Preview only show first 10 pages with watermark. For full document please download

Scuole Di Sussidiarietà. Marco Cammelli Decentramento E Outsourcing Nel Settore Della Cultura: Il Doppio Impasse

Scuole di Sussidiarietà Marco Cammelli DECENTRAMENTO E OUTSOURCING NEL SETTORE DELLA CULTURA: IL DOPPIO IMPASSE 1 Sommario: 1. quadro concettuale e istituzionale 2. esternalizzazione nella amministrazione

   EMBED

  • Rating

  • Date

    June 2018
  • Size

    277.7KB
  • Views

    8,856
  • Categories


Share

Transcript

Scuole di Sussidiarietà Marco Cammelli DECENTRAMENTO E OUTSOURCING NEL SETTORE DELLA CULTURA: IL DOPPIO IMPASSE 1 Sommario: 1. quadro concettuale e istituzionale 2. esternalizzazione nella amministrazione statale; 3. esternalizzazione a livello locale 4. regole senza esternalizzazioni e esternalizzazioni senza regole 5. elementi di comparazione. 6. per concludere 1. Il quadro concettuale e istituzionale. Per quanto queste considerazioni siano dirette ad approfondire un aspetto specifico, e cioè le opportunità e i limiti che il nuovo assetto delle relazioni stato-autonomie risultante dalle leggi di riforma amministrativa degli anni 90 (e in particolare, dal d.lg.112/1998) presenta sul terreno delle esternalizzazioni per ciò che riguarda il settore della cultura, è necessario far precedere l analisi da alcune messe a punto la cui mancanza pregiudicherebbe la chiarezza dell esposizione e la comprensione di chi legge. Si tratta di dati e precisazioni ovviamente sintetiche ed esclusivamente introduttive al fuoco del discorso: lo spazio, le modalità, gli effetti e i problemi dell outsourcing, oggi, nelle attività e nei beni culturali. Il problema si pone essenzialmente con riguardo alla situazione in atto del decentramento istituzionale e all accezione accolta di esternalizzazione, in sé e nelle reciproche relazioni. Ma prima ancora di affrontare questi aspetti, è bene precisare che ci riferiremo al settore della cultura, vale a dire ad un insieme di per sé già molto ampio ed eterogeneo, escludendo le attività prevalentemente esercitabili (ed esercitate) da imprese di carattere industriale (quali il turismo, anche culturale, o lo spettacolo, come cinema) ed invece assumendo l espressione nel significato più ristretto, e rilevante nei rapporti centro-periferia, fatto proprio dal legislatore (capo V del d.lg. 112) e in sede scientifica, con l articolazione della materia nelle politiche di tutela, valorizzazione e promozione, gestione ( 1 ) decentramento. Qui bisogna intendersi. Se prendiamo il termine in senso letterale, vale a dire come trasferimento di compiti e risorse dal centro (o, comunque, dallo Stato) al sistema delle autonomie, allora dobbiamo dire che il settore della cultura non ha conosciuto seri decentramenti, o perché rinviati a riforme da varare successivamente (è il caso della legge quadro sui beni culturali preannunciata nel d.lg. 616/1977) e mancate ( 2 ), o perché, come appunto nel terzo decentramento, in una parte importante (la tutela) esclusi a priori dalla legge di delega (art.1.3 lettera d della legge 59/97), o perché la puntuale precisazione dei relativi trasferimenti ( 3 ) è rimasta affidata a modalità macchinose e complesse che, come era prevedibile, non hanno ancora dato alcun risultato ( 4 ). Sicché, pur ponendo all attivo alcuni elementi tra i quali, in particolare le innovative definizioni relative non solo agli elementi tradizionali del settore (beni culturali e ambientali, tutela, gestione) ma anche a quelli di più recente acquisizione (gestione, ( 1 ) L.Bobbio, La politica dei beni culturali in Italia, in L. Bobbio (a cura di), Le politiche dei beni culturali in Europa, Bologna, 1992, p.149 ss; ( 2 ) Per una recente ricostruzione di insieme di tali vicende, cfr. S.Foà, La gestione dei beni culturali, Torino, 2001, p.237 ss. ( 3 ) Individuazione di musei o altri beni culturali statali da trasferire in gestione a regioni e enti territoriali (art d.lg.112) ( 4 ) A tre anni e mezzo dal decreto 112, la commissione paritetica (art.150) a cui era affidato il compito di identificare i beni culturali statali di cui trasferire la gestione, non ne ha indicato alcuno. Le commissioni regionali (artt.154-5) cui era affidato il compito di cerniera tra sistema statale e sistema regionale/locale non sono state neppure costituite. 