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Amadeus_n._315_febbraio_2016.

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315 Amadeus ANNO XXVIII - NUMERO 2 (315) FEBBRAIO 2016 EURO 11,00 MENSILE POSTE ITALIANE SPED. IN A. P - D.L. 353/2003 CONV. L. 46/2004, ART. 1, C. 1, LO/ MI Il Quartetto per archi / Anniversari: Tosti / Grimaud / Puccini / Emma Dante / United Nations Orchestra ANNO XXVIII - FEBBRAIO 2016 Il mensile della grande musica CD1 ESCLUSIVO Talenti italiani Quartetto Noûs il futuro è già qui CD2 download Speranza&Ciccarelli Le Romanze di Tosti Amadeus Pianisti Hélène Grimaud Storia&Storie Puccini critico musicale Tendenze Vietato annoiarsi Quartetto Noûs 60002 9 771120 454004 numero 315 febbraio 2016 € 11,00 2 Amadeus Amadeus 3 T H E R O YA L O P E R A AGORÀ Firenze batte Napoli A lla fine l’accordo è stato trovato, Orchestra e Coro hanno approvato l’operazione, ma sulla vicenda di Zubin Mehta al Maggio restano delle ambiguità. Nel suo camerino al San Carlo di Napoli, il giorno della prova generale della Carmen che ha inaugurato la stagione, Zubin Mehta aveva il ritaglio di un’edizione fiorentina sul caso che lo vedeva protagonista (suo malgrado) da giorni: di fatto, Firenze lo stava demansionando. Dopo trent’anni, non sarà più direttore principale dell’Orchestra dell’Opera di Firenze. Al suo posto, designato nel 2016 ma effettivo dal 2018, arriva Fabio Luisi come direttore musicale. Nome apprezzato da Mehta. Il quale a sua volta è stato nominato direttore emerito a vita. Il sindaco di Firenze Dario Nardella, che era preoccupato perché da politico conosce le regole del consenso e sa quanto Mehta sia amato a Firenze, ha scritto un messaggio entusiasta su Facebook: «Mehta rimarrà per sempre al Maggio». E in un comunicato l’Opera di Firenze ha parlato di «svolta storica». Peccato che Mehta fosse già (dal 2006) direttore onorario a vita: da onorario a emerito, cosa cambia? Che ci fosse un po’ di coda di paglia, lo dimostra il fatto che Nardella si è soffermato a lungo prima su Mehta, e poi sulla vera notizia, e cioè che il nuovo capo dell’Opera di Firenze è Fabio Luisi. Non era facile spiegare alla città perché sia stato demansionato uno dei pochi direttori di prima grandezza (quanti ce ne sono alla guida dei teatri italiani?). Solo ragioni anagrafiche? A Firenze Mehta come direttore principale curava soltanto i suoi spettacoli, mentre Luisi come direttore musicale sarà responsabile dell’intera programmazione. Questo è uno dei nodi Come le due città si sono contese Mehta, che resta al "suo" Maggio, lasciando il timone a Luisi TALVOLTA AMARE QUALCUNO SIGNIFICA LASCIARLO ANDARE VIOLETTA VALÉRY VENERA GIMADIEVA ALFREDO GERMONT SAIMIR PIRGU | GIORGIO GERMONT LUCA SALSI TRAVIATA MUSICA GIUSEPPE VERDI | REGIA RICHARD EYRE | DIRETTORE D’ORCHESTRA YVES ABEL IN DIRETTA AL CINEMA IL 4 FEBBRAIO - ORE 19,45 Image by AKA (©ROH, 2015) LA più delicati della vicenda: Firenze ha avuto sì un grande direttore, ma, come dire, “a mezzo servizio”: i contratti li firma di volta in volta, per ogni singolo spettacolo che lo vede coinvolto. Insomma, se ha fatto crescere molto l’orchestra, non era coinvolto nella macchina organizzativa e artistica, e un teatro ha tutto il diritto di trovare un ammiraglio in grado di scendere anche nella stiva, di sporcarsi (nel caso) di grasso e di mandare avanti la nave. Mehta compirà 80 anni in aprile e, parola del sindaco, potrà dirigere a Firenze quanto e come vorrà fino al 2023 (l’ultimo impegno lirico al momento è il previsto Don Carlo del 2017). La nuda verità è che a Firenze si chiude l’era Mehta e si apre l’era Luisi. E Mehta, che pure ha vissuto male questa vicenda, da uomo pragmatico, ha accettato la situazione. Chi in questa vicenda ne esce malissimo è il sindaco di Napoli Luigi de Magistris. Il quale, insieme con il vertice del San Carlo che lui presiede, aveva mandato una lettera che in realtà era una supplica scomposta a Mehta affinché assumesse le redini del teatro. Cominciava così: «La Città di Napoli, il Teatro di San Carlo, i Professori d’Orchestra, gli artisti del Coro, i tersicorei, il personale tecnico, le maestranze tutte…». Il sindaco ricordava al celebre direttore l’emozionante Tristano e Isotta con cui aveva fatto il suo debutto lirico assoluto al San Carlo. E poi: «Caro Maestro, a lei scegliere la forma, Direttore Principale? Direttore Principale Ospite? Direttore in residence? Direttore residente ospite?». De Magistris ha corteggiato Mehta entrando a gamba tesa nella delicata trattativa tra il grande direttore e una città, Firenze, in cui svolge un lavoro continuativo da trent’anni. Il sindaco nel foyer del San Carlo rispondeva a chi gli chiedeva novità sulla proposta a Mehta: «Incrociamo le dita». Conoscerà di sicuro il codice, l’ex magistrato, ma il galateo, quello non lo conosce proprio. Valerio Cappelli www.rohalcinema.it Amadeus 5 12A è il grado di censura previsto dal British Board of Film Classification per tutti gli spettacoli: tutti i minori di 12 anni devono essere accompagnati da un adulto Grandangolo Body Scores è un nuovo progetto del compositore Jacopo Baboni Schilingi presentato in Francia, Cina, Giappone e questo mese negli Usa: il 3 dicembre a New York (The Spectrum) e il 9 alla Harvard University. Racconta Baboni Schilingi: «Da anni non scrivo più su carta da musica, tanto meno al computer. Scrivo su corpi di modelli e modelle. Scrivere a mano sulla pelle mi obbliga a un più alto livello di concentrazione poiché non è possibile correggere. Ho deciso di trasformare la fase di scrittura di una partitura in performance. Credo nell’autenticità della calligrafia e Body Scores è il mio modo di affermarlo!». Body Scores è anche un libro fotografico pubblicato dalla casa editrice francese NNO-Design. Info: innodesign.fr. Foto di Jacopo Baboni Schilingi Grandangolo Il pianista russo-tedesco Igor Levit, interprete tra i più intensi e originali della sua generazione e l’artista serba Marina Abramović, icona dell’arte contemporanea, sono stati protagonisti di “Goldberg”. Una performance straordinaria allestita nei suggestivi, vasti spazi (più di 5.000 metri quadrati) della Wade Thompson Drill Hall al Park Avenue Armory di New York, antica armeria costruita dai volontari di Lincoln nel 1861 divenuta uno dei luoghi teatrali più all’avanguardia della Grande Mela. Foto di Marco Anelli La foto del mese mancano (ultimo duetto Zenobia-Arsace ad esempio). Ma lo spettacolo di Mario Martone, con le scene semplicissime, fatte di siparietti multifunzionali, di metastorici di Ursula La performance artist, ha adattato il suo celebre “metodo Abramović” per introdurre il pubblico alla musica, «la più immateriale delle arti». Depositati tutti gli effetti personali in un armadietto, dotati di cuffie antirumore, gli spettatori si sono accomodati su sedie sdraio per un lungo periodo di tempo prima di togliere le cuffie e ascoltare Levit eseguire le Variazioni Goldberg. Foto di James Ewing La foto del mese mancano (ultimo duetto Zenobia-Arsace ad esempio). Ma lo spettacolo di Mario Martone, con le scene semplicissime, fatte di siparietti multifunzionali, di metastorici di Ursula Igor Levit ha inciso per Sony Classical, un triplo cd proprio dedicato al tema “Variazioni” nel quale oltre al capolavoro di Johann Sebastian Bach, interpreta le Diabelli di Beethoven e le 36 Variazioni costruite dal compositore e pianista statunitense Frederic Rzewski sul tema El pueblo unido jamás será vencido! (vedi a pag.100). In febbraio Levit sarà in tournée negli Usa con un programma dedicato a Bach, Schubert, Beethoven e Prokov’ef e poi in Europa per una lunga serie di concerti. Info: igorlevit.com Foto di James Ewing SOMMARIO 5 Agorà di Valerio Cappelli 6 Grandangolo 17 Il lettore 18 Quattro/quarti 22 IL DISCO Il Quartetto per archi di Cesare Fertonani Quartetto Noûs di Gregorio Moppi 30 IL DOWNLOAD Speranza&Ciccarelli di Claudia Abbiati 33 IN SCENA Anteprima La critica di Michele dall’Ongaro, Giovanni Gavazzeni, Giordano Montecchi, Giorgio Pestelli 50 Francesco Paolo Tosti: dal cenacolo dannunziano di Francavilla al Mare alla corte della regina Vittoria, ritratto del celebre "maestro della romanza da salotto" a cento anni dalla scomparsa 49 Appunti 50 Francesco Paolo Tosti di Giovanni Gavazzeni 54 Hélène Grimaud di Federico Capitoni 58 Storia&Storie: Puccini critico musicale 62 Emma Dante di Valerio Cappelli 66 Tendenze: vietato annoiarsi 70 United Nations Orchestra 74 Antica di Massimo Rolando Zegna 75 Musicaoggi di Paolo Petazzi 76 All’opera di Emilio Sala 77 Danza di Valentina Bonelli 78 Jazz di Franco Fayenz di Alberto Cantù di Luisa Sclocchis di Edoardo Tomaselli 54 Intervista a Hélène Grimaud: Water, il suo ultimo "fluido" progetto musicale, ora è diventato un disco. Dopo i lupi, la natura ispira ancora la pianista francese SOMMARIO 80 Fuoritema di Riccardo Santangelo 81 Fondazione Amadeus 82 Education di Carlo Delfrati e Pietro Dossena 84 Note di viaggio di Luigi di Fronzo 86 Mecenati di Edoardo Tomaselli 88 A tavola con Falstaff di Ambrogio Maestri 91 LIBRI 93 Lo scaffale di Paola Molfino 94 Hi Tech di Andrea Milanesi 96 News in studio di Giuseppe Scuri 99 DISCHI 109 Imperdibili di Cesare Fertonani 110 CALENDARIO 118 Addii di Oreste Bossini 122 La conversazione di Alessandro Cannavò 58 Giacomo Puccini: l'Epistolario rivela il compositore lucchese nell'inedita veste di critico musicale riservata a familiari, amici e collaboratori, un incredibile assieme di gusti, giudizi e intuizioni CD 1 ANTON WEBERN Langsamer Satz FELIX MENDELSSOHN Quartetto per archi n. 6 op. 80 PËTR IL'JČ ČAJKOVSKIJ Quartetto per archi n. 3 op. 30 Quartetto Noûs guida all’ascolto di Vittoria Fontana CD 2 in download FRANCESCO PAOLO TOSTI Romanza italiana Ivanna Speranza, soprano Enrica Ciccarelli, pianoforte codice IS315EC16 Amadeus Periodico di cultura musicale edito da Bel Vivere S.r.l. Anno XXVIII numero 2 (315) febbraio 2016 Direttore responsabile Gaetano Santangelo In copertina, Quartetto Noûs (Foto di Lidia Montanari) amadeusonline.net IL LETTORE pordenone ad opera di artisti sempre ai massimi livelli di eccellenza, come confermano gli oltre 25 anni di storia della rivista e proprio il numero di dicembre attualmente in edicola, dedicato a Giovanni Antonini e al “suo” Giardino Armonico. Ovviamente una programmazione che appunto fa riferimento a interpreti di questo calibro non si può mai improvvisare e noi, oltre ad avere praticamente chiuso il calendario dell’anno prossimo, stiamo già lavorando ai progetti per il 2017. E saranno sorprese più che gradite per tutti gli amanti della grande musica! REFLEX Antiruggine 39a serie I CONCERTO DI APERTURA DOMENICA 7 FEBBRAIO CHLOE MUN PIANOFORTE Primo premio 60° Concorso Pianistico Internazionale “F. Busoni” Bolzano 2015 Musiche di F. Chopin in collaborazione con Concorso Pianistico Internazionale “F. Busoni” di Bolzano e Associazione Musica Pura Pordenone DOMENICA 14 FEBBRAIO DOMENICA 28 FEBBRAIO Musiche di Repnikov, Angelis, Buxtehude, Zubickij, Čajkovskij, Bonakov in collaborazione con Conservatorio di Trieste TRIO JOY Ana Avšič violino Domen Hrastnik violoncello Julija Zadravec pianoforte LE REALTÀ CONCERTISTICHE DEI CONSERVATORI E DELLE SCUOLE DI MUSICA DEL TRIVENETO Auditorium Lino Zanussi, ore 11 Centro Culturale Casa A. Zanussi Pordenone Al termine di ogni concerto verrà offerto un aperitivo Michele Toppo fisarmonica Ozren Grozdanić fisarmonica Una iniziativa Musiche di Haydn, Brahms, Piazzolla in collaborazione con Università di Lubiana con il sostegno PROVINCIA DI PORDENONE DOMENICA 6 MARZO JAZZ ENSEMBLE DEL CONSERVATORIO DI VENEZIA Massimo Parpagiola sax tenore e soprano Jacopo Giacomoni sax alto Paola Furlano voce Arrigo Cappelletti pianoforte Alvise Seggi contrabbasso Raul Catalano batteria Musiche di Andrew Hill e Arrigo Cappelletti in collaborazione con Conservatorio di Venezia INGRESSO LIBERO www.centroculturapordenone.it l Manifesto lo trovate sul sito antiruggine.eu: «Antiruggine, perché nel “capanon”, luogo che useremo per dar vita ai pensieri e alle idee, una volta si lavorava il ferro. Lavoro duro, materia di fuoco e terra, che la tenacia, la passione, l’intelligenza arriva a piegare e dar forma. Non lasciamo la nostra mente alla ruggine. Metti antiruggine». Quest’idea si deve alla fervida mente di Mario Brunello, che non regala solo musica, ma fantasia e stimoli. Il capanon di Brunello è un luogo simbolo carico di significati. Si parte dalla ruggine, che è qualcosa che aggredisce lentamente e inesorabilmente, ma non è una conseguenza da imputare solo all’invecchiamento, la ruggine aggredisce a tutte le età. Entrare quindi nel capanon non è solo un gesto simbolico ma un modo di vivere. Qui dove si forgiava il ferro e si usava il fuoco, la forza, l’incudine, il martello… Si deve entrare con cautela e con rispetto perché qui ancora si lavora. È un lavoro quello che compie il musicista per trarre le melodie dal suo strumento. È un lavoro lo studio del musicologo che cerca di dare significato e pensiero al linguaggio della musica. È un lavoro quello di chi non forgia il ferro ma le idee. Perché se vuoi evitare la ruggine non devi fermarti alla superficie delle cose. Devi battere il ferro delle idee reso incandescente dalla gioventù e poi forgiarlo fino a farlo diventare oggetto, utensile, opera d’arte. Ma per ottenere tutto ciò ci vuole l’antiruggine. E qui occorre molta fantasia, almeno quanta ne ha messa Brunello nel realizzare questa sua idea che meriterebbe di uscire da Castelfranco Veneto e percorrere le vie di questo Paese per dare a tutti l’idea di libertà, che troverete varcando la soglia del capanon. Un’idea che viene dalla cultura, dal dialogo, dalla conoscenza. Ecco perché mi piacerebbe che qualcuno si prendesse l’impegno di moltiplicare lungo la penisola i capanon dove con la cultura si combatte la ruggine. Attualità e qualità da scoprire mese dopo mese Per un editore, com’è noto, l’abbonamento costituisce la miglior garanzia di fedeltà di un lettore. Ecco perché, soprattutto in questo periodo dell’anno, si moltiplicano le offerte e i lettori più fedeli si lasciano tentare dal risparmio o da un omaggio. La nostra proposta, corredata di non pochi vantaggi, di sottoscrivere un abbonamento ad Amadeus ha provocato una richiesta legittima da parte di un affezionato lettore. In sostanza egli ci dice: Facebook 19 dicembre 2015 (...) Mi chiedo come sia possibile abbonarsi “al buio”, senza cioè sapere il programma delle pubblicazioni e i contenuti dei cd allegati. Sicuramente la redazione di Amadeus decide “strada facendo” il percorso delle pubblicazioni mensili, rendendo impossibile una programmazione anticipata delle stesse. La mia è un’ipotesi, ma credo verosimile. Continuerò ad aspettare il primo del mese per vedere, con grande interesse, il contenuto del cd allegato. Marco Tagliabue La pronta risposta del nostro responsabile artistico Andrea Milanesi è stata chiara ed esauriente: Abbonandosi “al buio” il lettore di Amadeus è sicuro che ogni mese potrà trovare una registrazione inedita Altrettanto pronta è stata la replica di Marco: Perfetto, allora non sarebbe possibile – per un affezionatissimo e vecchissimo lettore – conoscere l’elenco dei cd in programma per il 2016? So bene che si tratta di repertorio selezionato e interpreti di prim’ordine ma… mi basterebbe gradirne sette/otto su dodici e l’abbonamento sarebbe assicurato! Marco Tagliabue L’abbonamento sarebbe assicurato. La prova che si tratta di un lettore attento e affezionato è data dalla fitta corrispondenza che anche in passato si è svolta con la nostra redazione riguardo al repertorio dei cd allegati alla rivista. Si tratta di segnalazioni spesso condivisibili ma solo in linea puramente teorica, dato che quando si calano nella realtà di un lavoro che presenta rigidità e complessità non comuni è proprio il caso di dire che la musica cambia. Abbiamo più volte affrontato questi temi nel corso dei 26 anni di vita di Amadeus e siamo quindi adeguatamente preparati a motivare le nostre scelte. Detto questo, e sulla base della risposta di Milanesi, risulta un po’ più difficile spiegare le ragioni che ci impediscono di diffondere l’elenco dettagliato dei cd allegati ai prossimi numeri. Nell’intento di fornire sempre il meglio, capita nel corso dell’anno di dover sostituire un cd con un altro. Talvolta si tratta di una sostituzione definitiva, tal’altra di un semplice rinvio: perché rinunciare a una registrazione importante ma disponibile solo per un breve periodo (vedi per esempio il numero di giugno 2014 con Claudio Abbado o di genna- io 2015 con Daniel Harding, o dicembre 2015 con Il Giardino Armonico)? Perché dar seguito a una registrazione che l’artista o i nostri responsabili artistici ritengono inadeguata? Come far fronte ai ritardi nella consegna di un master? Non è difficile immaginare che questi spostamenti di titoli da un mese all’altro o sostituzioni provocherebbero reazioni e lamentele da parte di molti lettori. Vi sono infine ragioni più complesse: l’attenzione con cui il nostro lavoro di produttori di novità discografiche è seguito da chi opera in questo settore ci ha messo di fronte, in più di un'occasione, alla sorpresa di vederci anticipati con gli stessi titoli da nostri concorrenti: può essere un caso? Amadeus non è un collezionabile monografico come quelli proposti dai quotidiani. Amadeus è un mensile di informazione e cultura musicale e la decisione di non anticipare le informazioni sulle nostre uscite è ampiamente giustificata e accettata senza batter ciglio dalla maggioranza dei nostri lettori (praticamente tutti). Gaetano Santangelo Lettere al Direttore [email protected] facebook.com/Amadeus.Rivista twitter.com/AmadeusOnlineIT Amadeus 17 [email protected] C Jeu de cartes Cronaca minima C’è musica su Marte Repert(or)i LA VITTORIA DELLA METRICA INGIURIE A SCENA APERTA L’INCREDIBILE HULK REGINA ELISABETH Michele dall'Ongaro Giovanni Gavazzeni Giordano Montecchi Giorgio Pestelli ome sanno i cultori della radio e della II guerra mondiale in codice Morse tre punti e una linea formano l’iniziale V di Victory. Tre brevi e una lunga. Sillabe, ad esempio: la classificazione di questo piede della metrica greca dipende dalla posizione della sillaba lunga. Il peone quarto (una delle due sostituzioni naturali del cretico) con la sillaba lunga all’ultimo posto dopo le tre brevi ci ricorda come sappiamo l’attacco della Quinta di Beethoven: Ta-ta-ta taaaaaaaaa. Certo: l’omaggio ad Apollo qui sfugge un po’ ma questa arcinota opera del “Divino Sordo” (copyright Mario Bortolotto) è una sorta di peana. E qui torniamo alla V di Victory perché da canto lirico religioso il peana diventa canto di guerra e di vittoria, appunto. Come dire: I greci, Beethoven e gli alleati si sono parlati a distanza senza saperlo. Che questo piede innervi la Sinfonia in lungo e in largo tutti lo sanno. Ma questo legame è più sottile di come a volte sembra: se perfino un orecchio distratto riconosce “il destino che bussa alla porta” anche nel tema del quarto movimento bruscamente abbaiato dai corni altre apparizioni appaiono più sfumate. Le prime due battute dell’Andante con moto, ad esempio, hanno proprio questa scansione metrica, occultata tra semicrome puntate. Però se cantate gli accenti sulle tre note dei tre movimenti della prima battuta e sul battere della seconda (do, do, lab, fa) ritrovate il motto iniziale. Non è una citazione come nel successivo Allegro però contribuisce a dare unità strutturale non solo per la gioia degli analisti ma anche per l’ascoltatore occasionale che comunque percepisce una coesione di senso e una direzionalità drammaturgica chiara che è una delle chiavi principali per capire il successo di questo testo sacro. Peraltro questo metro è una “parola” comune nella tradizione: dalle canzoni dei Gabrieli ai concerti di Mozart, dalle sinfonie di Haydn (la 96, per dirne una) allo stesso Beethoven (dall’op. 10 n. 1 alla Appassionata) la V di Victory svetta sul fronte della Musica con gagliarda fierezza. 