probabilmente gli oggetti più rari e ricercati della terra: ci sono più studiosi che oggetti da studiare. I primi a scoprire la grotta nascosta Berger conosceva Pedro da vent’anni e gli disse di andare a scavare per vedere se c’era ancora qualche fossile da scoprire. Ci pensò e contattò Rick e Steven, due suoi amici che facevano parte di una società speleologica. Con loro aveva perlustrato le caverne di quell’area per anni. Così cominciarono dai posti più conosciuti. Il 13 settembre 2013 diedero un’occhiata ad una serie di grotte che credevano di conoscere bene. Il luogo si chiama “Stella nascente”. È una caverna incredibile, c’è un po’ di tutto: ci sono passaggi stretti, arrampicate splendide e una grotta chiamata “Schiena del drago”. Cominciarono a scavare. Rick con la telecamera voleva riprendere l’insenatura e chiese di farlo passare da una strettoia. Così scesero da una fenditura. Una volta dentro, Steven si accorse che essa proseguiva sempre verso il basso. Intuì che scendeva verticalmente e che sotto i suoi piedi c’era il vuoto. Cominciò a scendere cercando degli appigli nelle pareti e intanto andava sempre più giù. Steve si ritrovò in una grotta nascosta; chiamò Rick chiedendogli di raggiungerlo. La grande scoperta La scoperta stava sotto i loro piedi. Il pavimento della caverna era disseminato di piccole ossa. Tra le rocce c’erano dei denti: doveva essere qualcosa di importante. Per terra c’erano una mandibola e un cranio con i denti attaccati. Rick e Steve scattarono delle foto e decisero di mostrarle a Pedro. La mascella con i denti doveva trattarsi di un ominide. Andarono dal professor Lee Berger il quale vide una cosa che non avrebbe mai immaginato di vedere sullo schermo: si trattava di una mandibola dei primi ominidi. L’immagine successiva ritraeva un teschio e una moltitudine di ossa: non credeva ai suoi occhi. Le prime ipotesi La famiglia degli ominidi comprende tutte le creature che si sono affacciate nel corso dell’evoluzione umana e include l’australopiteco, l’Homo erectus e noi stessi. Lee si concentrò su una questione: a che tipo di ominidi appartenevano le ossa? Pensò che si trattasse di un singolo individuo, probabilmente uno degli australopitechi che apparvero sulla scena circa quattro milioni di anni fa. Il solo modo di saperlo con certezza era quello di riportare in superficie i fossili. Decise che la storia non poteva più aspettare. In quella caverna potevano esserci le spiegazioni delle origini dell’uomo moderno. Alla ricerca di scienziati smilzi Lee non poteva calarsi personalmente in quella strettoia per arrivare alla camera dei fossili; in alcuni punti il suo accesso è largo meno di venti centimetri. Fece un appello dicendo che aveva bisogno di scienziati smilzi, non claustrofobici e disposti a lavorare in un ambiente pericoloso e che li voleva a disposizione il primo di novembre. Si candidarono sei scienziate esili. Niente di simile era stato fatto in nessun luogo. Lavori preparatori prima dell’esplorazione Lee avrebbe dovuto pensare a tutto: dal sostegno medico alla sicurezza, alla progettazione dell’infrastruttura e di tutto ciò che va a pari passo con l’esplorazione scientifica. Pedro e Rick nel contempo si occupavano dell’infrastruttura sotterranea, posando cavi di sicurezza, installando luci, videocamere. Grazie alle telecamere, ogni angolo della grotta poteva essere sorvegliato dalla postazione di comando. Intanto le giovani scienziate furono messe alla prova nelle caverne circostanti. Inizia l’esplorazione Così arrivò il 10 novembre, giorno scelto per iniziare le esplorazioni. Scesero per prime due speleologhe, si fecero strada nelle cavità sotterranee. C’era un punto molto stretto che le obbligava a strisciare sulla pancia. Arrivarono finalmente nella grotta: era bellissima: c’era un mare di ossa e capirono subito che non si trattava di ossa normali. Dal posto di comando videro le due scienziate entrare nella camera e cominciare con le procedure scientifiche. La prima incursione nella camera dei fossili durò un paio d’ore, un tempo sufficiente per cominciare a scansionare e marcare i frammenti di ossa e per verificare i sistemi di sicurezza. Primo reperto portato in superficie: la mascella Dopo il rilievo arrivò il momento di portare in superficie il primo fossile: la mandibola. Alla vista del fossile l’entusiasmo salì. Tutto d’un tratto non seppero più che cosa esattamente avessero in mano. Quando Berger vide per la prima volta quell’osso mascellare pensò che fosse appartenuto probabilmente ad un australopiteco. Una delle caratteristiche più evidenti del volto di un australopiteco sono la mascella e i denti. Con la transizione al genere Homo, il volto dell’australopiteco si contrasse e i denti unitamente alla mascella rimpicciolirono. Una mascella di una nuova specie umana Quando Berger si ritrovò tra le mani quella mascella intuì subito che era troppo piccola per essere ricondotta ad un australopiteco, perché appariva piuttosto come una mascella umana. Poteva trattarsi di un nuovo esemplare di Homo habilis, oppure di una nuova specie di ominidi in grado di acclarare la transizione dall’australopiteco all’Homo herectus. Ipotesi che affiorarono nella mente dell’anatomista Peter Schmitt, mentre analizzava la mandibola. Grazie al computer si poté generare l’intero profilo in modo speculare. A quel punto si paragonò quella mandibola a quella dell’Homo habilis. Confrontando le due mezze mandibole si notò che quella dell’Homo habilis