2 valorizzazione, promozione) e non trascurando aspetti più specifici ( 5 ), la valutazione di insieme resta fortemente critica ( 6 ) e molto al di sotto delle attese espresse prima dell esercizio della delega ( 7 ). Se invece ci si riferisce all assetto in concreto esistente e alla effettiva distribuzione di compiti e ruoli giocati tra centro e autonomie, il discorso è diverso perché regioni ed enti locali, in parte grazie alla rilettura dei propri compiti effettuata con gli statuti degli anni 70 e 90 in parte con la puntuale attività legislativa e amministrativa dell ultimo ventennio, hanno fortemente allargato il proprio ambito di intervento nel settore soprattutto con la scoperta di una nuova materia, quella della promozione culturale ( 8 ). Valutata da questo punto di vista, la normativa del capo V del decreto 112/1998 mostra un elemento positivo e alcuni aspetti decisamente discutibili. Il dato positivo è dovuto al fatto che proprio grazie alla articolazione di funzioni operata in ordine ai beni e alle attività culturali, sia la valorizzazione (dei beni) che la promozione (delle attività) è pienamente riconosciuta (artt.152 e 153), ed anzi legittimata in capo a regioni ed enti locali superando incertezze e contrasti precedenti. In negativo, invece, stanno profili intrinseci alla materia e aspetti più direttamente riguardanti la questione che qui interessa, vale a dire la sussidiarietà orizzontale e in generale il rapporto con i privati non profit. Quanto ai primi, oltre agli elementi strettamente giuridici su cui chi scrive ed altri si sono più volte soffermati ( 9 ), sta sul piano economico-organizzativo l oggettiva incertezza del disegno di insieme (decreti 112 e 368/1998, riforma ministero dei beni culturali) costituito da un decentramento di gestione inteso restrittivamente e per di più potenziale, l affidamento della soluzione dei conflitti a sedi paritetiche ma non ( 5 ) V. la possibilità di autonome proposte di interventi di tutela (vincoli e espropriazioni) riconosciuta a regioni e enti territoriali (art.148.5). ( 6 ) E largamente condivisa dalla maggior parte degli studiosi: V. Corso e Pitruzzella, Lo stato autonomista, L.Bobbio, La riforma Bassanini e i beni culturali, due anni dopo, in Economia della cultura, 2/1999, p.157 ss cui adde gli interventi di M.P. Chiti, G.Sciullo, M. Cammelli v. Aedon 1/98. Per P.Petraroia, Il raccordo tra i diversi livelli istituzionali: vecchie controverse e nuovi scenari, in Economia della cultura, 2/1999, p.147 ss, anzi, il dualismo che ne deriva rischia di portare il sistema a condizioni più arretrate delle precedenti. Per una lettura più positiva, cfr. M.Ainis, Il decentramento possibile; M.Meschino, Beni e attività culturali nel d.lg. 112/1998: una proposta di lettura e D. Jalla, Il d.lg.112/1998: un occasione (per tutti), ivi. ( 7 ) Si veda il numero monografico Il federalismo alla prova: il caso dei beni culturali,istituzioni del federalismo, 2/1997, con contributi di M.Cammelli, L.Bobbio, P.Leon, A. Andreani, G.Clemente di San Luca, C. Narbati e N. Pisauri, nonché il fascicolo di Economia della cultura (3/1996) dedicato al dibattito sul possibile assetto istituzionale del settore, con saggi di M. Cammelli, L. Covatta, P. Leon e S. Rolando, poi ripreso dal fascicolo 2/1997, con interventi di G. Proietti, G. Galasso, P. Costa e S. Amorosino. ( 8 ) F. Merusi, Commento all art.9 Cost., in Commentario alla Costituzione, a cura di G.Branca, Bologna, 1976, I, p.434 ss e da ultimo S.Foà, La gestione dei beni culturali, Torino, 2001, p.231 ss. La cosa è particolarmente evidente nelle indagini sulla spesa pubblica e dalla consistenza della quota statale e regional/locale, su cui si rinvia a C. Bodo, Rapporto sull economia della cultura in Italia 80/90, Poligrafico dello Stato, Roma, 1994 ( 9 ) V. nota 6. I punti più problematici consistono nella latissima accezione