18 Amadeus 4/4 4/4 I rapporti fra direttori d’orchestra e registi sono mutati. La messa in scena è passata dalle mani dei compositori e/o degli editori (come al tempo di Verdi) a quelle dei grandi direttori d’orchestra (uno degli ultimi registi-direttori, non dotati, fu Herbert von Karajan). Oggi si parla della Cenerentola della Dante, del Don Giovanni di Carsen. Indicativo, emblematico quanto successo alla Scala alla conclusione dell’inaugurazione della stagione con la Giovanna d’Arco: le ingiurie che la coppia registica Moshe Leisher & Patrice Caurier (uno o entrambi poco conta) hanno rivolto al maestro Riccardo Chailly davanti a tutte le maestranze del teatro e ai cantanti scavalca qualsiasi immaginazione, e meriterebbe decise prese di distanza, se non sanzioni. A tanto si è arrivati per la scriteriata licenza, con cui i reggitori dei teatri bambagiano i sedicenti “registi”. Siamo al paradosso che per seguire i capricci dei “pensatori” scenici si diminuiscono le prove musicali. Tutti sproloquiano della messa in scena (argomento potabile, dove possono accedere anche i dilettanti) e pochi sono in grado di misurare una concertazione musicale. La responsabilità è delle bacchette, troppo spesso anestetizzate nel proprio egotismo o rassegnate al divismo altrui, come se la messa in scena non li riguardasse. In questo bailamme non si sa più di chi è la colpa, e la regia non nasce più all’interno della musica, ma sopra, di fianco con glosse di drammaturghi a foglio paga, o peggio, contro. Non conta più nemmeno il risultato: i reprobi, pur sommersi da fischi, vengono scritturati nuovamente, rampognando, si capisce, l’arretratezza del pubblico. Nel recente passato ci sono state contestazioni fortissime, ma alla Scala tutti hanno fatto quadrato. Se dopo un franco successo, ai bronci e alle ripicche si risponde con plateale, isterica scurrilità, dov’è finita l’unicità del tempio piermarinesco? N ell’avvicendarsi dei nostri amori musicali ci sono stagioni in cui siamo posseduti da questo o quell’autore, alcuni dei quali incancellabili, nel loro andirivieni carsico. Momenti felici di solito, di abbandono, a volte di ebbrezza o lacrime. Schubert ad esempio. Ultimamente, il caso mi ha fatto incrociare tre pianisti – due immensi e il terzo molto famoso – impegnati con la sua ultima Sonata: così dolce in si bemolle e così tristemente postuma. Per il primo fu un mirabolante esercizio di stile, degno della grandezza indiscussa del pianista, maestro forse oggi ineguagliato di articolazioni, polifonie, nitidezze, ma anche perlage, velature, sfumature, nonché cantabilità e lirici abbandoni. Per il secondo fu l’epifania di un’affinità elettiva. Sublime tout court. Iperuranica persino, nella più pura accezione platonica. E poi il terzo. Gigante, dominatore della tastiera nel senso più atletico e muscolare del termine. Un virtuoso rotto a tutti i Liszt e Rachmaninov che si piega sull’esile Schubert. Capita non di rado, ultimamente, che questi interpreti del repertorio pianistico trascendentale dedichino le loro attenzioni proprio a Schubert. Cos’è in lui che attira oggi certi culturisti della tastiera? Moda? Sazietà da troppe note? Brivido estetico della nudità francescana, come una sorta di ecologia sonora? Oppure tentazione egolatrica di impugnarne a modo proprio il testo? Traendo magari lava incandescente dall’interno dei “...molto moderato”, “...con delicatezza”, “...ma non troppo”? Nella fattispecie, fu l’ultima opzione, purtroppo. Ne usciva uno Schubert siliconato, il cui inizio, così adamantino e quieto, risultava animato da un’inopinata inquietudine di rubati e narcisistici saliscendi dinamici, laddove per ben 33 battute quel pp iniziale dovrebbe rimanere immutato, parmenideo. Il resto andò di conseguenza, e prepotenza, da iscrivere nella serie «Ecco a voi il MIO Schubert». Inquinamento, non ecologia. P oco più di un secolo fa nasceva Elisabeth Schwarzkopf (il 9 dicembre 1915) e per celebrarla Warner Classics ha prodotto un cofanetto con trentuno cd incisi fra il 1952 e il 1974 e comprendenti interi album di Lieder, oltre a una quantità di arie da opere e operette, più un paio di recital dal vivo. Repertorio classico-romantico per eccellenza, da Mozart a Richard Strauss, quindi per lo più conosciuto, ma con molte cose da riscoprire in una testimonianza così ampia; la cosa che colpiva di più in quella grande artista era lo stesso impegno, assoluto e totale, che investiva in qualunque cosa cantasse, un’aria da eroina tragica come una canzoncina di Natale o un Lied popolare: era lei, intera, in ogni pagina, e qui è facile rendersene conto. Nelle sue corde, ma anche nella bellezza luminosa e fin negli abiti che indossava nei concerti liederistici, era di una dignità severa e composta, quasi monumentale, non ci fossero state grazia e amabilità ad alleggerirne l’effetto. Incantevole quello «sciocca!» con cui redarguiva Dorabella in Così fan tutte, quando la sorellina inclinava ad accettare qualche vezzo amoroso; e tuttavia com’era piena d’indulgente esperienza nell’ultima scena del Rosenkavalier quando, voltandosi di tre quarti, porgeva la mano da baciare alla coppia dei giovani. Nel cofanetto c’è anche il recital dedicato a Hugo Wolf con Furtwängler al pianoforte e registrato al Festival di Salisburgo nel 1953: quasi un passaggio di consegne fra il sommo direttore e la cantante nel pieno della gloria (ma già sui quarant’anni, in una carriera ritardata dalla guerra); si ritrovano qui, sparse a piene mani, tutte le pietre preziose del suo stile: fra i Lieder su testi di Goethe, da risentire subito Die Bekehrte (La convertita) con il conturbante, misterioso esotismo dei suoi “Ralla-la”; idem per l’umorismo malignetto dei tre re magi (“Epiphanias”), con Furtwängler che si diverte un mondo ad accompagnare la scenetta dal pianoforte. Amadeus 19 12 numeri a soli 99 euro ogni anno 12 numeri e 24 cd (12 cd inediti + 12 cd in download) non perdere questa offerta! 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N. scadenza ......................................... ccv ................................ data....................................................................... firma ...................................................................................... Il disco Quartetti per archi Fragile armonia Breve fenomenologia di un genere cameristico ideale e puro, organismo delicato e sensibile, sfida assoluta per compositori e interpreti di Cesare Fertonani P er tutto ciò che il quartetto per archi ha rappresentato – e continua a rappresentare ancor oggi – è impossibile sottovalutarne l’importanza nella storia della musica. Tale importanza ha inizio nella seconda metà del Settecento grazie a Haydn, Boccherini e Mozart e si fonda su aspetti tanto musicali quanto sociologici e culturali. Con le sue quattro parti – due acute (violini), una mediana (viola) e una grave (violoncello) – il quartetto è anzitutto un organico ben equilibrato nei registri e nelle sonorità, omogeneo nel timbro degli archi ma al contempo dal registro molto esteso: un assetto ideale dal punto di vista tanto contrappuntistico (il trattamento paritario dei quattro strumenti è il presupposto essenziale della loro reciproca interazione e integrazione) quanto armonico (la scrittura a quattro parti consente di impiegare gli accordi in modo essenziale, senza raddoppi superflui). D’altro canto, nel genere si scorge da subito l’immagine sonora di una conversazione musicale: in un quartetto, per citare le celebri parole di Goethe, «si ascoltano quattro persone ragionevoli che s’intrattengono, si crede di trarre partito dal loro discorrere e di conoscere i particolari tratti caratteriali degli strumenti» (lettera a Zelter, 9 novembre 1829), e la metafora contribuisce ad accentuare, nell’estetica del genere, il ruolo della struttura formale, del tessuto dialogico e della relazione tra le parti. Con raccolte capitali come l’op. 20 (1772) e l’op. 33 (1781) di Haydn il quartetto diviene a Vienna il genere per eccellenza della musica da camera, l’emblema stesso dello stile classico e dunque l’ideale corrispettivo della sinfonia: per questo esso presuppone esecutori tanto abili quanto dedicati e si rivolge a un pubblico scelto e attento di intenditori, in grado di apprezzarne l’equilibrio e l’integrazione delle parti, le sottigliezze della scrittura, la fantasia delle tessiture strumentali, la trama musicale finemente lavorata e intessuta, il tono appunto di conversazione. Nelle sue memorie (1826) il tenore irlandese Michael Kelly, amico di Mozart e primo interprete di Basilio e Don Curzio nelle Nozze di Figaro, racconta di una serata in cui Haydn e Dittersdorf ai violini, Mozart alla viola e Vanhal al violoncello eseguirono quartetti davanti a una ristretta cerchia di ascoltatori, tra i quali Paisiello, commentando che «non si poteva immaginare una delizia più grande o straordinaria». Il quartetto diventa il simbolo non soltanto estetico ma anche sociale della musica strumentale per raffinati intenditori, eseguita in privato: in un articolo anonimo apparso sull’Allgemeine Musikalische Zeitung (16 maggio 1810) si legge che «è impossibile odiare qualcuno con cui si è fatta musica seriamente e coloro che in qualche stagione invernale si sono liberamente uniti per suonare quartetti stringono amicizia per il resto della loro vita». Da allora sino a oggi il prestigio estetico del quartetto per archi non è mai venuto meno. Quando un autore scrive un quartetto non compone un pezzo qualunque, ma s’impegna in una prova decisiva sulla base della quale – egli lo sa bene – la critica e il 22 Amadeus pubblico più competente misurerà il suo talento e la sua arte. Nella sinfonia un compositore può sfruttare le risorse di timbro e di colore date dalla varietà degli strumenti dell’orchestra, nel concerto il potenziale drammatico del rapporto tra l’individuo (il solista) e la società che lo circonda (l’orchestra); nel quartetto, invece, dovrà invece concentrarsi piuttosto sulla struttura formale e sulla logica musicale in quanto tali. Se fino a un certo momento a eseguire queste musiche negli ambienti aristocratici e borghesi possono esserci anche appassionati dilettanti, nell’Ottocento iniziano a formarsi quartetti d’archi di professionisti, come quelli di Ignaz Schuppanzigh – amico di Beethoven e Schubert – a Vienna o di Pierre Baillot a Parigi, e la musica da essi eseguita entra nei programmi dei concerti pubblici. unQUARTETTOsecondoBRECHT Sotto i verdi alberi del pepe i musicisti battono il marciapiede, in coppia con gli scribacchini. Bach ha un quartetto battonesco nel taschino. Dante dimena il deretano magro. Bertolt Brecht Da Hollywoodelegien 4, in Poesie II (1934-1956), Torino, Einaudi, 2005, pag. 383 (traduzione di Roberto Fertonani) Nella prima metà del secolo la complessità compositiva e le crescenti difficoltà tecniche rendono infatti questo genere sempre più inaccessibile alla maggior parte dei dilettanti: punti di svolta al riguardo sono tanto la diffusione dei quatuors brillants (in cui prevale il virtuosismo solistico del primo violino) di autori come Viotti, Rode o lo stesso Baillot quanto i tre Quartetti op. 59 (1805-06) di Beethoven, dedicati all’ambasciatore russo a Vienna, Andrej Rasumovskij, e poi dai Quartetti D 804, D 810 e D 887 (1824-26) di Schubert, con i quali l’autore affermò di volersi spianare «la via verso la grande sinfonia» (lettera a Josef Kupelwieser, 31 marzo 1824). Proprio l’ingresso della musica da camera nelle stagioni dei concerti pubblici segna una differenza di ruolo sempre più marcata tra chi fa musica e chi l’ascolta: una platea di intenditori paga per apprezzare le adeguate esecuzioni di abili professionisti. L’intreccio di aspetti musicali e sociologici si coglie nel proliferare in tutta Europa di formazioni professionali come i Quartetti Hellmesberger (1849), Armingaud (1855) e Joachim (1869) nonché di associazioni di musica da camera, come la London Quartet Society di Londra (1846) e le Società del Quartetto fondate in Italia a Firenze (1861), Napoli (1862) e Milano (1864). D’altro canto questo spostamento d’accento sulla dimensione pubblica di un Amadeus 23 genere che aveva avuto origine nella sfera privata dei palazzi aristocratici non pregiudicò affatto il tono intimo e raccolto né tanto meno la diffusione del quartetto tra la borghesia colta, ceto portatore della musica da camera dell’Ottocento. Si pensi alla cerchia degli amici di Brahms, che dedica i suoi quartetti per archi a due illustri amici medici: il dittico dell’op. 51 (1873) al chirurgo – pianista e violinista –Theodor Billroth e l’op. 67 (1876) al fisiologo – e violoncellista – Theodor W. Engelmann. Sul piano della storia compositiva entro il 1800 prevale il quartetto di tradizione classica, alla cui definizione dopo Haydn e Mozart – da ricordare soprattutto i sei lavori significativamente dedicati proprio a Haydn nel 1785 – concorre Beethoven con l’op. 18 (1798-1800). Sarà appunto nel solco di questa tradizione che tenderà a collocarsi, salvo eccezioni di idiosincratica originalità come quella dei sei Quartetti (1814-37) di Cherubini, lo sviluppo successivo del genere. Se Beethoven è fonte e origine della musica tedesca – e non solo – nell’Ottocento, la sua eredità è condivisa e al contempo ferocemente contesa dai compositori delle generazioni romantiche, tra loro diversi per idee e aspirazioni. La disputa sull’eredità riguarda tanto l’estetica e lo stile quanto il ruolo del compositore nella società e la ricchezza straordinaria della musica di Beethoven rende possibili, attraverso la lente deformante di forzature unilaterali di natura tanto estetica quanto ideologica, interpretazioni molteplici e perfino di segno opposto: lo testimonia lo scontro, nella seconda metà del secolo, tra i “neotedeschi” (capeggiati da Liszt e Wagner) favorevoli alle novità della musica a programma, del poema sinfonico e del dramma musicale, e i “classicisti” (che riconoscevano in Brahms il loro caposcuola) propensi a rivendicare piuttosto la validità dei generi e delle forme della tradizione. In realtà lo scenario è molto più articolato e sfumato di quanto non facciano intendere queste contrapposizioni, tra le quali si delineano non a caso punti di convergenza, contatto, intersezione o sovrapposizione, ma è indubbio che i compositori volti a perseguire l’ideale di una «musica dell’avvenire», da Berlioz a Liszt e Wagner e poi sino a Bruckner, Mahler e Richard Strauss, si disinteressano del quartetto, coltivato invece e sviluppato dagli autori che intrattengono, sia pure a vario titolo, un rapporto fiduciario e dialettico con le forme classiche: Mendelssohn, Schumann, Brahms, Čajkovskij, Dvořák. Del resto il ruolo stesso di Beethoven nel quartetto è molto diverso da quello che egli esercita nella sinfonia, dove l’ombra lunga – e opprimente – delle sue opere si estenderà sino alla fine del secolo. Gli ultimi Quartetti op. 127, op.130-133 e op.135 (1825-26), oggi considerati tra i vertici assoluti della musica occidentale, non ebbero quasi alcuna ricaduta sui compositori delle generazioni romantiche – a eccezione del giovane Mendelssohn dell’ op. 12 (1829) e dell’op. 13 (1827, pubblicato nel 1830) – a causa della proiezione precorritrice e visionaria che li rendeva a malapena comprensibili ai contemporanei quanto a complessità ed estrema sperimentazione nella forma, nella struttura armonica e nel caleidoscopico accostamento di differenti tecniche di scrittura (tra le quali spiccano il contrappunto e la variazione). Un giudizio come quello espresso da Niccolò Paganini, che pure si disse desideroso di suonare questi ultimi quartetti, «detta musica è molto stravagante» (lettera a Luigi Guglielmo Germi, 11 giugno 1828), era senza dubbio condiviso, non senza imbarazzo, da molti contemporanei. Il canone del quartetto nell’Ottocento si costruisce così intorno a Haydn, Mozart, al Beethoven dell’ op. 18 e dell’op. 59 e quindi ai capolavori in cui gli archetipi classici sono ripensati in funzione di una sintesi tra i processi di elaborazione tematica loro connaturati e le istanze propriamente romantiche del Lied ohne Worte, del frammento poetico, della variazione di carattere e dell’introspezione soggettiva: soprattutto la terna dell’op. 44 (1837-39) e l’op. 80 (1847) di Mendelssohn e la terna dell’op. 41 (1842) di Schumann. Il codice genetico del quartetto per archi rivela insomma un legame più tenace con la tradizione classica rispetto al trio, al quartetto e al quintetto con pianoforte, tutti di più immediata connotazione ottocentesca. D’altronde, come si diceva, il prestigio estetico del genere non conosce flessioni. Per un giovane compositore fin de siècle il quartetto può essere un eloquente biglietto da visita, come accade per Debussy (1893) e poi per Ravel (1903), mentre il riflesso del profondo rapporto di Schönberg e dei suoi maggiori allievi, Berg e Webern, con la grande tradizione classica si coglie tra l’altro nella centralità che il genere ha nella loro produzione così come nei cataloghi di autori tra loro molto distanti come Bartók, Šostakovič, Villa-Lobos, Milhaud e Hindemith. Nel Novecento il significato simbolico del quartetto come quintessenza della musica colta occidentale è stato spesso utilizzato nella letteratura e nel cinema. Non sorprende che nella sua critica politica e ideologica a un’arte commerciale asservita alla logica capitalistica del profitto, Bertolt Brecht si prenda gioco di quanto possa esservi di più nobile in musica, rendendolo oggetto nella quarta delle Hollywoodelegien (1942, vedi box a pag.21) di un graffiante gioco di parole: invece di «Streichquartett» («quartetto d’archi») Brecht usa infatti il neologismo «Strichquartett» («quartetto battonesco», Strich significa in tedesco “prostituzione”). D’altro canto l’intrigante campo di relazioni affettive e umane che stringe tra loro i membri di un quartetto professionale in una sorta di matrimonio a quattro ha offerto più volte materia alla fiction di romanzi e film. Qualcuno forse ricorderà le pagine del Quartetto Rosendorf (The Rosendorf Quartet, 1987) di Nathan Shaham o di Una musica costante (An Equal Music, 1999) di Vikram Seth oppure le immagini e i suoni del Quartetto Basileus (1982) di Fabio Carpi o del recente Una fragile armonia (A Late Quartet, 2012) di Yaron Zilberman, con Philip Seymour Hoffman nei panni di un tormentato, affascinante secondo violino alla ricerca di se stesso.  Quando il cinema racconta la musica: due scene del film Una fragile armonia, diretto nel 2012 del regista Yaron Zilberman; a interpretare un immaginario Quartetto al lavoro sull'op. 131 di Beethoven: Philip Seymour Hoffman, Christopher Walken, Catherine Keener e Mark Ivanir 24 Amadeus Amadeus 25 Il disco Quartetto Noûs IDENTITÀ collettiva Premi, consensi, concerti: tutti parlano di loro. Protagonisti del nostro cd sono quattro musicisti italiani sensibili e appassionati, eredi di una storia importante di Gregorio Moppi 26 Amadeus P ropizio l’anno appena trascorso per il Noûs, giovane quartetto d’archi con le carte in regola per far parlare di sé. Festeggia adesso cinque anni d’attività e due medaglie prestigiose che gli sono state appuntate sul petto pochi mesi fa: il premio “Arthur Rubinstein - Una vita nella musica” conferito dalla Fenice di Venezia e il "Piero Farulli" assegnato dai critici musicali italiani, nell’ambito dei premi “Abbiati”, alla migliore formazione cameristica emergente. Il Noûs sono Tiziano Baviera e Alberto Franchin, violini, Sara Dambruoso, viola, Tommaso Tesini, violoncello. Protagonisti del cd del mese con il Langsamer Satz di Anton Webern, il Quartetto op. 80 di Mendelssohn, il Quartetto op. 30 di Čajkovskij. «Nell’interpretare queste pagine ci ha conquistato la loro profondità e la vivezza espressiva che vi emerge. Abbiamo stabilito di inserirle nello stesso disco per sottolineare come opere di compositori e periodi diversi, differenti per linguaggio, tradizione e contesto, possano trasmettere in chi le ascolta emozioni simili», spiegano a una voce. E così avviene per il resto della conversazione: ciascuno parla come portavoce degli altri, cosicché a esprimersi è il Noûs in quanto identità collettiva, non i singoli componenti (tra l’altro Franchin e Dambruoso sono sposati). Come, quando si è formato il Quartetto? «Inizio 2011, al Conservatorio della Svizzera Italiana di Lugano dove ognuno di noi si trovava separatamente per perfezionarsi. Proveniamo da città differenti (Bologna, Roma, Palermo) e avevamo già avuto l’opportunità di vivere esperienze cameristiche, orchestrali e di insegnamento. Però negli anni abbiamo maturato la consapevolezza di quale fosse realmente la nostra passione, la nostra più grande ambizione, ovvero suonare in un quartetto d’archi. Appena cominciate le nostre avventure luganesi, abbiamo sentito il bisogno di realizzare questo sogno: tra i corridoi del Conservatorio ci siamo conosciuti e da subito abbiamo percepito in ognuno di noi l’intenzione di far nascere e portare avanti questo progetto con la massima dedizione». Nome singolare, Noûs. Perché questa scelta? «Volevamo un termine che riassumesse quelli che per noi sono dei concetti indispensabili e intrinseci del suonare in quartetto. Perciò abbiamo optato per il termine greco Noûs inteso da Anassagora come l’intelletto divino che dà ordine al caos e produce bellezza. Il suo significato è mente e dunque razionalità, ma anche ispirazione, capacità creativa». Quali incontri hanno determinato la vostra crescita artistica? «Il primo, decisivo, con il Quartetto di Cremona all’Accademia Amadeus 27 “Stauffer” dove abbiamo approfondito tutti gli aspetti legati al suonare in quartetto e affrontato alcune pietre miliari del repertorio. In seguito ci siamo perfezionati con Rainer Schmidt del Quartetto Hagen presso la Musik Akademie di Basilea e attualmente frequentiamo la Musikhochschule di Lubecca nella classe di Heime Müller (Quartetto Artemis). Abbiamo inoltre la fortuna di poter studiare con Günter Pichler, del Quartetto Alban Berg, all’Istituto superiore di musica da camera “Reina Sofia” di Madrid. Frequentare grandi quartettisti è per noi fonte di riflessione, stimolo intellettuale, spinta all’approfondimento, come d’altronde il potersi confrontare con l’esperienza degli altri giovani quartetti». Traguardi di cui andate fieri, oltre ai due premi ricevuti nel 2015? «Per noi i traguardi sono in realtà tappe di un continuo percorso di crescita da cui ripartire per andare avanti. Comunque ricordiamo tuttora l’emozione delle prime volte in stagioni come quelle della Società del Quartetto a Milano, del Bologna Festival, dei Concerti del Quirinale, della Gog di Genova, di Musica Insieme a Bologna. Quegli stessi palcoscenici su cui in passato avevamo potuto ammirare i più grandi artisti del circuito internazionale». 28 Amadeus Come organizzate il vostro lavoro? «Portare avanti un progetto come quello di un quartetto d’archi comporta, oltre che una notevole passione, anche una ferrea disciplina e molta costanza. Consapevoli di ciò, abbiamo deciso di trasferirci tutti e quattro a Como così da poter programmare il nostro lavoro e le prove nel modo più pratico. Proviamo quattrocinque ore quasi tutti i giorni, il che ci permette di approfondire ogni aspetto musicale e di crearci un’idea comune sia di quel che interpretiamo, sia dell’attività organizzativa che sta dietro a ogni concerto. Indispensabile è un’equa suddivisione dei compiti. Quindi, come in una società ben strutturata, c’è chi si occupa degli aspetti economici, chi delle pubbliche relazioni, chi della pianificazione delle prove e dei viaggi o dell’editing di un disco. Così ciascuno ha piena cognizione di quanto sia necessario nel gruppo: ciò contribuisce a mantenere saldo l’equilibrio creato negli anni». Quali difficoltà deve superare un quartetto per raggiungere la perfetta armonia? «Tante, specie nei primi anni. La cosa più complicata è trovare quattro persone che hanno intenti comuni e la volontà di intraprendere questa avventura. Noi siamo fortunati, perché legatissimi, e questo ci consente di affrontare con coraggio i momenti duri. Messi insieme i partner, altre difficoltà nascono poi dal fatto che all’inizio nessuno ti conosce, e trovare concerti non è facile. Ricordiamo le centinaia di proposte inviate via mail o avanzate per telefono a cui seguivano solo pochissime risposte, spesso pure negative. E come dimenticare le nostre prime esibizioni all’interno di hotel o per improbabili convegni? Né va sottovalutato l’aspetto economico, dato che nei primi tempi sono più le spese legate ai viaggi, alle lezioni, all’acquisto degli strumenti e alla loro manutenzione che i guadagni, perciò alle volte può essere utile accettare altre proposte di lavoro che permettano di portare avanti la propria passione senza però perdere di vista gli obiettivi del quartetto. Ecco allora che diventa fondamentale il momento in cui al quartetto si affianca la figura di un agente, e noi ora abbiamo Vera Tardiani». Circoscrivete il vostro repertorio... «Il repertorio per quartetto è così vasto che non basterebbe una vita per studiarlo tutto. Comunque, fin dall’inizio, il nostro pensiero non è stato quello di specializzarci in qualcosa tralasciando il resto, bensì di affrontare ogni linguaggio, partendo chiaramente dai classici, Haydn e Mozart, fino ad arrivare alla contemporaneità. Probabilmente le opere che più ci conquistano sono quelle di Beethoven, anche se non ce la sentiamo di affermare di avere precise preferenze comuni». Cos’è, a vostro giudizio, che rende riconoscibile il Noûs rispetto a un altro quartetto? «Fare musica per noi significa comunicare ed emozionare. Questo è possibile soltanto se si comprende a fondo il linguaggio di ogni opera filtrandolo poi attraverso il cuore. Inoltre crediamo che la storia artistica e musicale dell’Italia nei secoli sia parte integrante del nostro dna e che dunque possa trasparire dalle nostre interpretazioni». Progetti per quest’anno? «Recital in Inghilterra, Germania, Francia e Svizzera, una tournée in Cina e una lunga serie di appuntamenti promossi dal Cidim in lungo e in largo per la penisola».  