aveva una morfologia più dritta, mentre quella ritrovata aveva una curvatura più pronunciata. La mandibola ritrovata non apparteneva né all’Homo habilis né a un australopiteco. Tutte le precedenti conoscenze sarebbero dovute essere messe da parte. Non era possibile associare quella mandibola a nessun gruppo finora conosciuto. Bisognava ricominciare dall’inizio. La speranza del team di paleontologi era che le altre ossa presenti nella caverna potessero chiarire la confusione. Si riportano in superficie altre ossa Ogni discesa rivelava novità sorprendenti. In seguito analizzando le ossa riportate in superficie capirono che esse non potevano appartenere ad un unico scheletro. Avevano in mano due femori della medesima parte del corpo, quindi doveva trattarsi di due scheletri, poi divennero tre, quattro…. Allora capirono che doveva trattarsi di qualcosa di molto speciale. Trovarono altre ossa e le catalogarono: ce n’erano ovunque, anche nei passaggi che conducono alla camera. Man mano che le ossa riaffioravano, l’immagine degli ominidi cominciò a delinearsi. I frammenti delle anche e dei femori lasciavano presagire che si trattasse di ominidi eretti, la cui andatura doveva essere ancora precaria. Dovevano avere un cranio piuttosto piccolo, molto più grande di quello di uno scimpanzé, ma con denti e mascelle più progrediti, simili a quelli del genere umano. L’ipotesi più accreditata è che ci si trovava di fronte ad una nuova famiglia di ominidi apparsa all’alba dell’umanità: la sottofamiglia che viene dopo l’australopiteco, che precede il genere homo. Una forma di sepoltura? Berger capì che la chiave per la definizione di questo mistero era il cranio. Nel frattempo dalla caverna emerse un dato straordinario: le ossa presenti appartenevano tutte al genere umano, mentre non c’erano ossa di altri animali. Di solito quando in una caverna si scoprono frammenti di ominidi, vicino si trovano sempre ossa di altri animali, entrati nella caverna per mangiare o portati lì da altri animali per essere mangiati. I paleontologi ritennero che l’accesso alla caverna non fosse diverso due milioni di anni fa, accesso talmente stretto che non permetteva alle bestie di entrarvi. Si trovarono di fronte ad una forma di sepoltura. Sarebbe stato il primo caso di culto dei morti. Le prime sepolture note risalgono a centomila anni fa ad un genere umano assolutamente più progredito. Sembra così strano che un essere umano si fosse occupato dei propri defunti, eppure è un’ipotesi accreditata. Occorreranno altre analisi per avvalorare l’ipotesi della sepoltura. Il fossile chiave: il cranio Il reperto più importante fu lasciato per ultimo: il cranio. La sua forma e le dimensioni dell’arcata sopraccigliare erano determinanti per stabilire se fossero australopitechi o uomini. Il cranio custodiva la soluzione dell’enigma, la sua forma era importante: era tondeggiante come quello umano, oppure era una via di mezzo? Il cranio era talmente sottile che sarebbe potuto andare in frantumi, ed estrarlo fu alquanto difficile. Era indiscutibilmente il cranio di un uomo. Un nuovo membro del genere umano. Siamo di fronte ad una nuova specie La domanda ora è questa: quali nuove conoscenze sull’alba dell’umanità saprà offrirci questa nuova scoperta? Ora siamo certi che si tratta del genere ominidi, il nostro genere. Siamo di fronte ad una nuova specie. Nella grotta hanno scoperto diverse creature: maschi, femmine, giovani, anziani di una nuova specie del genere umano. I frammenti recuperati sono quasi duemila, riconducibili ad una dozzina di individui. Lo scavo si è protratto per tre settimane. Gli scienziati sono consapevoli di aver perlustrato solo la superficie di ciò che la grotta custodisce. Sei mesi dopo lo scavo i ricercatori si incontrarono ad un simposio dove vennero analizzati i fossili. Lo scheletro fu ricomposto. Siamo di fronte ad un nuovo antenato dell’uomo moderno. Le ossa appartengono ad una nuova creatura diversa da quella conosciuta finora. Ha piedi, mani denti assolutamente umani, che mostrano una morfologia esterna umana, mentre la struttura interna, il tronco, l’architettura della colonna vertebrale e il cervello sono più primitivi. Hanno chiamato questa specie Homo naledi, dove naledi significa “stella”. La camera nascosta è stata chiamata “Camera delle stelle”. L’Homo naledi è una via di mezzo tra la scimmia e l’uomo: ha il cervello e il corpo piccoli, le braccia simili ad uno scimpanzé, ma ha mani e piedi umani, sopracciglia piccole e lunghe gambe come quelle degli uomini. Probabilmente percorreva lunghe distanze. Si tratta di creature in procinto di diventare umane, ma molto vicine al mondo degli australopitechi. Come siano finite in quella caverna è ancora un mistero. La migliore ipotesi è che erano lì perché qualcuno li aveva portati. Se l’uomo naledi si occupava dei suoi defunti, significa che malgrado il cervello fosse piccolo doveva avere capacità cognitive e meccanismi neurologici particolarmente sviluppati e questo rende la ricerca interessante. L’evoluzione umana spesso viene sintetizzata per mezzo di un albero genealogico che affonda le sue radici nel tempo, ma questa sintesi è imprecisa e poco veritiera. Le scoperte sudafricane stanno spalancando un nuovo scenario nella storia dell’evoluzione e sulle origini del genere umano. Adattamento del testo a cura di Claudio Rossi Fonte: Giardino di Albert – film documentario della TSI del 30 gennaio 2016. L’alba dell’umanità, di Graham Towsley