di tutela introdotta nel decreto (il che, in ragione della riserva statale in materia dettata dalla legge di delega, rende marginali i trasferimenti possibili e fortemente condizionati tutti i restanti compiti riconosciuti alle regioni e al sistema locale), nelle modalità del trasferimento (ove, invertendo il criterio generale della legge 59/1997, non sono le funzioni e i beni mantenuti allo Stato ad essere identificati, ma quelli oggetto di trasferimento e dove l onere della inattività delle commissioni, puntualmente verificatasi, è interamente a carico delle regioni), nel sistema dualistico e parallelo di competenze che certo può essere superato su progetti specifici e con accordi, ma che comporta in via ordinaria e generalizzata il costo di una stabile e grave scissione tra tutela e i confinanti, e decisivi, ambiti di intervento regionali e locali (territorio, ambiente, trasporti scuola, formazione, artigianato e turismo). Sull importanza cruciale di queste politiche integrate, v. P. Petraroia, Chi non vuole sentire regioni?, in Giornale dell arte 203/2001, rapporto regioni, p.2 3 sufficientemente paritarie, il risultato paradossale di rendere più facile l affidamento della gestione al settore privato che non agli enti locali con il risultato che la natura di merito dei beni e delle attività è lasciata interamente nelle mani dello Stato centrale ( 10 ), e su quello delle politiche pubbliche una separazione e un dualismo (ben più problematici delle paventate sovrapposizioni) ( 11 ) la cui composizione difficilmente può essere realizzata dalle gracili, e tuttora inesistenti, commissioni paritetiche regionali. Le due realtà, quella statale e quella regional/locale nelle quali di fatto si articola il settore della cultura nel nostro paese, escono dunque dal decreto 112/1998 entrambe formalmente legittimate, ma confermate nel loro rigido dualismo. Quanto alla seconda, e alle cose che in questa sede più ci interessano (outsourcing, sussidiarietà orizzontale, rapporto pubblico-privato) le modalità del terzo decentramento viste dal lato delle autonomie locali rischiano anzi di far fare al nostro tema un passo indietro: trattandosi di trasferimenti tra Stato e enti territoriali, il capo V del decreto 112/1998 deve infatti operare esclusivamente all interno di questo quadro istituzionale senza la possibilità di significative innovazioni sostanziali e organizzative sicché, salvo una eccezione su cui torneremo tra breve, i possibili destinatari e titolari restano solo le regioni e gli enti pubblici territoriali (sussidiarietà verticale). Ma nello stesso tempo, data l esclusione della tutela (e la relativa amplissima definizione), i trasferimenti previsti sono limitati (nel quantum) e potenziali (nell an) alla sola gestione di musei ( 12 ), con il paradossale risultato che l unico effetto certo di questa parte del decreto 112 è, almeno per il momento, la conferma della titolarità e della gestione da parte dei soggetti pubblici, senza l apertura ad altre realtà. La presenza di qualche disposizione estranea a questa rigida logica inter-governamentale, come ad esempio la possibilità di trasferire alle università le biblioteche statali ad esse collegate ( 13 ), non muta il quadro appena descritto e rende, insieme, giustificate le critiche di altri attori ( 14 ) e impraticabili le alternative che pure, e da tempo, erano state autorevolmente avanzate ( 15 ). Il discorso certo non finisce qui, e anzi avremo presto modo di osservare che il capitolo delle esternalizzazioni, del tutto chiuso nella fase del terzo decentramento, si riapre in una sede (e con una logica) diversa, quella della riforma del ministero e del d.lg.368/1998 (v. par.2.4). Ma si tratta, appunto, di un altra storia. Nel decreto 112/1998 le due direttrici, quella della sussidiarietà verticale tra i livelli pubblici di governo e quella della sussidiarietà orizzontale (privatizzazioni, esternalizzazioni, outsourcing), che pure ( 10 ) P.Leon, L economia della riforma, in Economia della cultura, 2/1999, p.144 ( 11 ) L. Bobbio, Il decentramento della politica dei beni culturali, in Le