Amadeus 29 Il download Speranza&Ciccarelli DOLCI malinconie Un Tosti al femminile, nato dall'incontro tra due artiste alla ricerca della sua anima più italiana e popolare di Claudia Abbiati N el 2016 si celebra il centenario dalla scomparsa di Francesco Paolo Tosti, compositore nato a Ortona nel 1846, con studi al Conservatorio di San Pietro a Majella di Napoli. Ebbe una luminosa carriera come tenore che gli aprì le porte dei salotti di Roma e, in seguito, della corte della Regina Vittoria, in cui fu maestro di canto per più di trent’anni. Tosti ci ha lasciato un corpus di più di 500 romanze per voce e pianoforte, di cui il soprano argentino di origini italiane Ivanna Speranza e la pianista Enrica Ciccarelli propongono una selezione “al femminile” con l’obiettivo di mantenere la radice “popolare” di questi brani valorizzandone la scrittura eminentemente italiana. Come vi siete conosciute e come è iniziata la vostra collaborazione come duo? Avete già collaborato in passato oppure questa è la vostra prima produzione insieme? E.C.: «Ci siamo incontrate un paio di anni fa, complice Angela Fiore della casa 30 Amadeus cd 2 in download FRANCESCO PAOLO TOSTI Romanza italiana Ivanna Speranza, soprano Enrica Ciccarelli, pianoforte accedere al sito amadeusonline.net e inserire il codice IS315EC16 discografica SFEM Classics che ha pubblicato i nostri precedenti cd singoli. Da quel momento è nata un’amicizia e il desiderio di fare musica insieme, su un progetto molto italiano». Francesco Paolo Tosti è celebre per il suo vasto corpus di romanze: quali sono le caratteristiche di questo repertorio? I.S.: «Tosti ha fatto della romanza da salotto un genere riconosciuto in tutta Europa e ci sono due sostantivi che accosterei al grande patrimonio che ci ha lasciato: raffinatezza e magia. Sono squisite, di una bellezza indistruttibile e, come gli scriveva Ruggero Leoncavallo in una lettera del 1893, “quelle canzoni resteranno a commuovere altri cuori perché sono la vera espressione della tua anima”. Anche oggi, in un momento particolare per la vita artistica in generale, è a mio avviso un repertorio molto attuale e soprattutto da rivalutare e nobilitare, affinché con la Musica si possa sempre più trascinare l’ascoltatore in un “mondo di malinconie e dolcezze dove si compiono i migliori viaggi”, come ebbe a scrivere di Tosti la grande scrittrice Matilde Serao». Come avete selezionato le Romanze che sono entrate a far parte di questo cd? I.S.: «Le romanze sono state selezionate prevalentemente in base alla mia vocalità, alla lingua – perché volevamo fare un album tutto italiano – e cercando di abbracciare un periodo quanto più ampio possibile all’interno della sua produzione. Ho selezionato 20 brani all’interno dei 9 primi cicli editi da Ricordi. La scelta non è stata facile per la bellezza e la vastità della produzione, ma ero sicura di non volere tradire due cose: la limpidezza e la nobiltà. È stato dunque automatico meditare sul tipo d’impostazione vocale e su come avrei dovuto lavorare per riprodurre le tante dinamiche riportate sullo spartito se l’intento era “parlare”, come Tosti voleva, alla gente. Per riuscire a disegnare determinate sfumature dovevo approfondire la consapevolezza dell’utilizzo del fiato senza mancare di intonazione e senza “spoggiare” i suoni. Il mezzo vocale doveva essere al totale servizio della parola e dovevo osare, lo ammetto, cantando in un modo che non è consueto ai nostri giorni per avvicinarmi allo stile “di grazia” che ha avuto esponenti raffinatissimi come Tito Schipa e Luigi Alva e che aveva consacrato la romanza da salotto. Con questo approccio ho ritrovato il belcanto e la verità del timbro. Da questa ricerca di verità poi sono arrivati i colori in cui riconoscere il mio spirito e la mia anima, il mio rapporto con la vita e con gli affetti. Era il percorso necessario ai fini di personalizzare le romanze, con la Il soprano Ivanna Speranza (in abito lungo) e la pianista Enrica Ciccarelli consapevolezza, la gioia ma anche la responsabilità di riproporre un repertorio di valore inestimabile». E.C. «Da parte mia voglio aggiungere che, oltre al piacere di aver collaborato con Ivanna, per me questo disco è anche un omaggio a mio padre e alla sua terra meravigliosa che è l’Abruzzo. Infatti ho espressamente chiesto di poter inserire un paio di canzoncine tipiche abruzzesi». Questo progetto proseguirà? Intendete fare nuove registrazioni dedicate a questi brani? Avete altre idee musicali ? E.C.: «Ci auguriamo prima di tutto di poter far conoscere l’opera di Tosti anche attraverso i recital. Abbiamo pensato per i futuri concerti a una combinazione tra le romanze tostiane (per lo più incentrate sulla figura femminile) e una serie di arie scritte da alcune compositrici/cantanti come Isabella Colbran. Per quanto riguarda la mia attività di solista ho diversi appuntamenti in recital, sia in Italia che impegni all’estero anche con orchestra, oltre ad alcune collaborazioni cameristiche cui tengo molto con il violoncellista Enrico Dindo, il soprano Amarilli Nizza e il violinista Edoardo Zosi, con cui tra un mese debutterò nella Weill Hall della Carnegie Hall a New York, al termine di una tournée americana». I.S.: «Devo dire che il repertorio da camera bussa alla mia porta da tanti anni e ho intenzione di continuare ad approfondirlo. Uno dei primi concorsi che ho vinto in Italia riguardava proprio la romanza da salotto. Oltre alla mia attività nel repertorio operistico ripeterò le masterclass in Argentina e Brasile in primavera e delle tournées in Corea del Sud; prossime le mie collaborazioni con Giampaolo Bandini, con il compositore jazz Alex Fabiani come cantante ed autrice di testi per le sue colonne sonore e con Mariano Ceballos che ha lavorato dal 2007 anche a fianco dell’appena scomparso Pierre Boulez».  INSCENA Anteprima 35-40 La critica 42-47 gli appuntamenti del mese da non perdere le recensioni degli spettacoli scelti dai nostri critici Leonora Armellini LUIS.IT INSCENA Jordi Savall Martha Argerich anteprima PERSONE U Grigory Sokolov PAROLA CHIAVE: Bologna Festival LEONORA ARMELLINI 2016 Budapest Festival Orchestra GRANDI INTERPRETI TALENTI IL NUOVO L’ANTICO Ian Bostridge Immersa nella musica sin da bambina; una passione per Chopin e un diploma in pianoforte a soli 12 anni; ora che ne ha 23, sa che il talento non ha valore se non è nutrito dallo studio ma si batte contro l’idea che i musicisti classici siano persone noiose. n entusiasmo contagioso, il suo. Quello con cui si muove tra il bianco e nero degli ottantotto tasti. Quello con cui ne parla. Come se il pianoforte, conosciuto fin dai primi anni di vita, fosse rimasto per lei un gioco. Così Leonora Armellini, giovane e affermata pianista di origine padovana, con naturalezza e semplicità riesce a coinvolgere, fino a travolgere. Il 26 febbraio, al Teatro Verdi di Padova, sarà interprete, con l’Orchestra di Padova e del Veneto, del Concerto per pianoforte e orchestra op. 20 di Skrjabin. Un percorso iniziato con la pianista Laura Palmieri, allieva di Arturo Benedetti Michelangeli, per poi giungere al diploma, a soli 12 anni, nel Conservatorio della sua città e proseguire all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia sotto la guida di Sergio Perticaroli. Tra il gran numero di riconoscimenti, il Premio Janina Nawrocka per “la straordinaria musicalità e la bellezza del suono” al Concorso Pianistico Internazionale “F. Chopin” di Varsavia, nel 2010. L’incontro con il pianoforte? «Non è stato casuale. Mia ma- dre è pianista e, fin da bambina, il pianoforte è stato parte della mia vita. Ero immersa nella musica. Per questo non vedevo alternativa all’essere musicista, e, alla fatidica domanda “cosa vorresti fare da grande?”, rispondevo “perchè, si può fare altro a parte il musicista?”». Un autore che sente particolarmente suo? «Chopin, mi ha affascinato fin da piccola. È l’autore che ho approfondito maggiormente, a cui mi sento più vicina, per ciò che trasmette e per il mio sentire». Tanti premi vinti: quanto conta il talento, quanto lo studio? «Penso che il talento derivi da una somma di fattori: la predisposizione innata, il fatto di esser nato e cresciuto in mezzo alla musica e di aver acquisito subito e naturalmente una sensibilità che altri sviluppano nel tempo. Ma il talento non ha valore se non è nutrito con uno studio ben direzionato e con una ricerca personale». Consigli per “apprendisti pianisti”? «Non perdere mai la passione, quel qualcosa che rende vivo ciò che facciamo. Divertirsi, ma con rispetto, senza strafare, partendo dalla partitura e cercando di rendere con onestà l’idea dell’autore. Essere attenti nel comprendere i propri punti di forza e debolezza». La sua ricetta per avvicinare i giovani alla musica classica? «Dimostrare, da giovane musicista, quanto la musica classica sia irresistibile. Cerco di diffondere questa idea, di parlare, scherzare, ridere naturalmente. Cerco di battermi contro l’idea che i musicisti classici siano persone noiose e che il nostro sia un mondo distante». Riferimenti tra i grandi pianisti del passato? «Mi piace lasciarmi affascinare un po’ da tutti i grandi del passato. Adoro Rubinstein per le sue interpretazioni di Chopin, Arrau per Liszt, per il suo rispetto per la partitura e la ricerca del suono, mentre Michelangeli è un modello per la direzione da dare allo studio». Luisa Sclocchis (Al link amadeusonline.net interviste/2015/entusiasmo-contagioso la versione estesa dell'intervista) Uri Caine Ensemble Vladimir Jurowski EDUARDO STRAUSSER Classe 1985, è considerato uno dei più talentuosi artisti brasiliani della sua generazione, non per nulla, dal 2014, è direttore residente e vicedirettore del Theatro Municipal de São Paulo dopo che per due anni è stato direttore musicale dell’Orchesterverein Wiedikon e della Kammerorchester Kloten di Zurigo. Dopo aver diretto nel dicembre scorso La traviata al Teatro Verdi di Pordenone sarà al Teatro La Fenice di Venezia, il 29 febbraio, per dirigerne la Filarmonica, insieme al pianista Michelangelo Carbonara. In programma Fauré, Carrara e Dvořák. Il 3 marzo bis al Teatro Comunale Giuseppe Verdi di Pordenone. Info: eduardostrausser.com xxxv edizione DAL 15 MARZO Amadeus 35 ABBONAMENTI dal 17 febbraio BIGLIETTI dall’ 8 marzo ACQUISTA ONLINE www.bolognafestival.it INSCENA INSCENA anteprima anteprima NORMA RENAISSANCE SARIA CONVERTINO L U a storia della sacerdotessa druidica, messa in musica da Vincenzo Bellini, da alcuni anni ha ripreso il posto che le spetta nelle stagioni liriche di tutta Europa: Bologna e Salisburgo, Venezia e Zurigo, Torino e Parigi, sono solo alcune delle piazze dove le dive d’oggidì hanno recentemente interpretato il ruolo “enciclopedico” creato per Giuditta Pasta. Tra tutte Cecilia Bartoli, Maria Agresta e Mariella Devia. Quest’ultima, dopo aver debuttato il ruolo nel 2013 al Comunale di Bologna, ritorna a vestire i panni della veggente in una nuova produzione che il Teatro di San Carlo affida a Nello Santi, per la direzione d’orchestra, e a Lorenzo Amato, per la regia. Da Napoli a Trieste, anche al Teatro Verdi echeggiano le melodie del “cigno” di Catania grazie alla ripresa dell’allestimento firmato da Federico Tiezzi nel 2008 per il Comunale di Bologna, pregevole per il sapiente innesto sulla scena dell’arte figurativa (in primis Jacques-Louis David). Nei panni della protagonista Marina Rebeka; la direzione è di Fabrizio Maria Carminati. Info: teatrosancarlo.it, teatroverdi-trieste.com AVERSANO ALLE SERATE MUSICALI I DUE FOSCARI CON DOMINGO Le Serate Musicali di Milano propongono venerdì 26, nella Sala Verdi del Conservatorio, un recital solistico di Emilio Aversano. Il pianista eseguirà, nella prima parte, la Fantasia in re minore K 397 di Mozart e la Sonata n. 2 op. 31 “La tempesta” di Beethoven. A seguire due Sonate di Scarlatti, rappresentante eccellente della tradizione compositiva napoletana, per poi tornare al genio di Salisburgo con la Fantasia K 475 e concludere eseguendo la Sonata n. 23 op. 57 “Appassionata” di Beethoven. «È un programma», afferma Aversano, «che celebra la grande tradizione classica italiana, culla dei principali moti della cultura occidentale sin da quando Parmenide dava lezione ai suoi allievi vicino Salerno, nell’attuale Velia». Info: seratemusicali.it Dopo Simon Boccanegra Plácido Domingo ritorna al Teatro alla Scala per una nuova produzione de I due Foscari di Giuseppe Verdi. Accanto a lui Francesco Meli nel ruolo di Jacopo e il giovane soprano Anna Pirozzi in quello di Lucrezia. Con il debutto alla Scala di questa giovane cantante si afferma una precisa volontà di promozione delle nuove voci italiane, confermata anche dalla presenza del baritono Luca Salsi, nuova stella del Metropolitan, che si alternerà a Domingo in alcune recite. Ritorna al Piermarini anche il regista Alvis Hermanis che il pubblico milanese ha già apprezzato per la sua messa in scena di Die Soldaten nel gennaio 2015. La parte musicale è affidata a uno dei più validi direttori italiani, Michele Mariotti. Info: teatroallascala.org DAL GIAPPONE A TORINO: LA TOSCA DI DANIELE ABBADO M artedì 9 debutta al Teatro Regio, in prima europea, la produzione dello Hyogo Performing Arts Center (Giappone) firmata da Daniele Abbado nel 2013, in bilico tra tradizione e multimedialità. Sul podio dell’Orchestra Renato Palumbo, direttore specializzato nel grande repertorio italiano. Il ruolo di Tosca sarà interpretato da María José Siri, che il pubblico del Regio ha già applaudito in diverse occasioni. Nei panni del pittore Cavaradossi, il tenore Roberto Aronica; l’impegnativo ruolo di Scarpia sarà invece interpretato dal baritono spagnolo Carlos Álvarez. Scene e costumi sono di Luigi Perego, le luci di Valerio Alfieri e i video di Luca Scarzella. La Prima dell’opera sarà trasmessa in diretta da Rai-Radio3 martedì 9 febbraio alle 20.00. Info: teatroregio.torino.it 36 Amadeus n colpo di fulmine. Questo per Saria Convertino, giovane pugliese virtuosa della fisarmonica, l’incontro con lo strumento che ora, neanche trentenne, insegna al Conservatorio di Musica “Santa Cecilia” di Roma. «Potrei quasi dire che sia stata lei a scegliere me», rivela, e prosegue «me ne sono innamorata al primo sguardo e al primo ascolto. Avevo otto anni, tutto è cominciato per gioco, fino a diventare passione e, infine, professione, con grande sacrificio ma immensa soddisfazione». Suonerà il 18 febbraio al Teatro Argentina di Roma nello spettacolo Pasolini: Roma/Spagna, concerto per cinque voci, fisarmonica, violino, canto e due voci, inserito nella programmazione dell’Accademia Filarmonica Romana “Musiche dalla tradizione popolare a Bach”. Fa parte di un progetto di tango con i Solisti dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e sarà a breve in tournée con la Carmen dell’Orchestra di Piazza Vittorio. La fisarmonica è spesso associata dai più alla tradizione musicale popolare, Nella pagina precedente: in alto, Norma, regia di Federico Tiezzi; in basso, Tosca, regia di Daniele Abbado; qui, Saria Convertino; in basso, Pippo Delbono. invece... «Esatto, ma a differenza dell’immagine stereotipata legata alla tradizione folcloristica, la fisarmonica inizia a imporsi in importanti rassegne concertistiche, acquistando finalmente la stessa dignità di strumento nobile, al pari di un violino o un pianoforte». La risposta del pubblico? «È incredibile quanto resti sorpreso dall’ascolto di una sonata di Scarlatti o di musiche di Bach o Mozart, o di autori contemporanei come Berio e Ligeti eseguiti con il bayan. Fortunatamente si tratta di uno strumento in continua evoluzione dalla grandissima varietà timbrica e potenzialità tecnica ed espressiva». I suoi concerti sono viaggi da Scarlatti e Bach, fino a Piazzolla e Sciarrino. «Mi piace spaziare. Così riesco a esprimere la mia personalità, eclettica quanto introspettiva, briosa quanto nostalgica. La musica si conforma all’anima, e lei a essa». l.scl. A BOLOGNA IL VANGELO EVERSIVO DI PIPPO DELBONO L a vera sostanza del vangelo è eversiva». Questo pensa Pippo Delbono, artefice di uno spettacolo – Vangelo – che prevede una versione operistica, battezzata a Zagabria e dal 25 febbraio al Teatro Comunale di Bologna, e una versione per i teatri di prosa, già andata in scena a gennaio a Losanna e all’Argentina di Roma. «Contesto il sapere borghese», spiega Delbono, «il linguaggio corrente del teatro. Vangelo nasce dallo stare con immigrati e rifugiati nei centri di accoglienza (ho condiviso la loro vita), con i degenti d’ospedale. Denuncio come la storia ci venga raccontata da un solo punto di vista e non con l’ottica degli altri. Il teatro deve costituirsi luogo della verità». Le musiche sono composte da Enzo Avitabile ma non mancano anche incursioni nel repertorio dei Rolling Stones. Info: tcbo.it FANO SINFONICA 3.0 Al Teatro della Fortuna di Fano continua Sinfonica 3.0, ramo fanese della stagione di concerti della Sinfonica pesarese. Il progetto sancisce la collaborazione tra la Fondazione Teatro della Fortuna e l’Orchestra Sinfonica G. Rossini (OSR) ed è rivolto alla creazione di un unico bacino d’utenza all’interno del territorio provinciale. Dopo il concerto inaugurale con Nicola Alaimo secondo appuntamento il 5 febbraio con Francesco Ivan Ciampa che dirigerà l’Orchestra e il Coro del Teatro della Fortuna. In programma la Sinfonia n. 9 detta anche “Dal nuovo mondo” di Dvořák e il Te Deum che l’autore scrisse nel 1892. Il 21 concerto con le più belle sinfonie e arie d’opera per soprano di Gioachino Rossini eseguite da Maria Aleida, giovane talento del belcanto. Sul podio Daniele Agiman, direttore principale della OSR. Si chiude il 13 aprile con Queen’s Symphonies, uno spettacolo dedicato al leggendario gruppo inglese che ripercorrerà il grandioso percorso della band con un focus sul leader del gruppo, Freddie Mercury. Info: teatrodellafortuna.it Amadeus 37 INSCENA INSCENA anteprima anteprima UN “PAGANINI” RITORNA A GENOVA NUOVO TEATRO MUSICALE ALL’ECLAT DI STOCCARDA I I l violino e la musica di Paganini come tramite per esprimere un’immensa gamma di emozioni senza restrizione alcuna. Così il violinista coreano In Mo Yang, definito “uno dei più talentuosi virtuosi del violino della nuova generazione”, raffigura Niccolò Paganini, genio del violino a cui Genova ha dato i natali. Vincitore, nel marzo del 2015, del Primo Premio della 54esima edizione del Concorso Internazionale che ne reca il nome, In Mo Yang sarà interprete, il 26 febbraio al Teatro Carlo Felice di Genova, del Concerto n. 3 per violino e orchestra in si minore op. 61 di Camille Saint-Saëns. Inizia lo studio del violino a cinque anni con un piccolo strumento economico acquistato dalla madre, ad appena 11 anni debutta in recital alla Ewon Prodigy Series di Seoul e a 15 in concerto con la KBS Symphony Orchestra. Si succedono poi le vittorie di svariati premi internazionali, tra cui, nel 2014, il Primo Premio al CAG Victor Elmaleh Competition e il Secondo al Yehudi Menuhin International Competition. Oggi vanta, seppur giovanissimo, una ricca carriera solistica. Com’è cambiata la sua vita dopo la vittoria del Premio Paganini? «Dopo il concorso la mia carriera è cambiata positivamente: il premio mi ha dato una fama e una reputazione che prima non avevo. Ma soprattutto l’occasione di suonare spesso la musica di Paganini». Sull’esperienza del Concorso? «Ricordo sempre con grande piacere Genova e Paganini è parte importante della mia vita fin dall’infanzia. È stato un onore gioire nello spirito di Paganini con altre persone, per non parlare poi del cibo italiano che penso abbia contribuito a migliorare la mia condizione durante tutto il concorso», e sorride. Per esser un buon violinista? «Semplicemente una smisurata passione per la musica». l.scl. l festival Eclat di Stoccarda presenta quest’anno, in quattro giorni (dal 4 al 7 febbraio), 16 prime mondiali, compositori provenienti da 14 diversi paesi, un focus sulla Russia e sui paesi scandinavi, con una particolare attenzione per le nuove forme di teatro musicale. L’interazione del suono con lo spazio della performance, con il testo, con le luci, con le videoproiezioni, è al centro dei due lavori di Manos Tsangaris e François Sarhan. EILAND del compositore tedesco, allievo di Kagel, è uno spettacolo “multi-station” che impegnerà i Neue Vocalsolisten e sei clarinetti contrabbasso in diverse sale del Theaterhaus. Une philosophie dans le boudoir di Sarhan mescola invece pagine dell’omonimo libro di Sade, inno al libertinismo, con citazioni da Wagner, Adorno, Jan Svankmajer, Jean Dubuffet; sarà uno spettacolo multidisciplinare, che riflette sull’insensatezza delle convenzioni sociali e che sfrutterà, come scenografia, una scultura di carta sospesa. Nel concerto inaugurale del Klangforum Wien, Enno In alto a sinistra, In Mo Yang; in basso, bozzetto per il Barbiere di Siviglia con la regia di Livermoore; qui, la compositrice Anna Korsun; sotto, una foto di scena dell’opéra-bouffe di Hervé. DA SIVIGLIA A ROMA IL BARBIERE È ALL’OPERA OPÉRA-BOUFFE AL MALIBRAN D D all’11 al 21 febbraio il Teatro dell’Opera propone uno dei più celebri titoli del repertorio rossiniano: Il barbiere di Siviglia. Si tratta di un nuovo allestimento affidato a Donato Renzetti, già impegnato a Roma nella direzione dello storico allestimento del 1900 della Tosca di Puccini, e Davide Livermoore (regia, scene e luci), da gennaio 2015 nuovo sovrintendente e direttore artistico del Palau de les Arts di Valencia. I costumi sono disegnati da Gianluca Falaschi, le illustrazioni 38 Amadeus sono di Francesco Calcagnini; i video sono realizzati dal gruppo D-Wok. Di livello il cast: Chiara Amarù e Teresa Iervolino per il ruolo di Rosina; Edgardo Rocha e Merto Sungu per il Conte d’Almaviva; Florian Sempey e Julian Kim daranno voce al factotum della città; Ildebrando D’Arcangelo e Mikhail Korobeinikov affronteranno la parte di Don Basilio; Simone Del Savio e Omar Montanari quella di Don Bartolo. Info: operaroma.it opo l’esecuzione all’Opéra national de Bordeaux arriva al Teatro Malibran di Venezia (7-13 febbraio), in prima italiana, Les chevaliers de la table ronde, opéra-bouffe tra le più riuscite fra quelle composte da Hervé, andata in scena per la prima volta nel 1866 al Théâtre des Bouffes-Parisiens. La pièce mette in ridicolo con sapidità gli eroi del ciclo bretone: cavalieri cialtroni, dame vogliose e rapaci intrecciano armi e stoccate in schermaglie irresistibili. Poppe dirigerà il suo vorticoso Koffer, insieme a pezzi di Michael Pelzel e Georg Friedrich Haas. Ci saranno poi due “isole” di ascolto concentrato, in due ampi lavori per strumento solo: urI rito di Giorgio Netti per contrabbasso solo (Dario Calderone), e Tombeau et Double di Alberto Posadas per viola “preparata” (Christophe Desjardins). Da non perdere le prime di Beat Furrer e Marko Nikodijevic affidate al locale SWR Vokalensemble; Partendo, il nuovo pezzo di Oscar Bianchi per controtenore (Daniel Gloger) e ensemble (Uusinta Ensemble di Helsinki); le novità di Lars Petter Hagen (eseguite dal norvegese Ensemble Cikada), di Anna Korsun, Dietrich Eichmann, Boris Filanovsky (affidate ai Neue Vocalsolisten. La rassegna si concluderà con un concerto dell’Orchestra di Stoccarda diretta da Emilio Pomarico, con tre novità assolute di Klaus Lang, Sergei Newski (per violino e orchestra) e di Iris ter Schiphorst (per clarinetto contrabbasso e orchestra). Gianluigi Mattietti Merlin e Mélusine, Rodomont e Roland, Totoche e Angélique si muovono leggeri in un crescendo di situazioni che hanno poco o nulla a che fare con la cavalleria e molto con il divertimento. La produzione esecutiva è affidata alla Compagnie Les Brigands, che eseguirà una trascrizione per tredici cantanti e dodici strumentisti di Thibault Perrine sotto la direzione di Christophe Grapperon. Regia di Pierre-André Weitz. Info: teatrolafenice.it UN ORGANO PER ROMA AL “QUARTETTO” DI BERGAMO Si apre sabato 20 febbraio la terza edizione del Festival Un organo per Roma, ideato da Giorgio Carnini e promosso dall’Associazione Camerata Italica, in collaborazione con l’Accademia Filarmonica Romana, il Conservatorio di Santa Cecilia e, da quest’anno, l’Istituzione Universitaria dei Concerti (IUC). La rassegna è parte integrante di un progetto più ampio che vuole richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica e delle istituzioni sul grave problema della mancanza di un organo da concerto al Parco della Musica. Il successo dell’iniziativa è stato decretato anche dalla scelta dei programmi, mirata a sottolineare l’universalità del linguaggio organistico attraverso il dialogo con strumenti insoliti (la marimba, le percussioni etc.) e forme musicali diversissime che hanno coinvolto musicisti e spettatori ignari delle infinite possibilità dell’organo. Fra i programmi segnaliamo gli omaggi a Ferruccio Vignanelli e Ferdinando Germani e il concerto dedicato all’organo nell’opera di fine ’800 (con l’Orchestra del Conservatorio). Si chiude con un’insolita versione di Pierino e il lupo di Prokof’ev. Dal 1904 a Bergamo la musica da camera sta di casa al Quartetto, società ideata nel 1875 da Emilio Finardi e Giacomo Frizzoni. La stagione numero 112 avrà inizio il 1 febbraio con un concerto dell’Orchestra Ferruccio Busoni di Trieste diretta da Massimo Belli; violino solista Lucio Degani. L’8 febbraio recital della pianista sud coreana Chloe Mun, la vincitrice dell’ultimo Concorso Busoni. Poi due appuntamenti legati alla musica da camera: il 15 con il Quartetto Donizetti, il 22 con il Quartetto Noûs. Il 29 è la volta di In Mo Yang, vincitore del Primo premio Niccolò Paganini 2015. Il 7 marzo duo d’eccellenza con il violoncello di Julian Steckel e il pianoforte di Paul Rivinius. Seguono due serate in cui la tastiera è protagonista assoluta, prima con Alberto Chines (14) e poi con Enrico Intra (21). Aprile si apre con il duo Silvia Chiesa e Maurizio Baglini (1-4); l’8 tocca a Filippo Gorini, vincitore del recente Premio Beethoven di Bonn. Gran finale l’11 con il Quartetto Guadagnini e il 18 con Anna Tifu e Gloria Campaner. Info: quartettobergamo.it Amadeus 39 INSCENA anteprima Raffinato e SENZA TEMPO ...nel mondo FEBBRAIO BERLINO Deutsche Oper 7-18 Britten, Peter Grimes; dir. D. Runnicles, reg. D. Alden BILBAO Abao Olbe 20-29 Puccini, Manon Lescaut; dir. P. Halffter, reg. S. Medcalf LONDRA Royal Opera House 1-24 Chabrier, L’Etoile; dir. M. Elder, reg. M. Clément MONTECARLO Opéra 19-25 Bellini, Norma; dir. D. Fasolis, reg. P. Caurier, M. Leiser PARIGI Opéra Bastille 3-29 Verdi, Il trovatore; dir. D. Callegari, reg. A. Ollé 2-28 Rossini, Il barbiere di Siviglia; dir. G. Sagripanti, reg. D. Michieletto VIENNA Staatsoper 7-10 Puccini, Tosca; dir. P. Lange, reg. M. Wallmann 9-21 Dvořák, Rusalka; dir. T. Netopil, reg. S-E. Bechtolf FIGARO: L’AVVENTURA CONTINUA L a trilogia di Beaumarchais ha ispirato le celebri opere di Mozart e di Rossini (oltre che di Paisiello), ma il terzo episodio, La Mère coupable, è rimasto ignorato dagli operisti, almeno fino ai tempi recenti, quando se ne sono occupati Darius Milhaud (1966), Inger Wikström (2006), Thierry Pécou (2010). Ora la trilogia di Figaro rivive in un interessante progetto della Welsh National Opera di Cardiff che il 22 febbraio propone, in tre serate consecutive, due nuove produzioni del Barbiere di Siviglia e delle Nozze di Figaro, e una nuova opera, commissionata a Elena Langer, dal titolo Figaro Gets a Divorce. Il libretto di David Pountney (che è anche il regista) si ispira in parte alla Mère coupable in parte a Figaro divorzia di Ödön von Horváth, pièce del 1936 già trasformata in opera da Giselher Klebe nel 1963. È insieme una commedia e un thriller. La vicenda è trasportata nel XX secolo con tre coppie - Figaro e Susanna (David Stout e Marie Arnet), Conte e Contessa (Mark Stone e Elizabeth Watts), e i loro figli illegittimi Serafin e Angelica (Na- omi O’Connell e Rhjan Lois) – che entrano in scena come un gruppo di rifugiati in fuga da una rivoluzione. Come in Beaumarchais c’è il personaggio malvagio, il Maggiore (Alan Oke), una specie di Jago che tesse le sue trame per mandare in rovina la famiglia e per sedurre Angelica. Ma non mancano le soprese: c’è Cherubino (il controtenore Andrew Watts), che è diventato il losco proprietario di un nightclub; Susanna, depressa, si ubriaca in questo night e va a letto con lui; il Conte perde tutti i suoi soldi al casinò; Figaro diventa un vero giustiziere, uccide prima Cherubino, poi il Maggiore, e alla fine si riconcilia con Susanna (quindi non divorzia). La compositrice russa, naturalizzata britannica, allieva di Julian Anderson e Simon Bainbridge, ha creato una musica eclettica, melodica, piena di echi di songs e di danze. Coprodotta col Grand Théâtre de Genève, Figaro Gets a Divorce, sarà diretta da Justin Brown. Dopo la prima, il 21 febbraio a Cardiff, l’opera sarà in scena fino al 7 aprile tra Bristol, Birmingham, Plymouth, Southampton. g.matt. CATS IN TOUR Sopra, David Stout, Figaro nella nuova opera di Elena Langer: Figaro Gets Divorce; qui, una scena di Cats, in tour in Italia dal 18 febbraio al 20 marzo 40 Amadeus Torna in Italia la versione originale di Cats, uno dei più famosi musical nel mondo, con orchestra dal vivo. A Bags Live il compito di organizzare il tour italiano che prevede tappe a Genova (Teatro Carlo Felice, 18-21 febbraio), Torino (Teatro Regio, 25-28 febbraio), Milano (teatro Arcimboldi, 2-4 marzo), Bari (Teatro Petruzzelli, 10-13 marzo) e Bologna (Teatro EuropAuditorium, 17-20 marzo). Il musical, tornato in tour nel 2013, ha riconquistato il West End londinese nel 2014. Per l’occasione si è riunito il team creativo originale: il regista Trevor Nunn, la regista associata e coreografa Gillian Lynne, lo scenografo John Napier e il compositore Andrew Lloyd Webber che ne ha rivisto alcuni brani. Lo spettacolo ha anche ottenuto delle nomination ai recenti Olivier Awards 2015. Info: catsthemusical.com h e l i c o n i a è i l f r u t t o d i u n a s t r a o r d i n a r i a c o l l a b o r a z i o n e t r a s t e i n way & s o n s e l a l i q u e , c o n l’a s p i r a z i o n e c o m u n e a l l a p e r f e z i o n e d e l l’a r t i g i a n a t o a r t i s t i c o. D i s p o n i b i l i i n n e r o o b i a n c o, i p i a n o f o r t i a c o d a h e l i c o n i a e m a n a n o b e l l e z z a e d e l e g a n z a , g r a z i e a s p l e n d i d i c r i s t a l l i e d i n t a r s i a r g e n t a t i . Un a r r i c c h i m e n t o p e r o g n i c a s a n o n s o l o e s t e t i c o, m a m u s i c a l e e c o n i l s u o n o i n i m i t a b i l e d i s t e i n way & s o n s . E U . S T E I N W A Y. C O M S T R I N A S A C C H I S N C R A P P R E S E N TA N T E P E R L ´ I TA L I A D I C A S A S T E I N W AY & S O N S v i a q uat t r o n o v e m b r e , 1 1 b · 3 7 1 2 6 v e r o n a T E L : 0 4 5 8 3 4 5 6 9 2 · FA X : 0 4 5 8 3 0 1 8 3 7 [email protected] INSCENA INSCENA lacritica UTRECHT Tivoli-Vredenburg Boulez Festival Un ultimo, spettacolare inconsapevole addio U trecht l’Ensemble Insomnio ha chiuso l’anno di Boulez con un festival interamente dedicato alla sua musica. Ed è stato davvero l’ultimo addio, ancora inconsapevole, al grande compositore e direttore d’orchestra che ha segnato un’intera epoca della storia della musica. Una rassegna che ha ripercorso alcune tappe fondamentali della sua carriera, e l’evoluzione del suo linguaggio musicale, svelandone la varietà, la profondità poetica (messa spesso in ombra da una certa retorica del rigore costruttivista), la modernità. L’ensemble olandese è stato fondato nel 1997 da Ulrich Pöhl, direttore tedesco che si è formato tra Amsterdam e San Diego, ha studiato la musica africana in Senegal, è stato assistente di Michel Tabachnik, ha lavorato insieme a Boulez nel 2011 nella preparazione del bel cd Pierrot to Marteau (Encora enc-013), che ha vinto il premio della Critica discografica tedesca nel 2012. Ovviamente Le Marteau sans maître era tra i pezzi eseguiti. Pöhl ne ha offerto un’esecuzione personale, elastica, capace di fare emergere non solo il severo costruttivismo ma anche il gusto armonico e timbrico francese (da Debussy e Messiaen), le inflessioni viennesi (da Webern), le venature esotiche (delle percussioni). Molto interessante anche l’interpretazione vocale, affidata a Cécilie van der Sant, mezzosoprano abituato anche a ruoli wagneriani, una lettura precisa ma di raro spessore drammatico, con un ricco vibrato, capace di restituire alla voce un ruolo di primo piano. Negli spazi del Tivoli-Vredenburg, il nuovo auditorium di Utrecht che racchiude cinque sale da concerto, su piani raggiungibili attraverso un complesso intreccio di scale mobili, che sembrava progettato da Escher, si sono ascoltati anche Répons, per grande ensemble, sei solisti e elettronica, Dérive 2, per 11 strumenti, e Sur Incises per tre pianoforti, tre percussioni e tre arpe. Nell’esecuzione di Répons emergeva con grande plasticità la spazializzazione del suono, il gioco re- lacritica sponsoriale tra solisti, ensemble e live electronics: Pöhl, al centro della sala, dirigeva con grande energia, come uno sciamano che sembrava far emergere i suoni dal nulla, proiettarli nello spazio, trasformarli in continuo gioco di metamorfosi, in un caleidoscopio sonoro, fatto di ampie armonie, effetti formicolanti, sonorità acide e taglienti. Un vero spettacolo, reso ancora più suggestivo dai giochi di luce sui solisti disposti intorno all’orchestra. Pöhl ha affrontato anche un pezzo impegnativo come Dérive 2 con grande concentrazione, offrendone una lettura più fluida e distesa rispetto a quella di Boulez, a tratti anche lirica, quasi romantica, come un flusso sonoro avvolgente, nel quale venivano dipanati con cura i complessi intrecci strumentali. Dinamica, piena di energia, l’esecuzione di Sur Incises metteva in risalto gli intrecci ritmici, le stratificazioni temporali, le scomposizioni acustiche tra pianoforti, arpe e quelle percussioni metalliche che avevano attratto Boulez per la loro capacità di simulare suoni elettronici. E che, nelle sue mani, diventavano capaci di continue seduzioni timbriche. Gianluigi Mattietti L’Ensemble Insomnio diretto da Ulrich Pöhl esegue Répons durante il Festival Boulez tenutosi al Tivoli-Vredenburg di Utrecht 42 Amadeus NAPOLI Teatro San Carlo Bizet Carmen Dodicimila lampadine non bastano a dare luce a un’opera L’ apertura della stagione del San Carlo, con Carmen diretta da Zubin Mehta, è stata caratterizzata da due trovate, di natura diversa, entrambe negative. Il sindaco di Napoli Luigi de Magistris ha cercato di strappare Mehta a Firenze, la città con cui il celebre direttore indiano ha un rapporto trentennale, come direttore principale dell’Orchestra del Maggio. È scoppiata una crisi che ha portato all’ambigua decisione di nominare lui direttore emerito a vita, e Fabio Luisi direttore musicale; ambigua perché la carica onorifica era l’unico modo per non tagliare il cordone ombelicale tra Mehta e una città che lo ama. In questa delicata trattativa, con malagrazia e zero fairplay, si era inserita Napoli, che ne è uscita a mani vuote (vedi Agorà a pag.5). E questa è la prima trovata. La seconda è stata la regia della Carmen, affidata a Daniele Finzi Pasca. È un regista svizzero che viene dal mondo del circo più ispirato (Cirque du Soleil), si è avvicinato alla lirica sei anni fa, ha cominciato alla English National Opera e a Napoli aveva già messo in scena Pagliacci. Carmen è un’opera asciutta e tagliente che va dritta al cuore dello spettatore, modernissima, ha nel femminicidio la sua profetica attualità. Con una regia esclusivamente scenografica, senza alcuna idea di recitazione, Finzi Pasca si è limitato a creare una Siviglia esteriore, una trovata appunto, consistita nel giocarsi tutte le carte con la luce (ma non nell’uso poetico e strutturale che ne fa Bob Wilson). Il regista si è servito di dodicimila lampadine. Negli ultimi due atti, grazie ai sensori, reagivano alle dinamiche e alle frequenze del canto e davano una luce più intensa quando le Carmen al Teatro San Carlo: protagonista Maria José Montiel, direttore Mehta, regia Finzi Pasca note salivano in alto, più debole con i suoni più flebili. «È una scenografia dove le cose si accendono e si spengono», ci disse alla vigilia. Le lampadine creavano architetture moresche anche gradevoli alla vista, trasformando lo spazio scenico in una festa di paese, poi c’erano delle barre al neon che diventavano ora transenne (quando alle gitane salta la mosca al naso), ora corde nel ring tra i due protagonisti: una Maria José Montiel senza carisma (il che è doppiamente grave quando si deve interpretare Carmen), e il Don José di Brian Jadge; straordinaria invece la morbidezza della Micaela di Eleonora Buratto. Il San Carlo aveva già invitato un artista del Cirque du Soleil, quando Franco Dragone allestì l’Aida del 2013 tutta fatta di corde. Che aveva una sua idea. Qui siamo al mero decorativismo. Zubin Mehta ha una lunga esperienza con il capolavoro di Bizet (fin dagli anni ’60, Shirley Verrett, altro fascino). Qui, forse indispettito dalle vicende fiorentine, ha diretto con eleganza ma senza accensioni. La luce, in realtà, alla Carmen delle dodicimila lampadine, non si è accesa mai. Valerio Cappelli Amadeus 43 INSCENA INSCENA lacritica lacritica RAVENNA PALERMO Teatro Alighieri Puccini La bohème Teatro Massimo Wagner Siegfried Commovente melodia acqua e sapone senza lacrime e melassa Le ossessioni personali del regista Vick salvate da direttore e cantanti A ttorno alla Bohème e a Puccini ha ruotato la coda autunnale del Ravenna Festival. Cristina Mazzavillani Muti vi ha firmato una nuova produzione dell’opera (sul podio Nicola Paszkowki) e ideato il “divertimento alla bohémienne” Mimì è una civetta, ossia un’elaborazione della partitura per band a cura di Alessandro Cosentino, con la partecipazione della tromba di Fabrizio Bosso, inscenata alla maniera di un musical da Greg Ganakas. Inoltre, nel PalaCredito di Forlì, Riccardo Muti al pianoforte ha tenuto un recital pucciniano con le voci di Anna Netrebko, Eleonora Buratto e Yusif Eyvazov per raccogliere fondi destinati a iniziative benefiche. La bohème è uno spettacolo che si prevede di lunga tenuta. Da qui ai prossimi mesi andrà in scena a Vilnius, Piacenza, Novara. Scrostarne dalle note lacrime e melassa di tradizione è l’impegno che si assumono Paszkowski e Mazzavillani. Compito forse impopolare, però qualcuno deve pur farlo. Puccini lo merita. A dispetto di quel che pensava un A l contrario di quanto credono in molti, è raro che le cosiddette “regie attualizzanti” riescano nello scopo di affermare la perdurante validità di un capolavoro del passato: investendo la superficie dell’opera e non i suoi contenuti profondi, la conversione forzata di moduli drammaturgici, tratti stilistici e presupposti referenziali, finisce spesso per sancire l’esatto contrario di quello che si vorrebbe, e cioè l’irrimediabile incomunicabilità dell’opera con il presente. Se quindi un regista “attualizzante” come Graham Vick, alle prese con la seconda giornata del Ring al Teatro Massimo di Palermo (a cui proprio in questi giorni è seguito Il crepuscolo degli Dei che è la terza e ultima n.d.r.), prevede che Sigfrido forgi Notung nel barbecue della sua squallida cucina La bohème allestita al Ravenna Festival: regia di Cristina Mazzavillani Muti, sul podio Nicola Paszkowki Meagan Miller (Brünnhilde) nel Siegfried andato in scena al Teatro Massimo di Palermo: regia Graham Vick, direttore Stefan Anton Reck secolo fa il musicologo Fausto Torrefranca quando imputava al compositore di essere femmineo, non solo per le copiose stille di pianto che sapeva far versare alle signore in sala, ma perché sottometteva la sua creatività ai gusti più ordinari dell’epoca. Antiche polemicuzze che hanno lasciato strascichi nella mentalità comune. Invece nell’allestimento al Teatro Alighieri l’emo- FIRENZE: UN SAX E UN PIANOFORTE È come lo scrivere sulla sabbia ciò che fanno i sax di Javier Girotto in recital con il pianista Michele Campanella (nella foto). Tracciano linee, più o meno sottili e profonde, che poi il mare cancella; solo la sabbia resta. Tuttavia, per quanto perdurano, di quei segni fugaci si contempla il disegno incantevole, la finezza dell’invenzione e, appena svaniti, la scia argentea che si lasciano alle spalle. La sabbia, per il jazzista argentino, si materializza in pagine di Debussy e Ravel, Suite bergamasque, Children’s corner, Miroirs. Di per sé autosufficienti. E come tali Campanella le tratta: ne cava sonorità estatiche su cui si adagia la sovrascrittura di Girotto (raddoppi, contrappunti, improvvisazioni) quasi fosse la cosa più naturale al mondo, anziché una scommessa. Così è cominciata l’attività concertistica del rinnovato Museo dell’Opera del Duomo a Firenze, casa per capolavori di Ghiberti, Donatello, Michelangelo, ora anche spazio per la musica, una volta al mese. g.mop. 44 Amadeus e poi la tempri nell’acquario che completa un arredamento da slum sudamericano, non si viene messi in comunicazione con ciò che nell’opera di Wagner ci riguarda ancora oggi, ma solo con le personali ossessioni di chi la mette in scena. Grazie al Siegfried andato in scena a Palermo, sappiamo che Vick mette sotto accusa i vecchi borghesi cinici e libidinosi per quello che hanno fatto ai figli, che pur essendo un bamboccione viziato Sigfrido ha ancora tutto l’incanto della giovinezza, che il corpo maschile e femminile ha una dignità che prescinde dalla contingenza e rinvia a un iperuranio dove è conservata la sua Idea: peccato soltanto che Richard Wagner avesse altro da dire. Incolpevole di uno spettacolo sbagliato, il cast dà buona prova: a eccezione di Christian Voigt (Siegfried) e Peter Bronder (Mime), entrambi inadeguati al ruolo, Thomas Gazheli (Wotan), Sergei Leiferkus (Alberich), Michael Eder (Fafner), Judit Kutasi (eccellente Erda), Meagan Miller (Brünnhilde) e Deborah Leonetti (un ottimo uccellino), ben diretti da Stefan Anton Reck, riescono a ricordarci che siamo davanti a uno dei grandi capolavori del teatro d’opera di tutti i tempi, stracolmo di significati nascosti, ricco di un’inesauribile stratificazione mitica, capacissimo di significare il presente senza decampare di un millimetro dai propri assunti formali. Sara Zurletti tività fremebonda non ha spazio. La commozione, sì. Non epidermica, bensì quella ingenerata dalla lettura musicale che si prefigge oggettività e dalla messinscena di taglio minimal e d’impostazione naturalistica irraggiata da videoproiezioni che richiamano il decadentismo, specie la pittura di Odilon Redon. Paszkowski procede a passo serrato, e grazie all’Orchestra Cherubini che gli risponde benone non rinuncia a stendere tappeti soffici a fine primo atto, né a contrappuntare costellazioni di timbri e silenzi al principio del terzo. Bandisce leziosaggini dal fraseggio. Crede, a ragione, che semmai debba essere la melodia in sé a far palpitare il pubblico, non la posa artificiosa con cui si potrebbe cantarla. Lo seguono, consapevoli, le voci: Matias Tosi, Damiana Mizzi, Daniel Giulianini, Luca Dall’Amico. Benedetta Torre e Alessandro Scotto di Luzio, Mimì e Rodolfo acqua e sapone, riversano la freschezza della loro gioventù nei due protagonisti. Lei, via via, acquista spessore psicologico, e da ultimo si trova a giacere moribonda su un letto che è già un sepolcro. Gregorio Moppi Amadeus 45 INSCENA INSCENA lacritica lacritica BOLZANO Teatro Comunale Bernstein Trouble in Tahiti Barber A hand of