istituzioni del federalismo, 2/1997, p.297. ( 12 ) Non pare dubbio, in ogni caso, che anche tali trasferimenti debbano essere accompagnati dalle relative risorse, in conformità ai principi generali dettati in materia dall art.7.1. legge 59/1997. Questi aspetti, come del resto il modello gestionale prescelto, dovrebbero formare oggetto di un apposito accordo di programma. ( 13 ) Art.151: almeno in un caso, la disposizione ha avuto pratica applicazione: cfr.. A.Serra, L altro decentramento: il trasferimento della biblioteca universitaria di Bologna, in Aedon, 3/2000. ( 14 ) N.Gazzeri, A proposito del d.lg.112/1998: e il volontariato organizzato?, in Aedon, 1/1998. ( 15 ) come la trasformazione dei musei in organismi dotati di autonomia di gestione proposta da L.Bobbio, La riforma Bassanini e i beni culturali, cit. p erano state espressamente collegate nei criteri generali di delega della legge 59/1997 ( 16 ), in questo settore non si sono neppure sfiorate, come invece sarebbe stato tecnicamente possibile e sostanzialmente necessario ( 17 ), né molto di più hanno fatto le regioni con le leggi regionali di attuazione (v. par. 3.2) outsourcing. Nel termine di esternalizzazione si tendono a ricomprendere realtà molto eterogenee sia sul piano concettuale che su quello economico ed organizzativo, con importanti riflessi sul terreno più strettamente giuridico del regime applicabile e degli effetti che ne conseguono. Le tre principali tipologie sono costituite dall affidamento ad altro soggetto (pubblico o privato) di un bene culturale, o di un complesso di attività costituenti servizio pubblico o, infine, di singole attività materiali o comunque strumentali rispetto alla gestione del bene o servizio pubblico. E bene subito annotare che queste modalità, peraltro generali nell ambito della pubblica amministrazione e accomunate dal collocare all esterno dell ente titolare oggetti diversi (beni, servizi pubblici, prestazioni o semplici attività), sono ordinabili anche secondo un criterio diverso: quello di poggiare su provvedimenti unilaterali (fondati sulla separazione tra il titolare originario e il soggetto cui è affidato il bene, il servizio pubblico o la fornitura di un servizio: concessione, appalto di servizi) o di nascere da strumenti di natura contrattuale e pattizia (accordo, associazione, fondazione, società). Per quanto ognuna di queste ipotesi sia collocabile, come si è detto, nell ambito delle esternalizzazioni, è ovvio che nel settore della cultura una particolare attenzione va riservata a questa seconda categoria, nella quale si giocano buona parte delle possibilità di collaborazione pubblico-privato. Un accenno, infine, andrà operato anche al tema delle agevolazioni fiscali che, pur appartenendo evidentemente ad un altro ordine di misure, non solo spesso si intreccia con una delle tipologie precedenti e in fatto rappresenta (o è destinato a rappresentare) un incisivo intervento nei rapporti tra pubblico e privato ma, come vedremo, per certi aspetti si risolve nella collocazione all esterno di una parte dei compiti ordinariamente esercitati dai soggetti pubblici (identificazione in concreto del bene o della attività di cui assicurare la valorizzazione o promozione, o della modalità di gestione del servizio o del tipo di compiti strumentali da collocare all esterno). Anche su questo punto sono necessarie alcune precisazioni. La prima è che la propensione all esternalizzazione, in ragione della estensione e della discrezionalità propria dei poteri pubblici in questa materia, risente direttamente (e inevitabilmente) dell evoluzione delle dinamiche generali pubblico/privato che caratterizza l intera pubblica amministrazione, e tutti sanno quanto le riforme amministrative degli anni 90 abbiano risentito di questi orientamenti. ( 16 ) Come si ricorderà, l art.4.3.letta a prescriveva che i conferimenti avvenissero non solo in conformità al principio di sussidiarietà verticale, ma anche in modo da favorire l assolvimento di funzioni e di compiti di rilevanza sociale da parte delle famiglie, associazioni, e comunità. Più in generale, sul