bridge Achtung! Anacronistiche traduzioni e video-riempitivi A chtung, Leonard! Bernstein in tedesco? Succede a Bolzano, dove è andato in scena l’agile Trouble in Tahiti, in efficace abbinata con l’opera “più corta della storia”, A hand of bridge di Samuel Barber. Tradurre le opere è anacronistico in Italia, normale in Germania dove è nata la produzione (della Leipzig Oper) ereditata dalla Fondazione Haydn che da quest’anno programma la lirica in regione: e a Bolzano – dove l’inglese è “terzo comodo” in terra bilingue – la traduzione stonava particolarmente. Si perdeva naturalmente il brio dello swing linguistico dell’originale (limitato agli intraducibili giochi di parole) con una nota inconsapevolmente comica: nel terzetto corale che accompagna la narrazione, Sandra Maxheimer è vestita da Marylin (Monroe) ma canta nella lingua di Marlene (Dietrich). Traduzione a parte, l’allestimento godeva di una bella vivacità: pensato come proposta alternativa a titoli di lunga tradizione, proponeva un modo “altro” di vivere il teatro portando tutti (spettatori e interpreti) sul palcoscenico, con il pubblico disposto in scalinate attorno a una pedana rotonda. In scena Trouble in Tahiti di Leonard Bernstein, andato in scena Bolzano; sotto, Fiorenza Cedolins e Leonardo Caimi (Mimì e Rodolfo) nella Bohème allestita al Carlo Felice con la regia di Ettore Scola; a destra, un momento di Le Prophète, l'opera di Meyerbeer proposta con successo a Karlsruhe un quartetto vocale affiatato formato da Jennifer Porto (Geraldine in A hand of bridge e Dinah in Trouble in Tahiti), Toby Girling (anche lui nel doppio ruolo di David e Sam), Sandra Maxheimer (Sally in A hand of bridge) e Patrick Vogel (Bill in A hand of bridge). Nascosta da una enorme radio a valvole, l’Orchestra Haydn era diretta da Anthony Bramall. Esecuzione scorrevole, sempre godibile, valorizzata da una regia (di Patrick Paldyga) frizzante ma non eccessiva, capace con elementi essenziali (qualche GENOVA: LA BOHÈME SECONDO SCOLA Ettore Scola, grande regista cinematografico appena scomparso all’età di 84 anni (19 gennaio), aveva recentemente portato anche al Carlo Felice di Genova la sua lettura de La bohème di Puccini, la medesima produzione andata in scena a Torre del Lago nel 2014. Per sua stessa ammissione, Scola si è accostato con cautela a un linguaggio registico per lui sempre nuovo, consapevole dei rischi in cui si può incorrere sperimentando su un terreno inesplorato. Ne risulta quindi, ben integrata alle belle scene di Luciano Ricceri, una lettura ligia al dettato tradizionale, arricchita da una cura particolare verso una gestualità attentamente calibrata sulle caratteristiche dei personaggi e degli interpreti, che riesce a porli in risalto senza alterarne i consueti equilibri. Ben centrata la direzione di Giuseppe Acquaviva, direttore artistico del teatro, e cast vocale discretamente in parte – Fiorenza Cedolins e Leonardo Caimi come Mimì e Rodolfo – in cui nettamente spiccava il bel debutto, come Musetta, di una Desirée Rancatore spigliata e sensibile. W. Edwin Rosasco 46 Amadeus giro di pedana, moderati giochi di luci e immancabili arredi anni ’50) di raccontare l’inconsapevole claustrofobia delle coppie in scena. A contrappunto dell’infelicità mascherata degli sposini americani, la produzione sciorinava – purtroppo – una serie di video interviste firmate da Isabel Bialdyga a coppie felici nella Germania di oggi: romanticismi privati raccontati senza una mediazione artistica, sostanzialmente inutili se non come riempitivo per l’ora scarsa di musica. Emilia Campagna KARLSRUHE Staatstheater Meyerbeer Le Prophète Forza e intelligenza per profeti della banlieue dell’emergente Tobias Kratzer D iverse produzioni recenti in Germania e questa nuova di Tobias Kratzer a Karlsruhe, dimostrano un recente interesse verso Meyerbeer, oggi piuttosto raro. Le produzioni di Tobias Kratzer, regista tedesco di nuova generazione, invitato a Bayreuth nel 2019 per Tannhäuser, hanno da un po’ di tempo suscitato vivo interesse. Il suo Prophète è ambientato nella Francia delle banlieue (scene iperrealistiche di Rainer Sellmaier), dove giovani abbandonati a se stessi si lasciano influenzare da predicatori, fino alla rivolta contro il potere nel nome di un falso profeta che li guida. Fedele al libretto, con precisione e rigore, Kratzer trasforma la storia della rivolta degli anabattisti a Münster nel ’500 in una storia della Francia contemporanea. Violenza sociale, violenza del potere e ruolo ambiguo della religione, falsificazione mediatica, manovre politiche, tradimenti, anche violenze carnali: tutti gli elementi sono già in filigrana nel libretto di Scribe e il regista non ha difficoltà a trarne legami con quello che succede oggi, in particolare la violenza a nome di Dio. Ne risulta uno spettacolo forte, intelligentissimo, anche sarcastico a volte, quasi senza tagli che legge il nostro mondo con uno spirito molto acuto. A questa regia appassionante corrisponde una realizzazione musicale notevole con le forze del Teatro di Karlsruhe e qualche cantante invitato, in particolare la direzione precisa e dinamica di Johannes Willig, seguito da un’orchestra col suono pieno di colori e di raffinatezze, che non copre mai i cantanti, e da un coro a dir poco eccelso (preparato da Ulrich Wagner) con una dizione francese molto curata. Meyerbeer, amante della vocalità rossiniana non ha mai risparmiato difficoltà ardue ai suoi interpreti, e non è facile riunire cantanti adeguati a uno stile ormai raro sui palcoscenici. Eppure stupisce la bravura della compagnia di canto, senza voci di spicco, ma senza debolezze, molto impegnata nella regia, tutti attori bravissimi: tra di loro la Fidès di Ewa Wolak, voce potente, con bella personalità scenica, molto commovente, cosicché la Berthe della giovane Agnieszka Tomaszewska, fresca, con bella tecnica, molto controllata e sconvolgente in scena. Erik Fenton è Jean, il Profeta, voce ben impostata e resistente malgrado arie di notevole difficoltà e lunghezza, tra gli anabattisti, bravi, James Edgar Knight (Jonas) e Lucia Lucas (Mathisen), segnaliamo lo Zacharias di Guido Jentjens che ha sostituito un cantante ammalato e cantato partitura alla mano. Andrew Finden (Oberthal, che nell’opera è il cattivo), tratteggia un personaggio a volte violento, a volte comico, con bella voce e stupenda dizione francese. La coreografia – il celebre balletto Les patineurs – era a cura del gruppo tedesco di breakdance TruCru/Incredible Syndicate, perfettamente in linea con la regia, ma anche con la musica, che ha avuto un trionfo clamoroso. Immenso successo per tutti, dopo un finale mozzafiato che ha lasciato il pubblico di stucco. Guy Cherqui Amadeus 47 APPUNTI prosa cinema arti Piccola selezione di occasioni culturali e mete artistiche in giro per l'Italia LA GRANDE MUSICA SINFONICA SU CLASSICA HD DOMENICA ORE 21.10 BOLOGNA La Camera. Sulla materialità della fotografia indaga il rapporto tra quest’ultima e la scultura spostandone il baricentro verso il medium fotografico. Palazzo De’ Toschi ospita opere realizzate con tecniche insolite e rare: dai dagherrotipi alle stampe al platino e molte altre scelte eccentriche per spiazzare lo spettatore e riportarlo alla meraviglia sperimentata dagli uomini dell’Ottocento verso il mezzo fotografico. La scultura riemerge nei soggetti, tra le pellicole fosforescenti e l’antica tecnica dell’ambrotipia. Fino al 28 febbraio. Info: bancadibolognaeventi.it/mostra-arte-la-camera FABRIANO (AN) Elica Love(s) Difference è un progetto di Michelangelo Pistoletto e dell’associazione culturale da lui fondata, Love Difference. A promuoverlo la Fondazione Ermanno Casoli ed Elica: per l’occasione la facciata dell’azienda sarà trasformata grazie a una delle opere più famose di Pistoletto, Love Difference, composta da una serie di scritte al neon che illumineranno l’architettura dell’edificio, offrendo al tempo stesso un messaggio di pace decisamente attuale, un invito al rispetto e alla comprensione reciproca tra le diverse culture. Fino a dicembre 2016. Info: fondazionecasoli.org FERRARA A cento anni dalla creazione tornano nella città estense i rari capolavori che Giorgio de Chirico dipinse tra il 1915 e il 1918. La mostra Metafisica e avanguardie documenta la loro profonda influenza su Carlo Carrà, Giorgio Morandi e sulle avanguardie europee del dadaismo, del surrealismo e della Nuova oggettività. De Chirico rende Ferrara protagonista di alcuni celebri dipinti, nei quali il Castello Estense o le grandi piazze deserte svolgono un ruolo magico. Fino al 28 febbraio. Info: palazzodiamanti.it NAPOLI Il MADRE è stato nominato miglior museo italiano del 2015 da Artribune. In attesa del debutto dell’esposizione primaverile dedicata a Mimmo Jodice, è possibile ammirare tre opere sitespecific commissionate dal museo: Axer/Désaxer (fino al 4 luglio) e Come un gioco da bambini (fino al 29 febbraio) dell’artista francese Daniel Buren e La Voce. Nel giallo faremo una scala o due al bianco invisibile dell’empolese Marco Bagnoli (fino al 29 febbraio). Progetto a cura di Achille Bonito Oliva. Info: madrenapoli.it ROMA Gillo Dorfles. Essere nel tempo è la prima antologica che rende omaggio all’opera totale di un padre storico della cultura visiva italiana: da un lato la sua personalissima vivacità espressiva, dall’altro lato il suo sguardo che indaga le oscillazioni del gusto e le evoluzioni del presente. In mostra al Macro oltre 100 opere: dipinti, disegni e opere grafiche, ma anche una selezione di ceramiche e gioielli, dagli esordi degli anni ’30 alle creazioni dell’estate 2015, a cui si aggiungono una sezione dedicata a foto e carteggi e una sull’attività di critico d’arte. Fino al 30 marzo. Info: dorflesmuseomacro.it TORINO Debutta al Teatro Carignano in prima nazionale Morte di Danton di Georg Büchner, con un cast tra cui spiccano Giuseppe Battiston, Paolo Pierobon e Iaia Forte e la regia di Mario Martone. La pièce (1835) descrive l’atmosfera degli ultimi giorni del Terrore e si concentra sui due protagonisti della Rivoluzione francese Danton e Robespierre, prima compagni e poi avversari, destinati alla ghigliottina a pochi giorni di distanza tra loro. Lo spettacolo andrà poi in scena al Teatro Strehler di Milano (1-13 marzo) e al Teatro Lac di Lugano (15-16 marzo). Dal 9 al 28 febbraio. Info: teatrostabiletorino.it Amadeus 49 Francesco Paolo Tosti (1846-1916) Il gentiluomo della MELODIA Dal cenacolo dannunziano di Francavilla al Mare alla corte della regina Vittoria. Ritratto del "maestro" della romanza da salotto a 100 anni dalla morte di Giovanni Gavazzeni I n un applauditissimo concerto di canto al Teatro alla Scala nell’estate passata, il tenore Juan Diego Flórez, che ha costruito la sua meritata fama come impareggiabile protagonista delle opere di Rossini, ha inserito alcune suggestive romanze di Francesco Paolo Tosti (Ortona, 1846 - Roma, 1916). Il rapporto fra Tosti e i grandi cantanti di ogni tempo (soprattutto tenori) non è mai venuto meno, sulla scia leggendaria dei dischi di Enrico Caruso, da Jussi Björling fino a Luciano Pavarotti. Un fatto che sottolinea quanto il compositore abruzzese sia stato sentito come l’ultimo rappresentante della grande scuola di bel-canto napoletana, essendo stato studente al Conservatorio di San Pietro a Majella, allievo per la composizione del direttore, Francesco Saverio Mercadante. Nei decenni del secondo dopoguerra novecentesco, la sua produzione ha conosciuto un certo sfavore critico, spesso frutto di scarsa conoscenza, esteso in quei tempi a tutta la cerchia della cosiddetta 50 Amadeus Giovane Scuola Italiana – non si facevano distinzioni fra Puccini e gli altri – figuriamoci in un genere considerato minore rispetto all’opera, come la romanza da salotto della Belle époque. Il lavoro encomiabile di Francesco Sanvitale, anima dell’Istituto di Studi tostiano di Ortona, sfociato nella pubblicazione di una ricca miscellanea (1991) e di un’altrettanto densa biografia (Il canto della vita, Edt, 1996), accompagnato dalla pubblicazione delle Opere complete, in quattordici volumi, presso Ricordi, ha posto le basi per una conoscenza più approfondita di uno dei più fulgidi rappresentanti della canzone d’arte, nel passaggio fra Otto e Novecento. Quando Tosti pubblicò nel 1887 presso Ricordi, la prima melodia che Flórez ha cantato alla Scala, Malìa, godeva, nel genere floridissimo della “romanza da salotto”, di una fama – fatte le debite proporzioni – comparabile a quella di Giacomo Puccini nel campo operistico. I due, fra l’altro, furono molto amici. Si conobbero quando Tosti aveva appena cominciato a essere il famoso “melodista” e Puccini gli leggeva il travagliato libretto della Manon Lescaut nel villino di Giulio Ricordi a Cernobbio, sul Lago di Como. Un sodalizio strettissimo, tanto che Tosti e la moglie Berthe, assistettero Puccini a Roma, circondandolo di affetto e attenzioni, durante la drammatica istruttoria, a seguito del suicidio della cameriera del maestro, Doria Manfredi, ritenuta da Elvira Puccini una delle amanti del marito. Malìa è l’emblema della romanza tostiana. Sul testo, abilissimo artigianato di Rocco E. Pagliara, prolifico rimatore per conto di Ricordi, fervente wagneriano e bibliotecario del Conservatorio di Napoli, si innesta la musica raffinata e cordiale quintessenza dello stile-Tosti. «La compostezza, il carattere pacato e sentimentale del brano, uniti a una estrema economia di mezzi tecnici, sembrano studiati per esprimere Amadeus 51 DʼANNUNZIOperTOSTI L’alba separa dalla luce l’ombra* L’alba separa dalla luce l’ombra, E la mia voluttà dal mio desire. O dolci stelle, è l’ora di morire. Un più divino amor dal ciel vi sgombra. Pupille ardenti, o voi senza ritorno Stelle tristi, spegnetevi incorrotte! Morir debbo. Veder non voglio il giorno, Per amor del mio sogno e della notte. Chiudimi, o notte, nel tuo sen materno, Mentre la terra pallida s’irrora. Ma che dal sangue mio nasca l’aurora E dal sogno mio breve il sole eterno! *(da Quattro canzoni d’Amaranta, 1907) musicalmente l’atmosfera del testo», precisa Sanvitale, «per intenerire e ammaliare magicamente l’ascoltatore, come nel caso del primo verso Cosa c'era ne 'l fior che m’hai dato». Tosti seppe scegliere non solo rimatori periti, ma autentici poeti, come nel caso di una delle sue più celebri melodie: il canto napoletano, Marechiare (1886), versi di Salvatore Di Giacomo, poeta che Benedetto Croce definì il sollevatore «della canzone di Piedigrotta a istituzione letteraria, e, per virtù del suo genio, a opera originalissima di poesia». Lo spunto, secondo la leggenda diffusa dalla Gazzetta Musicale di Milano di Ricordi, venne a Tosti ascoltando «un oscuro posteggiatore (…) il quale, prima di iniziare l’accompagnamento delle canzoni che il suo compagno cantava, ripeteva ogni sera, sul suo flauto il tema melodico dal quale sboccia la musica di Marechiare, fresca e odorosa di alghe 52 Amadeus marine». I legami con Roma, Napoli e l’Abruzzo natio furono sempre saldissimi, testimoniati dai periodi in cui il compositore fu parte attiva del cenacolo di Francavilla al mare, insieme al pittore Michetti, allo scultore Barbella, a D’Annunzio, Matilde Serao e Edoardo Scarfoglio e a quanti venivano da loro attratti dalla Capitale. Anche in quella sede Tosti suonava e cantava: «senza stancarsi, obliandosi dinnanzi al pianoforte, talvolta improvvisando, con una foga e con una felicità d’ispirazione davvero singolare». Così D’Annunzio, celato sotto lo pseudonimo di Duca minimo, rivelava l’amicizia e l’ammirazione per “Ciccio” Tosti, cui affidò una poesia scritta per scommessa (per dimostrare di saper scrivere anche nel dialetto napoletano), ’A vucchella (1907), cavallo di battaglia indimenticato di Roberto Murolo, in cui i due abruzzesi riuscirono partenopei al livello più alto possibile. Nello stesso anno, D’Annunzio scrisse per Tosti le Quattro canzoni d’Amaranta («di forma e di stile piene di difficoltà») nel ritiro della Versiliana, a Marina di Pietrasanta. Nel ciclo, D’Annunzio sublimava il rapporto con Amaranta (Guseppina Mancini), il cui destino (finirà folle) l’Orbo Veggente accomunava all’Isotta di Wagner. Lo stesso tema della canzone più nota – immortalata dalla voce brunita di Caruso sul grammofono – L’alba separa dalla luce l’ombra (vedi box sopra), è molto tristaniano, nell’abbraccioopposizione di luce/ombra, amore/morte. Il prezioso discorso dannunziano spinse Tosti a cogliere le più intime risonanze poetiche. Qui siamo già nel clima della più eletta lirica italica: Martucci, Pizzetti, Respighi. Quando Tosti morì – il 2 dicembre di cent’anni fa, negli anni più cupi della Prima Guerra Mondiale – in un appartamento dell’Hotel Excelsior di Via Veneto a Roma, giunsero alla vedova Berthe de Verrure, telegrammi degli amici più cari che erano non solo il conterraneo d’Annunzio, ma teste coronate: Re Giorgio V e la Regina Mary, Alessandra, Regina madre d’Inghilterra e vedova di Edoardo VII che aveva nominato Tosti, Sir Francesco Paolo. Telegrafarono la Serao, i tre assi della chiave di tenore, Caruso, Fernando De Lucia e Alessandro Bonci; e gli operisti: Puccini, Mascagni, Leoncavallo, Giordano, Cilèa, Boito. Per la traslazione della salma al cimitero del Verano c’era tutta Roma: «Guglielmo Marconi e il sindaco Ernesto Nathan, il basso Nazareno De Angelis e il baritono Antonio Cotogni, l’attrice Adelaide Ristori, i poeti Trilussa e Cesare Pascarella», rappresentanze politiche inglesi e italiane. Una simile (altolocata) popolarità era frutto della non comune versatilità di Tosti che scrisse non solo centinaia di preziose melodie italiane, ma altrettanto idiomatici songs inglesi, chansons francesi (per i maligni, per soffocare i pettegolezzi “reali”) fu decisiva per la carriera di Tosti, che si avvalse della collaborazione di un illustre conterraneo, il violoncellista Gaetano Braga, ben introdotto nei circoli attorno alla Corte. Le sue fortune divennero quelle dell’Editore Giulio Ricordi, al quale Tosti fu legato da intima e personale amicizia, diventando una sorta di Ministro plenipotenziario di Casa Ricordi a Londra. Come ricorda il Sanvitale: «Ricordi, nella politica di espansione internazionale degli interessi della Casa, nel 1878 firma un contratto di affitto per la propria sede di Londra da attivarsi entro il 1880 al numero 265 di Regent Street. Non erano estranei, infatti, alla scelta inglese di Ricordi, l’attività e il successo dei tanti musicisti italiani». Prima e insieme a Tosti, stimati musicisti italiani dirigevano l’opera come Michael Costa e Luigi Arditi e Luigi Mancinelli, o insegnavano canto nei colleges più prestigiosi come Pasquale Mario Costa e Luigi Denza. «Nel maggio del 1879 Tosti compose a Nel dicembre 1916, per la traslazione della salma al cimitero del Verano c'era tutta Roma (il languido mal d’amore di Pour un baisier, 1905), deliziose canzoni in lingua napoletana e nel natìo vernacolo abruzzese. Contò molto la perizia indiscussa come maestro di canto (consigliato anche da Verdi), già disputato dai blasonati della nuova Capitale del Regno: i Giustiniani, i Del Drago, i Massimo, i Borghese, i Chigi. In Roma Capitale, Tosti fu insegnante – e forse qualcosa di più – della Regina Margherita di Savoia, animatore dei suddetti salotti aristocratici, dove lo aveva introdotto Giovanni Sgambati, l’aristocratico allievo romano di Liszt, che era solito svernare a Roma. L’idea di trasferirsi da Roma alla capitale dell’Impero britannico Londra la sua prima romanza su testo inglese, For Ever and For Ever! che Ricordi edita il 29 giugno dello stesso anno destinandola a quel mercato: uno strepitoso successo che in pochi mesi raggiunge le 50.000 copie vendute». Un successo che divenne una costante, e gli valse un contratto sontuoso con l’editore inglese Chappell per la produzione di quattro songs l’anno. Uno dei fattori decisivi al successo era la “cantabilità”, intesa non solo come dono melodico, ma come adattabilità della scrittura musicale alla voce umana. «Le sue romanze sono il prodotto finale di un’attività esercitata con costante impegno ed intelligente discrezione. Egli fu innanzitutto un grande insegnante di canto e come tale probabilmente l’ultimo esponente della scuola di canto d’ascendenza napoletana: trasfondeva nelle sue romanze tutta la sapienza di una tecnica inossidabile che giornalmente esercitava con i professionisti - tutti i grandi che frequentavano le stagioni del Covent Garden, tra il 1880 e il 1910, andavano spessissimo a studiare le opere con lui, dalla Melba alla Tetrazzini, da Caruso a Scotti». Nei diari della Regina Vittoria sono riportate le feste, dove davanti al Gotha nobiliare sfilava quello vocale: il soprano svedese Christina Nilsson, il baritono francese Victor Maurel (primo Jago e Falstaff verdiano), il soprano canadese Emma Albani, i fratelli polacchi Eduard e Jean De Reszkè, il soprano australiano Nellie Melba e gli italiani Cremonini, De Lucia, Caruso (tenori) e Scotti e Ancona (baritoni). Morta Vittoria, Tosti continuò con Edoardo VII, maestro privato di canto di tutta la Casa reale. La duchessa di Cambridge e altri blasonati studiarono l’italiano per ammirazione e per amicizia al loro maestro. Era naturale che Puccini e Mascagni a lui si affidassero per arrivare a Windsor. «Di tutti si hanno lettere e citazioni sull’accoglienza riservata da Tosti, e sull’influenza da lui esercitata nell’introdurli e presentarli a Corte». D’altronde il motto di questo gran gentiluomo della melodia vocale era: “Vivi e lascia vivere”…  A sinistra, Nizza, marzo 1897: Francesco Paolo Tosti è con Eleonora Duse e Matilde Serao Amadeus 53 Hélène Grimaud Come L’ACQUA Water, il suo ultimo "fluido" progetto musicale, ora è diventato un disco. Dopo i lupi, la natura ispira ancora la pianista francese di Federico Capitoni B asta coi lupi? Non del tutto. Hélène Grimaud continua con l’attività del Wolf Conservation Center (di cui è fondatrice) che per un periodo l’ha resa quasi più famosa come animalista che come pianista, ma che ora ha lasciato andare da solo, essendo definitivamente decollato: «Il progetto», dice, «è cresciuto molto da quando ho cominciato nel 1997, soprattutto in termini di programmi educativi sul rispetto della natura e degli animali. Il focus si è anche spostato dai lupi a una più generale attenzione all’ambiente e all’ecosistema. Quello che volevo dimostrare è che la paura, per una creatura diversa, è solo ignoranza». Così adesso questa artista dai molteplici talenti (è anche un’apprezzata scrittrice) può legare totalmente la sua notorietà alla sua vocazione principale e cioè al pianismo, della cui scena internazionale è indiscutibile protagonista da anni. In Italia sarà il prossimo 9 aprile al Parco della 54 Amadeus musica di Roma con Antonio Pappano e l’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia: suonerà il Quarto Concerto di Beethoven. Per molto pubblico, la pianista francese quarantaseienne è anche “quella bella”, complice un volto che sulle copertine dei dischi fa particolare presa. Lei, naturalmente, se si affronta la questione del rapporto bellezza/successo, si schermisce: «Mi è difficile rispondere perché non mi vedo in questi termini. Sono sul palco da trentadue anni e non credo sia per l’aspetto fisico. Guardiamo Martha Argerich o Evgeny Kissin, o i giovani pianisti di oggi: sembrano tutti belli, ma perché hanno qualcosa da dire. La bellezza secondo me esce fuori attraverso la musica». Beltà, lupi o libri, Hélène Grimaud resta un’acclamata pianista, valente interprete di Chopin, Brahms e Rachmaninov, che proprio di recente è tornata a far parlare di sé grazie a un particolare recital pianistico, diventato anche un disco (registrato dal vivo) in questi giorni in uscita per Deutsche Grammophon (dal 5 febbraio), che ha come tema conduttore l’acqua. Water, quindi, è il titolo di una raccolta di brani che ha non semplicemente l’elemento acquatico come protagonista, ma più in generale il flusso, la metamorfosi, l’incatturabilità. Concetti che caratterizzano dunque l’acqua come elemento naturale e lo spirito come concetto metafisico. Infatti tra i pezzi, di compositori che vanno da Berio e Takemitsu a Fauré e Liszt, ci sono titoli didascalici e altri dove non è tanto l’acqua a essere protagonista, quanto alcune sue caratteristiche. Nel caso per esempio di Albéniz, Almería, l’elemento è «l’ondulazione ritmica che rispecchia la vita, scandita dal mare, della popolazione di quella città costiera», dunque un principio musicale che però può qualificare Amadeus 55 «Quando scrivo, scelgo la parola, compio una traduzione del sentimento; con la musica questo non è possibile. Con la musica non si può mentire» 56 Amadeus l’acqua in movimento. In questo concept album i pezzi pianistici sono intervallati da alcune composizioni elettroniche, chiamate “transizioni”, di Nitin Sawhney, compositore angloindiano, molto amato dalla pianista, che ha anche prodotto il cd: «Gli ho chiesto subito di collaborare a questo progetto. L’idea», continua la pianista, «era di aprire nuovi orizzonti di suono non comuni in un recital di pianoforte. Ha cercato di sintetizzare diverse tradizioni musicali e ha dato, creando dei ponti tra una musica e l’altra, una particolare continuità, comprendendo immediatamente l’atmosfera del lavoro». Anche se apparentemente i brani di Sawhney sembrano non c’entrare nulla con il suono che abita il cd, essi servono appunto a passare da una stanza all’altra di un edificio molto eterogeneo per epoche e compositori. È un filo rosso concretamente sonoro, non concettuale, che contribuisce a riconoscere tutte le forme che l’acqua può assumere. Grimaud, che origine ha questa idea dell’acqua che lega tutti i brani? «La suggestione è iniziata quando ero piccola, prima con le Années de pèlerinage di Liszt poi, visto che comunque studiavo in Francia, con le musiche di Debussy e Ravel che ricorrevano spesso a temi acquatici. Subito riconobbi che molti compositori avevano una fascinazione dall’acqua. Così adesso ho deciso di creare un programma su questo argomento. Non è stato facile scegliere poiché i pezzi legati all’acqua sono moltissimi, dunque ogni scelta è stata arbitraria e senza alcuna ambizione “collezionistica” o di completezza. Così ho cercato di rappresentare al meglio i compositori e nello stesso tempo di alternare pezzi al programma (che parlano di acqua) ad altri in cui invece l’acqua è lo spirito che li anima. Per esempio, Jeux d’eau di Ravel appartiene al primo gruppo, In the Mists (n. 1) di Janáček, al secondo. Ciò che trovo interessante è come il linguaggio musicale esprime l’acqua e il suo flusso. A pensarci bene il pianoforte non ha molti espedienti: arpeggi, risonanze, poco altro. Eppure i pezzi del disco sono tutti diversi. Questo perché l’acqua è fluida, cambia, quindi ha diverse manifestazioni». Tra i motivi che l’hanno condotta alla scelta dell’acqua, c’è anche l’aspetto del rapporto con la natura. Ma i compositori in questione ci pensavano? «La natura li ha probabilmente ispirati, ma non credo avessero (a parte forse i più contemporanei) coscienza di questioni ambientali e dell’importanza dell’acqua per il pianeta, visto che non c’erano i problemi climatici di oggi». Nel proporre dal vivo questo disco, la seconda parte del concerto la dedica a Brahms, uno dei compositori che suona più spesso. Che rapporto ha con la sua musica? «Non so da dove venga questa attrazione, ma c’è da quando ero bambina. Trovo nella sua musica una perfetta sintesi tra classicismo e romanticismo, quindi la coniugazione tra il rigore della struttura e l’espressione del sentimento. C’è sempre tensione, controllo senza essere trattenuti. A ogni modo, è un’affinità soggettiva, più alchemica – come tra due persone – che cerebrale». Il repertorio classico ha sedimentato decenni di interpretazioni. Come, oggi, un musicista può suonare in maniera “nuova”, diversa, un brano passato sotto innumerevoli mani? «Ogni interpretazione è nuova. Lo è perché le persone che la danno sono diverse e anche la stessa persona è diversa da un giorno all’altro. Quindi la copia non è comunque possibile, se ovviamente hai una personalità artistica, altrimenti è un’imitazione di cui nessuno ha bisogno. I professionisti non si stanno a interrogare sul passato delle interpretazioni per fare qualcosa di diverso, pur tenendo in considerazione i maestri. Anche io ho degli interpreti di riferimento, come Gould, Gilels, Serkin, ed è difficile dire qualcosa che non sia stato detto. Ma allo stesso tempo bisogna avere la mente aperta abbastanza per sentire la ricchezza che ogni musicista sa restituire. Anzi, ciò che è interessante è proprio vedere cosa ogni artista sa portare alla luce di una composizione e d’altro canto l’unico modo per dare vita alla musica è suonarla. Alla fine ciò che conta è essere onesti: se cerchi a tutti i costi l’originalità solo per essere differente, sbagli. E bisogna essere generosi, dare cioè tutto». Spesso ha sottolineato il suo carattere ribelle e autonomo. Come se l’è cavata nell’ambiente accademico durante i suoi anni di studio? «Al Conservatorio ho certamente imparato tanto, specialmente perché ho iniziato tardi, da adolescente, non a tre o quattro anni come tanti colleghi. Si tratta di un’istituzione importante e meritevole di considerazione. Allo stesso tempo, però, ho trovato il sistema limitato, nei programmi di studio e nella visione complessiva. Ho sempre pensato che il conservatorio debba aprirsi un po’ di più e coinvolgere maggiormente gli studenti, che per la gran parte del tempo studiano a casa. E bisogna avere la fortuna di incontrare bravi insegnanti, come è successo a me». Lei ha anche una costante attività di scrittrice. Ha in programma un nuovo libro? «No, per il momento. Normalmente passa del tempo tra un libro e l’altro. Non mi considero una scrittrice perché scrivo lavori autobiografici e l’auto-fiction non è vera letteratura. Per me è solo un modo per comunicare quello che non riesco a dire con la musica. Ovviamente è più realistico, più dettagliato, ma meno “onesto” perché passa attraverso l’operazione intellettuale del pensiero. Quando scrivo, scelgo la parola, compio cioè una traduzione del sentimento; con la musica questo non è possibile. Con la musica non si può mentire, soprattutto se si è sul palco». A proposito di questo, quanta verità c’è nel libro Lezioni private, in cui la protagonista racconta di un suo viaggio in Italia? «Nessuna, in quel caso ho inventato tutto. Pensi che non sono mai stata a Venezia nella mia vita. Certamente per raccontare quei luoghi ho letto molto. Anche i personaggi non esistono, ma sono manifestazioni di caratteri di persone che conosco o che ho incontrato. Il novanta per cento insomma è immaginato, ma l’esperienza narrata è davvero personale».  Amadeus 57 Storia & Storie RINNOVARSI o morire L'epistolario rivela l'inedito tratto del Puccini critico musicale, riservato a familiari, amici, collaboratori. Gusti personali, giudizi folgoranti, intuizioni sul futuro di Alberto Cantù C hi sa fa, chi non sa fare critica», chiosava la mente acuminata di Georg Bernard Shaw. Il quale Shaw però, oltre a sapere fare, era pure critico musicale formidabile sia pure per procurarsi l’argent de poche. Per primo individua in Giacomo Puccini – ascolta Manon Lescaut a Londra; è il 1894 – l’erede di Giuseppe Verdi. Lo riconosce tale anche se ben comprende che il mondo pucciniano dista anni luce da quello verdiano nel rispecchiare – Puccini campione della modernità – le ansie e gli smarrimenti dell’uomo del XX secolo, nell’accogliere e lenire i suoi bisogni emotivi.Shaw risulta precocissimo e iperacuto anche nel confronto Puccini-Mascagni e nel valutare a caldo Cavalleria rusticana, per nulla turbato dalla turbolenza mondiale che l’atto unico provoca dalla sua apparizione romana nel 1890. Se in Puccini – scrive – «il contesto è così cambiato che si potrebbe pensare di essere in un paese nuovo», Cavalleria come i Pagliacci prossimi venturi (1892) di Ruggero Leoncavallo, non è altro che «l’opera di Donizetti razionalizzata, concentrata, inzeppata e radicalmente modernizzata» A differenza di Robert Schumann, per cui quella di critico musicale è professione ed arte, o di Hector Berlioz, pagato un tanto a riga – anche per lui il mestiere di chroniqueur rientra fra i travaux alimentaires –, Puccini non esercita mai la critica. 58 Amadeus Almeno non lo fa ufficialmente o in senso tradizionale ma le lettere alla mamma Albina e al fratello (i Puccini sono musicisti da cinque generazioni), all’editore e vice padre Giulio Ricordi o ai tiranneggiati librettisti contengono osservazioni e pagine critiche di tutto rispetto anzi folgoranti. Che il primo volume dell’Epistolario (a cura di Gabriella Biagi Ravenni e Dieter Schickling) per l’Edizione Nazionale delle Opere di Giacomo Puccini (Olschki, Firenze 2015) – 150 lettere inedite – conferma e ribadisce sin dagli anni 1877-1896: l’arco di tempo che copre gli studi milanesi, Le Villi, Edgar e La bohème. Ascoltando “Cavalleria” Ecco così un Puccini che non è da meno di Shaw quanto ad acutezza nel suo giudizio su Cavalleria nonostante voglia bene all’ex compagno di studi milanesi e (forse) di stanza, a colui assieme al quale ha comprato lo spartito del neo pubblicato Parsifal. Prendiamo una lettera dell’agosto 1890 a «Miele» (Michele), il fratello mezzo musicista e tutto scavezzacollo precocemente scomparso. Cappello, come si dice in gergo giornalistico (filato: senza punteggiatura). «Mascagni è salito alla gloria la più sgonfiata si è fatta la Cavalleria Rusticana prima a Roma poi Livorno Firenze Bologna Torino adesso si farà alla Scala dove quest’anno impera [l’editore] Sonzogno si darà il Cid la Cavalleria, la Lionella di Samara [prima alla Scala] e un’opera nuova di Gomes [autore del popolare Guarany] del quale l’altro giorno al Dal Verme sentii la Fosca [del 1873] orribile opera senza l’ombra di modernità e senza quella vena melodica italiana all’antica, niente, preferisco la Jone [di Petrella] figurati! Almeno nel suo trivialismo è più sincera». Massenet alla Scala, l’Erodiade ascoltata «in piccionaia con una lira e mezzo» («che bella musica!; il pubblico [sulle prime maldisposto] si è dovuto chinare davanti al Genio indiscutibile di Massenet»; l’Oratorio La Rédemption di Charles Gounod, battezzato alla Scala sotto la bacchetta di Franco Faccio nel 1883, invece non gli piace: roba vecchia che lo ha «nojato mortalmente». Wagner e l’influenza Quanto a Wagner, per tornare alle “anime” pucciniane, da erede di musicisti che da generazioni sono chiamati per fornire lavori alle festività civili e religiosa di Lucca, Puccini chiede al drammaturgo strumenti concreti, linguistici da annettere al proprio mondo. Ricordi lo manda a Bayreuth, sulla Sacra collina, per i Maestri cantori in vista dell’allestimento scaligero prossimo venturo – prima italiana – che prevede una versione stile Reader’s Digest: scorciata (da Puccini) d’un terzo. Giacomo ne parla in una malinconica lettera-cronaca al fratello del 1° maggio 1890. «I Maestri cantori alla Scala hanno avuto una buonissima esecuzione, specie la Gobbi [recte Gabbi]. Ma non ci va nessuno. Qui tutti hanno l’influenza compreso [il maestro concertatore Franco] Faccio e molti dell’orchestra e dei cori. […] Tempo orribile. Nebbia e pioggia fina. Mezza Milano è influenzata. Domani credo che chiudano le scuole». Effetti e pistolotti Valutazione critica di Cavalleria (e pensi a Shaw) con premessa. «Ritornando a Mascagni, il Corriere e la Lombardia ne dissero ira di dio; il Corriere dice che è una fila di canzonette alla Tosti e la Lombardia l’analizza nota per nota distruggendo tutto. Intanto il Secolo [quotidiano di Sonzogno] strombazza ai 4 venti il nuovo Genio etc: la Musica Italiana risorta lo chiama il Bizet d’Italia [sottolineatura d’enfasi e disapprovazione]». Giudizio lapidario ma non sommario. «A me piace poco la musica, niente originalità e ha rubato tutto, effetti vecchi; l’unico pregio è il dramma bellissimo di Verga ridotto a melodramma benissimo e la gran rapidità e facilità di melodie, scorrevoli orecchiabili, con violinate, insomma tutti i pistolotti finora in uso». Se il baritono è vile Dopo le prove di Manon Lescaut (lettera a Ricordi dell’agosto 1892; l’opera sta per debuttare al Teatro Regio di Torino) dice che orchestra e coro «fanno niente più che le note, non hanno forza, par che suonino, e cantino sotto il palco ». Del baritono che debutterà Marcello, Tieste Wilmant (lettera a Luigi Illica del 1° ottobre 1896) ribadisce: «è vile; non capisce uno zero; e non riuscirà neppure si provasse quanto a Bayreuth» (viene in mente Michelangelo Zurletti quando, a proposito di un sedicente Heldentenor, scrisse che aveva «l’eroismo d’un bignè»: bei tempi!). Quel genio di Massenet Certo. Puccini critico musicale spesso assona con Puccini compositore e le sue tre “anime”: italiana, francese, e tedesca, Anima italiana vuole dire teatralità infallibile che Giacomo eredita anzitutto dal suo maestro di composizione a Milano Amilcare Ponchielli e naturalmente dalla lezione di Giuseppe Verdi (la folgorazione di Aida nel 1876). Il côté francese è attestato dal gusto armonico, da debussismi prima di Debussy, da tinte, soggetti, ambientazione e anche dall’amore inteso come eros. Di qui, in una lettera alla madre del 1882, gli elogi rivolti a una novità per l’Italia di 60 Amadeus Strauss e Debussy Osservazioni critiche pucciniane del 1906, l’anno funestato dalla morte di Giuseppe Giacosa (nel ’12 se ne andrà anche il Sor Giulio). Richard Strauss. «La Salomè [sic] è la cosa più straordinaria cacofonia terribilmente [sic] ci sono delle sensazioni orchestrali bellissime ma finisce a stancare molto». Pelléas et Mélisande di Claude Debussy con un giudizio da operista nato e – appunto – italiano anche se ammiratore (non contraccambiato) di Debussy, L’opera ha «qualità straordinarie di armonie e sensazioni diafane strumentali». È un teatro che però «“mai” ti trasporta, ti solleva è sempre d’un colore “sombre”, uniforme come un abito di Francescano»; è «il soggetto che interessa e fa da rimorchiatore alla musica» (n.b.: alla ricerca del soggetto giusto che sarà Madama Butterfly, Puccini pensa a Pelléas et Mélisande. Pare che Maurice Maeterlinck restasse molto deluso dall’accordo mancato con il celebre operista; i diritti, però, li aveva già ceduti a Debussy). Melodia addio Aggiornato e curioso, acuto e coerente – il fascino delle “sensazioni” non basta a fare teatro musicale – Puccini vede il mondo che cambia sotto i suoi occhi in un decennio difficile per lui e per tutti: «Rinnovarsi o morire?» si domanderà retoricamente. I tempi, più ancora che il tempo, incalzano e affannano: «È triste, è triste molto perché il tempo se ne va di corsa». E confessa: «Com’è difficile scrivere un’opera oggi!». La polemica lo porterà a dire, più borbottone che convinto delle sue parole: «Ormai il pubblico per la musica nuova non ha più il palato a posto; ama, subisce musiche illogiche, senza buon senso. La melodia non si fa più o, se si fa, è volgare. Si crede che il sinfonismo debba regnare e invece io credo che è la fine dell’opera di teatro. In Italia si cantava, ora non più. Colpi, accordi discordi, finta espressione, diafanismo, opalismo, linfatismo. Tutte malattie celtiche, vera lue oltremontana». Ne «la melodia non si fa più» c’è anche la polemica nostrana con Ildebrando Pizzetti e il suo declamato; e una valutazione, peraltro azzeccata, di Debora e Jaele (1922, gli “brucia” anche che a dirigerne la prima alla Scala sia l’odiosamato Toscanini ) dove – notazione profetica – «l’abolizione della melodia è un grande sbaglio perché quest’opera non potrà mai aver vita lunga». Roba da matti Ancora. Se la chiosa pucciniana sul Sacre du printemps di Stravinskij è «roba da matti» (ma in Turandot un passo – le quattro note di “Mai non langue”, fa il paio con uno negli Auguri primaverili proprio del Sacre), a Vincenzo Tommasini, incontrato in una via di Parigi, dopo avergli chiesto se avesse ascoltato e visto la novità stravinskiana – non ancora – caldeggia: «Ci vada; perché di quella musica si parlerà ancora quando non si parlerà più della mia». Roba da matti ma da matti di genio che fanno la Storia della musica come Puccini critico riconosce.  In queste pagine, due lettere di Giacomo Puccini riportate nel primo volume dell'Epistolario curato da Gabriella Biagi Ravenni e Dieter Schickling: in apertura, lettera al librettista Luigi Illica conservata al Fondo Illica della Biblioteca Passerini-Landi di Piacenza, istituzione che, nel mondo, per numero di lettere di Puccini conservate è seconda solo a Museo Puccini di Lucca; a sinistra, lettera a Carlo Clausetti, all'epoca direttore della filiale Ricordi di Napoli (collezione privata) Amadeus 61 Emma Dante Una parte DI ME Crede nei percorsi, non negli eventi. Anche nella regia d'opera. Che affronta in punta di piedi, ieri al Teatro alla Scala con Carmen, oggi all'Opera di Roma con Cenerentola di Valerio Cappelli F orse non tutti sanno che Emma Dante nasce attrice. All’inizio fece piccole cose accanto a due giganti come Gassman e Mastroianni: «Un mostro di naturalezza. Gassman invece portò a un programma televisivo gli allievi dell’Accademia d’arte drammatica, che avevo frequentato. Ci diceva: “Vi odio perché siete giovani”». Quando nel 2009 debuttò come regista alla Scala, Emma nel mondo dell’opera apparve come la neofita conosciuta solo dall’avanguardia teatrale: molto apprezzata dagli addetti ma ancora da scoprire per il grande pubblico. Improvvisamente ebbe il suo battesimo di fuoco a Milano, con una Carmen destinata a dividere gli spettatori. Firmò altre regìe liriche. È una artista che fa un teatro sociale, molto fisico e musicale nel senso che attinge al suono del dialetto più stretto. Eppure non si considera ancora una regista d’opera. Nel teatro musicale dice di lavorare solo quando ha la possibilità di immergersi in un 62 Amadeus progetto senza limiti di tempo. «Credo nei percorsi, non negli eventi», dice. Per esempio, La Cenerentola di Rossini con cui ha appena fatto il suo debutto assoluto all’Opera di Roma (a febbraio si replica il 12 e il 19, direttore Alejo Perez, protagonista Serena Malfi) ha cominciato a prepararla un anno fa a Palermo con la compagnia dei suoi attori, denominata Sud Costa Occidentale, poi un mese di prove nella capitale. A prima vista, Emma Dante che mette in scena Cenerentola è qualcosa di lontano da immaginare. Poi pensi al ritmo, alla denuncia sociale che pure esiste all’interno della favola, alla vita quotidiana per la sopravvivenza, al realismo spicciolo di Rossini, a tutti quegli aspetti che forgiano il teatro della regista palermitana, e allora prende forma l’intuizione spiazzante. Un’opera come Cenerentola la sente vicina o lontana? «In Cenerentola ho ritrovato una parte di me. Ho fatto spettacoli per l’infanzia. Per me le favole sono un territorio di grandi scoperte e esplorazioni. Quando ho ascoltato l’opera di Rossini ho capito che ci sono cose che coincidono con me, anche se, è vero, di primo acchito no. Penso alla scena della tempesta, che viene raccontata con la musica. Ho immaginato una tempesta di botte, la violenza è dentro la casa, la musica ti dà delle suggestioni, ti fa venire in mente il patrigno e le sorellastre, il perfido trio». Qualcuno aveva parlato di una Cenerentola, anzi di Angelina, come si chiama in questo lavoro, alla riscossa. «È una favola che ha elementi violenti, essendoci questo rapporto familiare difficile, complesso, conflittuale col patrigno e le sorellastre, e lei che viene spogliata dei suoi averi da queste tre creature perfide. Si intravede una violenza domestica su di lei. Non è stata una messinscena edulcorata, si raccontano la favola e il segreto di una famiglia, come vive quella ragazza ridotta al ruolo di serva a cui vengono fatti dei soprusi. C’è nel finale del racconto tutt’altro che il perdono, i cattivi vengono simbolicamente puniti». Non c’è nella storia. «È una mia interpretazione, non sopporto il perdono e i lieti fine, penso che va punito chi ha fatto del male. Ma ho rispettato il libretto: il bracciale al posto della scarpina eccetera. Però non devo illustrare: devo interpretare». La sua Cenerentola-Angelina è circondata da strane creature. «Sono cinque bambole meccaniche, sai quelle con la chiavetta dietro? Sono le sue Amadeus 63 proiezioni, amiche, accompagnatrici, come un modo per vivere la solitudine con meno dolore, sono il suo segreto favolistico, spazzano, fanno i servizi in casa. All’inizio c’è un bel passaggio musicale, Cenerentola di qua, Cenerentola di là, la chiamano continuamente, come se si dovesse sdoppiare per fare tutto quello che le chiedono. Ho pensato che l’idea potesse essere raccontare il dono dell’ubiquità con la mia compagnia di attori». Facevano i mimi? «No, sono attori! Nel linguaggio dell’opera vengono chiamati figuranti o mimi, invece io porto il teatro all’opera, anche se non parlano, non recitano e non cantano, loro rispettano la drammaturgia dei corpi a volte in modo più eloquente delle parole. Le aspiranti spose erano tutte vestite da sposa al ballo, poi si scopre che sono armate, in competizione tra di loro per la scalata sociale, vogliono mettere le tende a Palazzo e sono disposte a tutto». 