ruolo di comuni e province v. C.Barbati, Nuova disciplina dei beni culturali e ruolo delle autonomie, in Aedon, 2/2000. ( 17 ) Subordinando, ad esempio, la gestione di beni culturali statali trasferibili a progetti specifici fondati sulla collaborazione tra enti locali e privati (L.Bobbio) o prevedendo (è la proposta di N.Gazzeri) la presenza di rappresentanze del terzo settore nelle commissioni miste chiamate a formulare, a livello regionale, i piani pluriennali e annuali di valorizzazione e promozione dei beni e delle attività culturali nonché di coordinamento delle iniziative di soggetti pubblici e privati (art.155.2) presenti sul territorio. 5 La seconda, che in parte corregge quanto appena detto, è che se questo è (evidentemente) vero sul piano descrittivo non lo è altrettanto su quello prescrittivo perché qui, a differenza che altrove, la presenza della mano pubblica in un ambito che è innanzitutto retto dal principio della libertà ( 18 ) si giustifica, ed anzi è dovuta ( 19 ), in quanto riesca ad alimentare il pluralismo ( 20 ), vale a dire la pluralità delle espressioni culturali. Il che significa che il collocare all esterno beni, servizi o funzioni non deve essere apprezzato solo in termini aziendali per le ricadute che ne derivano sul piano della funzionalità, ma anche (anzi, preliminarmente) sul metro di questi valori. Questo certo non si traduce, ovviamente, in un generalizzato obbligo a esternalizzare, ma è sufficiente per riallocare il problema dell outsourcing dal piano dei costi/benefici a quello, ben più complesso, della libertà dei singoli e dei soggetti sociali e delle condizioni, interne al sistema pubblico o al di fuori di questo, nelle quali il pluralismo è comunque assicurato. La terza è in qualche modo connessa alla seconda perché esternalizzazione, in senso etimologico, esprime un moto da luogo (dal pubblico/statale ad altro) scontandone un presupposto (la presenza pubblica) che invece, in un settore ispirato ai principi della libertà e del pluralismo, va precisato come si è appena detto. Inoltre, il patrimonio culturale ecclesiastico, quello dei privati (dimore storiche, archivi, raccolte, ecc.) e le fondazioni esclusivamente private a base associativa ( 21 ) sono lì ad indicarci che quello che conta è il punto di osservazione prescelto e che, se partiamo da queste realtà l esternalizzazione, come restituzione di spazi a questi soggetti, andrebbe in realtà letta (anche) come moto a luogo. Tutto ciò non riguarda solo il piano della gestione, che pure è il più naturale e immediato: si estende anche ad aspetti chiave delle politiche di settore quali la programmazione e la selezione, su cui incidono l espressione delle domande, la proposta di interventi o la segnalazione di priorità ( 22 ). Ne resta estraneo invece il momento più squisitamente regolativo, e in particolare la tutela in senso stretto, che non può che restare nella disponibilità della pubblica amministrazione. Fin qui le tematiche più rilevanti sollevate dalle ipotesi di outsourcing. Un accenno a parte meritano ipotesi che, proprio perché estranee alle questioni fin qui accennate, non costituiscono oggetto delle presenti considerazioni. Si tratta di un area apparentemente minore, con qualche eccezione ( 23 ) inesplorata dai giuspubblicisti, e non sempre riconducibile alla accezione di esternalizzazioni cui si è fatto riferimento (e, quando vi rientra, riguarda l espletamento di attività materiali e strumentali): ma non si può fare a meno di notare che provvedimenti come quelli per gli obbiettori di coscienza e gli studenti part-time (le collaborazioni studentesche ex lege 390/1991), per l imprenditoria ( 18 ) art.33.1 Cost.: L arte e la scienza sono libere e libero ne è l insegnamento ( 19 ) art.9.1 Cost.: La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura... ( 20 ) M.Ainis, Cultura e politica, Padova, Per l espressione riportata, Id, Tutela dei beni culturali e ruolo delle Regioni, con particolare riferimento alla Regione siciliana, in Rivista giuridica del Mezzogiorno, 3/2000, p.835. ( 21 ) Come il FAI, con oltre 60 delegazioni provinc