64 Amadeus Difficile ripensare ad altre edizioni. «Amo quella di Ponnelle, ma mi sono ispirata piuttosto al movimento pop surrealista americano, a certi quadri di ambientazione favolistica con elementi macabri o di minaccia. Ecco, una favola minacciosa». Non sono sempre minacciose, le fiabe? «Siamo noi che cerchiamo di depurarle quando le raccontiamo, la favola è il luogo dove esiste anche la crudezza, si racconta la verità in modo sublimato». L’ha ambientata ai nostri tempi? «No, c’è anche la carrozza. È una favola dei nostri tempi. Non sopporto le ambientazioni moderne delle opere, ho bisogno di tornare all’antico per trovare il moderno, a qualcosa di lontano da me per poterlo acchiappare. Qui c’è molto di onirico, mitologico, è una storia che raccontiamo da tanto tempo ai nostri figli e che abbiamo sentito da quando eravamo bambini. C’è qualcosa di antico che voglio recuperare, che ha a che fare con la mia infanzia. L’antichità è tornare bambini». È d’accordo che in “Cenerentola” si ritrova il suo teatro, a dispetto delle apparenze? «Sì, quando l’ho studiata ho ritrovato tante cose del mio teatro, che non è lugubre e cupo come si può pensare. Il lato surreale di Cenerentola, fa parte del mio linguaggio». Carmen al Teatro alla Scala è stato il suo debutto all’opera. Com’è entrare dalla porta principale? «Vi entrai con inconsapevolezza, la sensazione che mi viene in mente è l’incoscienza. Se tu entri dalla porta principale con genuinità e autenticità puoi fare grandi cose; se entri in punta di piedi e la consapevolezza di essere dentro un grande tempio quasi religioso, è finita, è impossibile da gestire, se hai paura sei già vinto». Ci furono applausi e dissensi. «Ho fatto il mio lavoro come avrei fatto in qualsiasi altro luogo, mantenendomi fedele al mio linguaggio teatrale. Non mi è importato nulla di essere stata contestata, ho fatto quello che volevo fare col sostegno di un grande artista come Daniel Barenboim. Avevo il suo consenso e mi bastava. Tornando la sera di quel 7 dicembre 2009 a casa a Milano, ho ricevuto minacce, sia su internet che sul mio computer: “vai via, non ti presentare mai più…” di una violenza inaudita, melomani pazzi che mi scrivevano cose atroci. Spero di continuare a produrre reazioni vitali, se ci sono fischi te li prendi, se poi diventa una questione di principio dà fastidio. Quella Carmen è uno dei miei spettacoli più belli». All’opera bisogna fare i conti con i più tradizionalisti, che si sentono depositari di una memoria di carta, che non esiste. «L’opera è specchio dell’Italia, un paese conservatore in tutto, che ha paura del nuovo, dell’ignoto. Nel teatro di prosa (lo dico in maniera provocatoria) sono reazionaria, guardo al passato. Sono anche feroce, cerco di far bruciare gli occhi ma senza compiacimenti, non voglio sconvolgere gli altri: voglio sconvolgere me. Nella lirica, forse perché conosco meno la materia, vado in punta di piedi, è la musica che decide il mio lavoro, non mi piace la provocazione fine a se stessa, trovo insopportabili molte regie tedesche». In Italia invece… «In Italia i melomani non vogliono essere disturbati dalle regie, da troppe idee. Fare un’opera lirica è snervante, c’è un metodo radicato e io vado contro questo sistema. Prima delle prove faccio laboratori, studi. Questo modo di usare il tempo non aiuta a sperimentare. È un paese che ha perso il coraggio, è come se ci fosse una specie di anestesia, tutto è addormentato». Però in seguito ha fatto altre regìe d’opera. «La muta di Portici all’Opéra Comique a Parigi e poi al Petruzzelli di Bari, dove andò meglio. Lì ho conosciuto Carlo Fuortes, che ho poi ritrovato sovrintendente all’Opera di Roma per La Cenerentola. Al Teatro Massimo della mia città, Palermo, ho allestito in due inaugurazioni Feuersnot di Richard Strauss e Gisela! di Henze». Gisela! fu l’ultima opera di Henze: quando non si hanno riferimenti alle spalle un regista è più libero di pensare alle sue “ossessioni”. «È un omaggio di Henze all’Italia, mise a confronto la Germania e Napoli. Ci sono elementi autobiografici nella storia di una ragazza tedesca che si trova col fidanzato in vacanza nel nostro paese, e si innamora di un napoletano, una guida turistica che la sera interpreta Pulcinella a teatro. Il libretto è sulla falsariga delle trame d’opera: lei, lui e l’altro che si arrabbia”. Pulcinella, per una regista che fa un teatro di segni fisici forti e dirompenti come lei… «Ho lavorato sulla malattia di Pulcinella che rivela la sua anima più malinconica, «Nella lirica non mi piace la provocazione fine a se stessa, trovo insopportabili molte regie tedesche» sulla sua nevrosi più che sugli stereotipi. Poi c’è il Vesuvio, che mi segue in tanti spettacoli, come segni di un destino che non leggo: come fai a mettere in scena un vulcano? È contro i miei principi, si rischia l’oleografia. Bisogna giocare con i simboli». Con Palermo lei non ha un rapporto facile. «È una città allo sfascio, con un forte degrado culturale e civico. La mancanza di rispetto per l’altro, per i luoghi pubblici, per il bene di tutti…Si è riseduta, riammuffita, è tanto regredita. Ho un buon rapporto invece con le istituzioni. Dal Massimo al Teatro Biondo, che stava morendo, era in grande crisi, non aveva più pubblico, ho allestito la scuola dei mestieri e dello spettacolo. Mi occupo della formazione, insegno non solo recitazione ma tutto ciò che circonda il fare teatro, come si fa la scenografia, le luci…A Palermo non ci ho vissuto sempre, ci sono tornata da quindici anni, sono stata a Roma per l’Accademia d’arte drammatica, a Torino dove ho fatto parte della compagnia di Gabriele Vacis». Come regista d’opera si considera un outsider? «Non mi sento tanto una regista d’opera, non voglio fare uno spettacolo ogni anno, faccio solo progetti con persone che stimo. Il mio rapporto con la musica? Non avevo una predilezione per un certo tipo di musica. Ero arida da adolescente. Utilizzo molto, nei miei spettacoli, Bach, Mozart e Beethoven. Non ho un compositore di riferimento. Sono stata una ragazza introversa che stava nel silenzio, circondata dal silenzio nella mia stanza, con gli occhi al soffitto immaginavo le cose che mi piacevano. Tutte le cose di cui mi nutro non c’erano, come se avessi preparato il terreno per accoglierle. Poi sono arrivate». E il cinema? «Il mio film, Via Castellana Bandiera, non è mai uscito in dvd e non è stato mai acquistato da Sky. È stato abbandonato, dimenticato. Forse perché non faccio parte di nessuna famiglia, ora fatico a trovare una produzione per il mio secondo film, dal mio spettacolo teatrale sulle Sorelle Macaluso. Eppure il mio esordio andò in gara alla Mostra di Venezia, e vinse due premi, migliore attrice Elena Cotta e migliore colonna sonora. Come se non avessi fatto nulla. A teatro ho grandi soddisfazioni, riesco a fare progetti che hanno un senso profondo. Ma il cinema è una spina nel cuore». In “Le sorelle Macaluso” c’è un funerale. Lei si avvicinò al teatro dopo un lutto, l’incidente d’auto di suo fratello, e quando scoprì che sua madre era malata terminale. «In quello spettacolo c’è un funerale di una delle sorelle, ma lei non lo sa. È una delle mie parabole sulla morte, che ci sta accanto anche se noi facciamo finta di non saperlo. Quanto a me, il dolore anziché annientarmi mi ha dato una consapevolezza della morte, che non è una cosa solo negativa, ti apre la testa e ti fa vedere cose che prima non vedevi, entri in una percezione diversa del mondo. Dentro di me qualcosa di potente ha cominciato a scricchiolare, ho cominciato a scrivere da un altro punto di vista. E ho scoperto il teatro».  Emma Dante al lavoro sul palcoscenico del Teatro dell'Opera di Roma con gli interpreti della Cenerentola di Rossini, in scena sino al 19 febbraio Amadeus 65 Tendenze VIETATO annoiarsi Il violino crossover di David Garrett, l'ironia di Igudesman&Joo, il cabaret delle Salut Salut. E una serie tv. Aggirare il pregiudizio anticlassica: prove e strategie di Luisa Sclocchis Q uale futuro per la musica classica? La risposta per evitarne un possibile declino pare consistere nell’attrarre nuovo pubblico, nell’avvicinare i più giovani e vincere il pregiudizio che la identificherebbe ancora come un genere di difficile ascolto riservato a una ristretta élite. Come? Le strategie a opera degli addetti ai lavori, musicisti, direttori artistici e organizzatori, sono varie. Leitmotiv? Coinvolgere, e fare della musica un aspetto del quotidiano: dalle iniziative a sfondo sociale alla musica nelle scuole, dalla commistione con altri generi alla proposta della musica classica in luoghi alternativi rispetto alle consuete sale da concerto. Anche i luoghi dedicati all’alta formazione musicale in Italia, negli ultimi tempi, si sono scrollati di dosso quell’aria vetusta e quell’atmosfera vagamente museale: nell’offerta formativa compaiono, insieme a quelle tradizionali, discipline come jazz, musica elettronica, etnomusicologia, 66 Amadeus management. Tuttavia, il pregiudizio pare essere ancora piuttosto diffuso, anche in Paesi in cui la musica classica è certamente più “sentita”: quelli della Mitteleuropa, in particolare, in cui, secondo il modello della Grecia classica, le è riconosciuto un ruolo fondamentale nella formazione della persona. Rimane un dato ineludibile: a prevalere nelle sale da concerto sono le chiome cineree. Un felice tentativo di “rottura degli schemi” è certamente quello del violoncellista Mario Brunello che, con i Suoni delle Dolomiti, porta la musica da camera in “contesti altri”, proponendo un insieme di riletture di “intoccabili” capisaldi del repertorio classico rigorosamente “in quota”. Seguendo questo “fil rouge” potremmo includere, tra le strategie per “avvicinare”, i concerti voluti e organizzati della Filarmonica della Scala in Piazza Duomo a Milano. Dopo Stefano Bollani e Lang Lang, protagonista del 2015 accanto a Riccardo Chailly, il celebre musicista “crossover” David Garrett, violinista tedescostatunitense, apprezzato come interprete classico da nomi del calibro di Zubin Mehta e Daniel Barenboim. Studi compiuti alla Juilliard di New York, Itzhak Perlman come mentore e incisioni attualmente per Decca e per le maggiori etichette discografiche: Deutsche Grammophon gli fece il suo primo contratto discografico nel 1994 - quando aveva solo 14 anni - facendogli registrare due Concerti mozartiani nientemeno che con Claudio Abbado. tra cui Deutsche Grammophon. Suona un violino Stradivari e un Guadagnini. Il segreto del suo successo? Parrebbe, la cura dell’immagine così come della comunicazione (su YouTube lo troverete anche protagonista di un "mini reality" web a puntate). Invece, alla domanda “come conquistare nuovo pubblico?”, Garrett risponde «Amando ciò che fai. Questo è visibile sul palco e quando parli delle cose: la cosa più attraente nelle Amadeus 67 persone non è l’aspetto o il modo di vestire ma ciò che amano fare e come ne parlano. Insomma, il segreto è forse proprio non cercare di catturare nuovo pubblico». Sulla sua interpretazione dei capolavori della musica classica dice:«L’interpretazione non può essere troppo personale poiché segue ciò che è scritto in partitura. Si è interpreti dell’idea del compositore. Naturalmente, esistono diversi aspetti su cui si può intervenire: il suono è probabilmente la cosa più personale». L’estrema poliedricità gli consente di assumere la duplice veste di solista nei celebri concerti del repertorio violinistico, ma anche di scatenato interprete di cover del repertorio rock. Il suo rapporto con tradizione e innovazione? «Penso si debba sempre partire dalla tradizione. Bisogna conoscere profondamente la tradizione per essere innovativi». La sua visione del futuro della musica classica? «Non so cosa riservi il futuro. Ma è ovvio che per la musica classica ci sarà sempre un posto in questo mondo, per me si tratta di musica senza tempo così come la musica pop o rock. E un gran pezzo sarà sempre un gran pezzo, quindi non mi preoccupo». Nonostante lo scetticismo e le manifestazioni di vago conservatorismo dei puristi del genere, che mal sopportano l’idea di una musica nobile che esca dal tempio a lei dedicato, sono tanti ormai a riconoscere il valore delle varie riletture del repertorio classico. Sempre a condizione che a proporle siano musicisti di elevatissimo livello. In proposito si possono ricordare le “parodie” proposte dal duo Igudesman&Joo. Il violinista Aleksey Igudesman e il pianista Hyung-ki Joo, eccellenti musicisti di formazione classica, si incontrano dodicenni alla Yehudi Menuhin School, nel Regno Unito. Autori di veri e propri show teatrali, da sold out, risultato di un fortunato connubio tra commedia, musica classica e cultura popolare. Nel loro sito ufficiale le parole del celebre direttore d’orchestra Bernard Haitink: «Aleksey Igudesman e Hyung-ki Joo hanno suonato per il mio 80° compleanno. Sono quasi morto dal ridere. 68 Amadeus Mi piacerebbe invitarli ancora per il mio 85° ma potrebbe essere considerato spericolato... Grandi musicisti, grande divertimento». Ma, come nasce il loro show, la loro rilettura dei colossi del repertorio classico? «Lavoriamo in modo meticoloso e proviamo intensamente: ogni show è scritto con estrema cura», raccontano, e, riguardo alla reazione del pubblico, aggiungono «il pubblico si diverte e scopre brani del repertorio classico interpretati in modo totalmente inaspettato. Cerchiamo così di riportare in vita questi classici poiché crediamo che la musica sia di tutti». Per loro il connubio di tradizione e innovazione è decisamente irresistibile: «è, è stato e sarà un grande mix, che consiste nel presentare qualcosa di molto prezioso e definito in una veste fresca. Il nostro mix di musica classica e commedia è fatto di divertimento sul palco, interazione con il pubblico e con i fans, dopo lo show o attraverso i social media, così come di straordinari artisti e musicisti con cui ci esibiamo». Uno degli ingredienti fondamentali per conquistare nuovo pubblico è «la cura dell’elemento sorpresa nello show»; e confessano, «è tutto quel che possiamo rivelare...». La loro “visione” del futuro della musica classica: «In ogni concerto guadagniamo nuova ispirazione e un obiettivo più forte. Una cosa è certa: la musica classica sopravviverà! Possa la forza essere con noi!», e sorridono. Altra nota di colore, nell’aura grigio polvere che per alcuni avvolge il sistema musica classica, è data dalle teutoniche Salut Salon, un nuovo disco, Carnival Fantasy, in uscita per Warner Classics proprio nelle prossime settimane. Nota di colore rosa, trattandosi di quartetto tutto al femminile. Originario di Amburgo, è composto da Angelika Bachmann, violino, Iris Siegfried, violino e voce, Anne-Monika von Twardowski, pianoforte, e Sonja Lena Schmid, violoncello. Soliste e virtuose del proprio strumento, combinano tango, chansons, musica folk e colonne sonore di film con il repertorio classico a loro caro: ognuna ricopre così un ruolo essenziale nel “condire” abilità e virtuosismo classici con cabaret, fascino e disarmante autoironia. La loro personale interpretazione dei capisaldi della musica classica? «Divertente, come Competitive Foursome su Youtube, ma anche basata su una lunga e seria discussione sul brano. Questo è per noi Salut Salon, la libertà di interpretare i capolavori della musica classica in modo talvolta sorprendente e divertente», spiega Iris Siegfried, e prosegue «il pubblico sembra apprezzare sia la parte seria che quella più divertente». Valutano la tradizione già irresistibile di per sé ma «naturalmente la miscela che offriamo con Salut Salon è sorprendente. Amiamo raccontare storie attraverso la nostra musica e condividere con il pubblico la nostra gioia di vivere. Questo è l’elemento veramente irresistibile». Come immaginano il futuro della musica classica? «Speriamo che ogni cosa resti com’è. Esistono diversi sistemi di educazione alla musica classica che apprezzo. Noi abbiamo realizzato diverse iniziative per tenerla in vita e coinvolgere i bambini che imparano a suonare uno strumento. Se dovessi esprimere un augurio, sarebbe che ognuno possa cantare o imparare a suonare uno strumento. La musica ha la forza di arricchire il cuore delle persone. E questo è quel che conta nella vita». Dalle performance di solisti ed ensemble coinvolti nel superamento di stereotipi associati alla musica classica, a un cult della trascorsa stagione tv “made in Usa” che, a suo modo, ha sortito un effetto analogo. Il riferimento è a Mozart in the jungle, comedy targata Amazon fresca vincitrice di ben due Golden Globe, andata in scena l'estate scorsa su Sky Atlantic e Sky Arte. Una la promessa: «la serie che vi farà vedere il mondo della musica classica come non l’avete mai visto né immaginato. Signore e signori è tempo di Mozart in the jungle, è tempo di sex, drugs and classical music!». Ed ecco che, parafrasando il celebre “sex, drugs and rock’n’roll”, tratta dall’omonimo libro di memorie dell’oboista Blair Tindall, nasce la serie capace di diffondere un’immagine del mondo della musica classica decisamente intrigante, un mondo spogliato dal cupo velo di serietà e rigore a cui viene ancora associato. Un’immagine libera dal clichè che vuole gli interpreti anacronistici e dediti alla sola pratica dello strumento. Un grande cameo capace di avvicinare, a suon di eccessi, eventi mondani e passioni, e sotto la guida dell’eccentrico e riccioluto direttore d’orchestra Rodrigo De Souza (liberamente ispirato al venezuelano Gustavo Dudamel), un mondo ancora percepito come distante.  In apertura, una delle immagini promozionali dell'ultimo disco di David Garrett, Explosive: il violinista sarà in Italia in aprile, il 14 al Carlo Felice di Genova e il 15 al Ponchielli di Cremona; qui, il quartetto a "quota rosa" Salut Salon e il duo Igudesman&Joo, questo mese in Italia: a Cagliari l'8, a Mestre il 9 e a Taranto il 10 Amadeus 69 United Nations Orchestra ENERGIA mondiale Provengono da tutto il mondo e lavorano soprattutto per l'Onu gli oltre 70 musicisti non professionisti che da cinque anni a Ginevra suonano per passione e per una buona causa di Edoardo Tomaselli 70 Amadeus V engono da tutto il mondo: il Messico e la Svizzera, gli Stati Uniti e la Spagna, l’Albania e il Giappone, la Colombia e l’Olanda. E se anche si dirà che il multiculturalismo è parte del dna di ogni orchestra, questa formazione – che nel 2016 festeggia i suoi primi cinque anni di vita – è diversa da qualsiasi altra. La United Nations Orchestra nasce a Ginevra dall’idea del suo direttore musicale e artistico, Antoine Marguier. Una formazione che riunisce oltre settanta musicisti non professionisti, la maggior parte dei quali lavora per le diverse organizzazioni che operano all’interno dell’Onu. Un’orchestra i cui concerti di volta in volta sostengono cause umanitarie, in cui militano strumentisti che non ricevono alcun compenso per il loro impegno e che, al di là della musica, si applicano anche nello sforzo della macchina organizzativa e amministrativa. Una formazione di amatori ma con un notevole livello artistico e qualitativo, con una regolare cadenza per le prove e soprattutto forte della presenza di un direttore di alta caratura, che richiede e pretende la medesima professionalità dai suoi strumentisti. Come in qualsiasi altra orchestra. Lo stesso Marguier è un musicista che ha fatto scelte precise nella sua vita. Vive a Ginevra da 23 anni: è entrato giovanissimo come primo clarinetto nella Gustav Mahler Jugendorchester diretta da Abbado, e per quasi un ventennio ha fatto parte Amadeus 71 da un pubblico sempre più avanti con gli anni, mentre la musica classica sembrava diventare una realtà elitaria... Insegnando a Ginevra sono poi in contatto con molti strumentisti amatoriali, di grande livello, che hanno il desiderio di suonare in orchestra ma che la vita ha portato a svolgere una professione diversa. E da sempre il mio desiderio è quello di democratizzare la musica, rendendola disponibile veramente per tutti. Anni fa ho invece avuto l’opportunità di conoscere Madre Teresa di Calcutta, ed è stato un incontro che ha cambiato profondamente la mia vita., Dopo un lunghissimo periodo di attività come musicista, avevo affrontato un periodo di crisi. Lasciai l’Orchestra de la Suisse serata inaugurale del 2011 sono stati raccolti fondi per lo tsunami che aveva devastato il Giappone, e da allora sono state molteplici le iniziative di sostegno, in ogni parte del mondo e su fronti diversi. In uno degli ultimi concerti, nell’estate del 2015 – in occasione del 70° anniversario della nascita delle Nazioni Unite – sono stati raccolti fondi a favore dei rifugiati siriani, mentre nel concerto dello scorso novembre è stata supportata l’attività di Geneva Call, organizzazione che si occupa di rifugiati in zone di guerra. «Con il passare del tempo riceviamo sempre più proposte, ma ogni progetto che decidiamo di sostenere viene attentamente vagliato, e nel tempo si controlla il feedback di ogni iniziativa supportata, in modo che ogni forma di aiuto arrivi lì dove deve arrivare...» Non solo: la nascita di questa formazione fuori dal comune ha destato interesse anche in alcuni grandi solisti della scena internazionale, che hanno destinato la loro musica (e i loro cachet) a concerti al fianco dell’Orchestra delle Nazioni Unite, come è stato per esempio il caso della pianista georgiana Khatia Buniatishvili. «Molti credono che l'Orchestra riceva fondi dalle Nazioni Unite. Non è così: siamo un progetto speciale auto-organizzato» Romande, e decisi – avendone la possibilità – di prendermi un periodo di pausa. Infine c’è Ginevra, e le Nazioni Unite che rappresentano una specie di città all’interno della città. Sentivo il desiderio di intraprendere qualcosa di nuovo...». Il resto nasce da un rapporto di amicizia: quello di Antoine Marguier con Martine Coppens. «Con Martine – che tra le altre cose segue alcuni progetti umanitari in Africa – ci eravamo conosciuti anni addietro: lavorammo assieme nel progetto di un’orchestra giovanile, e quando pensai di dare vita dell’Orchestra delle Nazioni Unite, fu la prima persona che contattai. Dopo aver lasciato l’Orchestra della Suisse Romande avevo bisogno di nuove energie. Così iniziammo il lavoro di costruzione della UN Orchestra, di cui oggi Martine è Presidente.» dell’Orchestre de la Suisse Romande. E questo finché la direzione d’orchestra non è diventata sempre più parte della sua attività professionale. Dal 2010 ha diretto a Lione, Monte Carlo, Strasburgo, Amsterdam e Losanna, così come negli Usa, Africa del Sud, Giappone e Cina. Tra musica e impegno sociale, in nome della pace, il 15 agosto scorso è stato chiamato a dirigere un concerto al confine tra la Corea del Sud e la Corea del Nord. E oltre al musicista c’è anche l’insegnante di musica da camera, all’Haute École de Musique di Ginevra, e il direttore dell’orchestra del Conservatorio, sempre a Ginevra. «Come nasce l’idea di dare vita all’Orchestra delle Nazioni Unite? Diciamo che le ragioni sono diverse...», spiega Marguier, reduce da un concerto parigino con l’Orchestre Lamoureux. «La prima è legata alla musica e alla necessità di impegnarsi in prima persona: da troppo tempo, suonando, vedevo platee composte 72 Amadeus IWienerperirifugiati Se a Ginevra l’Orchestra delle Nazioni Unite festeggia i suoi primi cinque anni di vità, una seconda orchestra cerca di unire diverse nazioni, sempre sotto il segno della musica. E di internet. Alla fine di novembre la Filarmonica di Vienna ha infatti lanciato un crowdfunding, una raccolta di fondi in rete, per aprire un centro per richiedenti asilo in Austria. L’idea è quella di arrivare a raccogliere 250.000 euro per comprare e rinnovare un hotel nel sud del paese: un luogo che da un lato accoglierà famiglie di rifugiati, e dall’altro sarà un centro di cultura che ospiterà concerti, incontri e corsi di lingua. Un progetto che coinvolge la stessa Filarmonica a fianco della Diakonee Refugee Commission. Una risposta simbolica, a assieme concreta, che vede la musica dare un contributo alla crisi umanitaria europea degli ultimi mesi: un’idea, questa, nata da una quarantina di musicisti dell’orchestra, a loro volta nati in famiglie di migranti. E tutto con un evidente presupposto di partenza: che solo nel dialogo si crea la comprensione tra culture. Info: wemakeit.com/projects/wiener-philharmoniker-haus Il processo di creazione non è stato facile: una prima difficoltà è stata quella di usare il nome e il logo delle Nazioni Unite per l’orchestra – difficoltà vinta grazie alla caparbietà e al curriculum artistico di Marguier – ma ancora più complesso è stato selezionare e scegliere i musicisti. «Venne creato il sito, lanciammo le audizioni: si presentarono un centinaio di strumentisti. Ne scegliemmo ottanta e ne selezionammo solo trenta. E dopo un anno arrivò il primo concerto, il 20 marzo del 2011 a Ginevra. Nel tempo il progetto è cresciuto in maniera esponenziale, e l’orchestra ha più che raddoppiato il suo organico, sempre e comunque in crescita. La maggior parte dei musicisti proviene da organizzazioni che ruotano attorno alle Nazioni Unite, mentre gli altri appartengono a Ong e ad ambienti del settore diplomatico. E questo senza dimenticare alcuni ottimi musicisti ginevrini, perché rimane fondamentale il rapporto diretto con la città che ci ospita...». Fin dal primo concerto l’Orchestra sostiene una serie di progetti umanitari ai quali devolve gli incassi degli spettacoli: nella «Molti credono che la nostra orchestra riceva fondi dalle Nazioni Unite. Non è così: siamo un progetto speciale, in continua crescita e assolutamente auto-organizzato nella sua gestione. Ma un’orchestra è una macchina complessa, e per il futuro ci serve qualcuno che si dedichi a tempo pieno sul versante amministrativo. L’Onu ci supporta invece mettendo gratuitamente a disposizione una sala prove, e la città di Ginevra donandoci l’uso della Victoria Hall per alcuni concerti.». Il 13 marzo si potrà ascoltare l’Orchestra a Ginevra, in un concerto che festeggerà i primi cinque anni di vita della formazione: in programma c’è la Quinta sinfonia di Šostakovic e il Doppio Concerto di Brahms con due solisti d’eccezione, i cui nomi saranno rivelati a breve. «Per il futuro mi piacerebbe che ci dedicassimo alle Sinfonie di Brahms, a Mahler e al repertorio della grande orchestra sinfonica, ma sono interessato anche alla musica dei compositori della nuova generazione.» E a fianco dell’Orchestra delle Nazioni Unite e dei suoi impegni da direttore, Marguier ha anche trovato il tempo di fondare una piccola compagnia chiamata Le Rossignol, con la quale sta registrando capolavori del ’900 cameristico (a partire dall’Histoire du Soldat) in collaborazione con musicisti dell’orchestra della Suisse Romande e dell’attore Joan Mompart. Questione di energia, per l’appunto.  La United Nations Orchestra, come l'Onu, ha sede a Ginevra: in apertura, Antoine Marguier, direttore artistico e musicale durante una prova al Palazzo delle Nazioni; a sinistra, un concerto alla Victoria Halll con Khatia Buniatishvili Amadeus 73 C omposizione drammatica sacra ma non liturgica in cui un soggetto essenzialmente biblico viene trattato senza far ricorso a una vera e propria rappresentazione scenica, a partire dall’età barocca l’Oratorio si è affermato come uno dei generi portanti della musica dell’Occidente.Il genere assunse una fisionomia precisa nella seconda metà del ’500, in Santa Maria Vallicella (Chiesa Nuova) a Roma, per iniziativa di Filippo Neri, quando il termine Oratorio iniziò a definire in maniera specifica un tipo di riunione devozionale in cui la lettura di testi spirituali e biblici, le preghiere e i sermoni venivano accompagnati dal canto di Laudi (quindi in lingua volgare). Il secondo filone che contraddistinse la genesi dell’Oratorio fu quello in lingua latina. Ruolo decisivo lo svolse la confraternita del SS. Crocifisso, nella chiesa romana di San Marcello, in cui operò Giacomo Carissimi: il compositore che affermò artisticamente una forma organizzata già dal 1630. Nel corso del ’600, l’apertura di numerose congregazioni filippine in molte città italiane favorì in maniera importante una capillare diffusione dell’oratorio musicale che, in un secondo momento, trovò fortuna anche presso altre confraternite laiche, congregazioni religiose, collegi di nobili, seminari, palazzi della nobiltà e cappelle di corte; per sconfinare, alla fine, fuori dal territorio della penisola italiana, attestando la sua importanza epocale. Della diffusione del genere dell’Oratorio anche nei repertori di autori barocchi meno noti è testimone la figura di Ippolito Ghezzi; compositore alla cui recente riscoperta è risultato importante il lavoro di Roberto Cascio che, a partire dal 2007, assieme alla Cappella Musicale di San Giacomo Maggiore in Bologna, 74 Amadeus ANTICA MUSICAOGGI Oratorio Tra ordine e caos La nascita e la capillare diffusione barocca di una forma drammatica sacra che ha segnato la musica dell'Occidente Montepulciano. Successiva al 1709, ma ignota, è la data di morte. Al 1700 risale la pubblicazione di Oratori sacri a tre voci op. 3. La stampa bolognese ne raccoglie quattro, tutti destinati a sole voci e basso continuo (Abele, Adamo, Abramo e David Trionfante) e tutti registrati da Cascio in prima assoluta, assieme ad altre composizioni di Ghezzi. Si tratta di pagine emblematiche di un momento specifico della diffusione dell’Oratorio presso contesti privati – oltre alle confraternite anche salotti – in occasione quindi non solo d’incontri devozionali, ma anche d’intrattenimenti mondani. La dedica dell’op. 3 di Ghezzi, non a caso, è rivolta al cavaliere bolognese Cesare Gagnioni: un nobile di rango non particolarmente elevato, dilettante di musica. In tal senso, appare significativo il trattamento particolarmente libero dei soggetti biblici che, come scrive Carlo Vitali nelle illuminanti note storiche del booklet, conduce le vicende narrate ad «assomigliare a quel repertorio di affetti umani, o magari troppo umani, che già l’opera veneziana di metà-fine Seicento aveva codificato in forme drammaticomusicali ricorrenti». Caravaggio Davide con la testa di Golia (particolare, 1610) ha realizzato un progetto discografico in quattro dischi dedicato appunto alla musica sacra di Ghezzi. Da qualche mese, il box è stato pubblicato da Tactus. Nato probabilmente a Siena o a Sinalunga attorno al 1650, Ippolito Ghezzi, entrò nell’ordine dei Monaci Agostiniani e dal 1679 al 1700 svolse la funzione di maestro di cappella della cattedrale di di Massimo Rolando Zegna [email protected] P ierre Boulez ci ha lasciato il 5 gennaio, e qualcuno nel ricordarlo ha riproposto una lettura approssimativa e semplicisticamente “antiespressiva” della sua poetica, o ne ha sottolineato la “inattualità”. Certo, i giovani compositori oggi si confrontano con problemi radicalmente diversi da quelli di chi aveva 20 anni nel 1945, e siamo lontanissimi dall’insofferenza, dall’urgenza con cui fu sentito il bisogno di un radicale rinnovamento, di una vera e propria palingenesi, il cui significato in quel momento storico andava oltre la sfera puramente artistica. Il rinnovamento era perseguito anche attraverso il superamento, o il controllo, della soggettività, attraverso procedimenti seriali complessi (che ognuno dei protagonisti di allora usò in modo diverso): a chi ama affidarsi senza pensarci troppo alla propria “ispirazione” non sarà inutile ricordare che essa è intrisa di memoria e di riflessi condizionati (difficilmente ne uscirà qualcosa di nuovo). Formulazioni teoriche e violenze polemiche discutibili vanno rilette in rapporto a una feconda urgenza creativa. Il tentativo di fare tabula rasa (mai condiviso da Maderna, Nono o Berio) fu subito superato dallo stesso Boulez. Il troppo analizzato e citato primo libro delle Structures (1951) non è la sua opera più rappresentativa; assai più conta, subito dopo, la definizione di una dialettica tra organizzazione di grande rigore e liberi interventi della fantasia del compositore: nacque allora uno dei capolavori più noti di Boulez, Le marteau sans maître (finito nel 1954) su tre poesie tratte dall’omonima raccolta di Char. Boulez ha più volte sottolineato: «Tutto il mio cammino ha perseguito la libertà momentanea in una disciplina generale». E questo cammino, nella continuità e varietà di un percorso coerente e complesso, è approdato a esiti Ricordare Boulez, al di là di letture approssimative. L'urgenza di rinnovamento creativo giovanile, la libertà nella disciplina, la complessità molto lontani dal radicalismo dei primi lavori. Illuminante, su questo percorso, qualche frase di una intervista: «amo molto la dialettica tra l’ordine e il caos, perché è una dialettica fisica della natura ed è una dialettica della mente. […] In una composizione bisogna navigare tra un minimo di ordine e un minimo di disordine, a costo di esplorare i territori estremi per un tempo limitato. Si può avere il caos, ma fino al momento in cui la mente se ne disinteressa e allora bisogna riportarlo a qualcosa che la mente possa afferrare. Questo problema non me lo ponevo affatto quando ero molto giovane, perché davo e ancora non ricevevo, mentre l’attività di interprete mi ha molto insegnato sul circuito dare-ricevere». Simili riflessioni gettano luce sul rapporto tra le attività di compositore e di direttore d’orchestra, sul rapporto di Boulez con il passato, sulle revisioni che conobbero alcune partiture giovanili, dove «la spinta di rinnovamento in senso radicale era così forte che non ci si preoccupava troppo della percezione». Negli ultimi anni diversi quartetti si sono confrontati con le enormi difficoltà del Livre pour quatuor (1949-50), a lungo trascurato: una riscoperta ardua, ma meravigliosa. Si deve sperare che i criteri frettolosi ed economici di gran parte della vita musicale non portino all’esclusione di Pli selon pli e di tanti altri capolavori dello scarno ma essenziale catalogo di Boulez. di Paolo Petazzi [email protected] Amadeus 75 ALL’OPERA DANZA Mutare la voce Ecologia artistica L o scrittore contemporaneo Pascal Quignard, diventato celebre col romanzo Tous les matins du monde (1991) dedicato al musicista Marin Marais (da cui Alain Corneau ha tratto l’omonimo film), ha talmente insistito sul tema della “muta della voce” da farlo diventare una sorta di “mito personale”. Esso entra in risonanza profonda col mondo dell’opera e può essere interessante dedicargli una entry specifica. Il modello di rappresentazione tradizionale tende a considerare la muta della voce come una specie di metamorfosi positiva attraverso la quale il bruco (la voce infantile) diventa farfalla (la voce adulta). Così, per esempio, nel film Enrico Caruso, leggenda di una voce, diretto da Giacomo Gentilomo (1951), non c’è nessun trauma tra la voce bianca del piccolo Enrico che canta come puer cantor in una chiesa di Napoli e la sua voce di tenore che conquisterà il mondo. Il trauma è semmai la morte della madre che diventerà una sorta di angelo custode per il grande cantante (si veda il lemma Mammismo, Amadeus n.308, luglio 2015). Per Quignard, invece, la muta della voce è un vero e proprio “trauma originario”. Già nel libriccino intitolato La leçon de musique (1987), di cui Tous les matins du monde è una specie di sviluppo romanzesco, egli ha messo in relazione l’arte della composizione con la ricerca della voce perduta: una condizione tipicamente maschile. Non è un caso che le donne compositrici siano così rare. «Definizione possibile della muta maschile: malattia sonora che soltanto la castrazione guarisce». Ma la pagina più densa e rivelatrice consacrata a questo tema-mito si trova in un altro testo più recente Quignard: La haine de la musique (1996) che Edt ha appena 76 Amadeus Metamorfosi positiva da bruco a farfalla o trauma originario? Riflessioni su una questione prettamente maschile Haine de la musique, troviamo appunto questo passo: «Da bambino, cantai. Da adolescente, come tutti gli adoloscenti, la mia voce si ruppe. Ma rimase strozzata e perduta. Mi immersi con passione nella musica strumentale. C’è un nesso diretto tra la musica e il cambio di voce. Le donne nascono e muoiono in un soprano che sembra indistruttibile. La loro voce è un regno. Gli uomini perdono la loro voce infantile. […] Allora o gli uomini tagliano le borse testicolari e interrompono la muta: è la voce infantile per sempre. Sono i castrati. Oppure gli uomini compongono con la voce perduta. Sono chiamati i compositori. Ricompongono come possono un territorio sonoro che non muta, immutabile. O ancora compensano con l’aiuto di strumenti la défaillance fisica e l’abbandono sonoro in cui l’abbassamento della voce li ha fatti precipitare. Essi riconquistano così i registri acuti, nello stesso tempo infantili e materni, dell’emozione natia, della patria sonora. Sono chiamati i virtuosi». Le voci bianche del Windsbacher Knabenchor pubblicato in traduzione italiana (L’odio della musica, 2015). Si tratta di un essay che «vuole esprimere fino a che punto la musica può diventare odiosa a coloro che l’hanno più amata». In esso si parla a lungo della presenza della musica nei campi di sterminio nazisti. Paradigmatica la storia di Hedda Grab-Kernmayr (18991989). Internata nel campo di Terezín, il mezzosoprano partecipò a vari concerti e vi cantò anche Carmen nel 1944. Dopo la liberazione emigrò negli Stati Uniti e non volle mai più non solo cantare, ma neppure (sentir) parlare di musica. Tornando alla muta della voce, nella di Emilio Sala [email protected] Cigni, corvi e gru, eleganti e imprevedibili in scena accanto all'uomo, contro ogni visione antropocentrica S e un tempo la metamorfosi scenica bastava a trasformare una ballerina in cigno, oggi un paio di ali meccaniche possono mutarla in un meno rassicurante corvo, sempre che la nostra protagonista non si trovi a dividere la scena con veri volatili. Nessun intento sensazionalistico: l’empatia artistica tra noi e loro, che da mimesi si è spinta fino alla convivenza, sembra auspicare l’avvento di un universo dai confini incerti tra umanità e animalità, siano esseri della terra, dell’aria e dell’acqua. Tutto ha origine dal balletto imperiale russo, Il lago dei cigni (molto attesa la ricostruzione dell’originale di PetipaIvanon firmata da Alexei Ratamansky, coproduzione Ballett Zürich, dal 6 febbraio, - Corpo di ballo del Teatro alla Scala, 30 giugno-14 luglio, ), che racchiude in sé un altro archetipo, quello della fanciullacigno, nella sua doppia personificazione di virginale cigno bianco, Odette, e malioso cigno nero, Odile. Primo discendente quell’essere stilizzato in procinto di spirare che nella miniatura La Morte del cigno affermava in una manciata di minuti l’avvento delle avanguardie. La prima interprete Anna Pavlova strinse un legame dai tratti morbosi con quella creatura: capeggiato dal prediletto Jack, uno stormo di cigni nuotava nello stagno di Ivy House, la dimora londinese, mentre penne e piume di veri esemplari adornavano il tutù della sua pièce de résistance. All’ossessione della ballerina russa il suo devoto ammiratore francese Roland Petit avrebbe dedicato Il coreografo Luc Petton in scena con una delle gru della Manciuria protagoniste di Light Bird l'ambiguo abbraccio di uno squisito tableau del balletto Ma Pavlova: Leda e il Cigno. Se sulle scene contemporanee il cigno ha subito innumerevoli mutazioni, anche di gender, per l’inglese Wayne MacGregor è venuto il momento di dare nuove sembianze ornitologiche alla ballerina. Raven Girl, creato per il Royal Ballet, porta in scena la graphic novel di Audrey Niffenegger: favola dark di una fanciulla nata da padre umano e madre corvo che si illude di trovare il proprio posto nel mondo rinunciando alle braccia per un paio di ali. Elegiaco nei toni ed etico per slanci nonostante la vena noir, il balletto sembra profetizzare l’inclusione nelle nostre vite di quelle creature animali che ancora percepiamo diverse. Di lì a portare in scena un vero corvo il passo è breve: ci aveva già provato con il toccante duetto Bones in Pages Saburo Teshigawara, danzatore e coreografo giapponese. Ma è il francese Luc Petton ad aver formato con Le Guetteur una troupe di danzatori e uccelli senza gerarchie, insieme in pièces di ascolto e relazione. In Swan in palcoscenico ci sono cigni bianchi e cigni neri allevati con l’imprinting sin dallo schiudersi delle uova dalle danzatrici che dividono la scena con loro. In Light Bird (3-6 marzo, La Criée, Théâtre National de Marseille, Marsiglia; atteso in Italia la prossima estate) danzatori e gru della Manciuria (in estinzione) interpretano una partitura coreografica con spazi di aleatorietà e imprevisto, perché le protagoniste alate sono curiose e talvolta aggressive, ma con le loro pose eleganti e i salti maestosi sanno veramente danzare. Dev’essere arrivato il tempo di una nuova ecologia artistica, aliena da ogni visione antropocentrica, che rivendicando la preesistenza della danza smentisce che sia l’uomo l’unico a possederla. di Valentina Bonelli [email protected] Amadeus 77 Aria fresca Il trombettista e compositore Dave Douglas è il nuovo direttore artistico di Bergamo Jazz, che inaugurerà la stagione dei grandi festival italiani LO SCHIACCIANOCI DEL “DUCA” C’è stato di recente (pare che succeda in vista delle feste di fine d’anno) un pregevole revival dello Schiaccianoci di Pëtr Il’ic Cajkovskij sia nella forma originale del balletto in due atti, sia in forma concertante. Ne ha beneficiato indirettamente anche questa interpretazione jazz che nel 1960 propose Duke Ellngton, in quegli anni alla testa di una delle sue orchestre migliori con Billy Strayhorn assistente del direttore e con solisti di altissimo livello quali Johnny Hodges e Harry Carney ai sassofoni, Ray Nance e Willie Cook alle trombe, Juan Tizol e Lawrence Brown ai tromboni, SamWoodyard al contrabbasso e Aaron Bell alla batteria, oltre naturalmente a Duke Ellington al pianoforte. Sostengono comunque due illustri “dukologi” italiani, Antonio Berini e Giovanni Volontè, che la Nutcracker Suite ellingtoniana costituisca opera originale, come succede nel jazz migliore che prende a pretesto un lavoro altrui e se ne appropria, pur nel rispetto del primo artefice. Lo hanno testimoniato a Milano l’Orchestra Sinfonica Verdi e la Tomelleri Big Band che sotto la direzione di John Axelrod hanno eseguito insieme le due versioni in tre concerti consecutivi premiati con applausi da stadio. TRE LIBRI D’INIZIO ANNO F ra i più importanti festival del jazz che si tengono in Italia, il primo a proporsi nel 2016 è Bergamo Jazz. La parte musicale, preceduta da un proemio cinematografico dedicato anch’esso al jazz, si terrà da giovedì 17 marzo a domenica 20 marzo: le date sembrano il lieto annuncio che la primavera starà per cominciare. Quest’anno Bergamo Jazz è particolarmente importante perché c’è stato l’avvicendamento del direttore artistico: a Enrico Rava è succeduto Dave Douglas, celebre musicista cinquantenne del New Jersey. Douglas è trombettista (non sbaglia mai una nota, dicono gli esperti), compositore, direttore d’orchestra e produttore discografico con una propria etichetta, la Greenleaf. Appena ricevuto l’incarico ha impostato tutto il programma. E perché chiunque sapesse da che parte sta, ha diffuso la conoscenza del suo ultimo cd che si intitola Fabliaux (significa favola breve). Per realizzarlo si è servito del Monash Art Ensemble, un’orchestra australiana di quindici elementi compresi un violino e un violoncello, diretti dal pianista Paul Grabowsky. Basta il primo ascolto dei nove brani composti e arrangiati da Douglas per capire che oggi il nostro, come compositore e come solista, si proietta in ogni direzione: e questa stessa impronta ha dato a Bergamo Jazz 2016.L’incipit del festival è ambientato nel Teatro Sociale, la stupenda sala della Città Alta di Bergamo. L’onore 78 Amadeus spetterà al quartetto del pianista Franco D’Andrea con Mauro Ottolini trombone, Daniele D’Agaro clarinetto e Han Bennink batteria. A seguire il gruppo del giovane trombonista americano Ryan Keberle, una delle realtà più promettenti della musica d’oltre oceano. Il 18 marzo avrà luogo la prima delle tre consuete serate al Teatro Donizetti. Vi partecipano Geri Allen come pianista solista, e subito dopo il sassofonista tenore Joe Lovano in quartetto. Da lui si attende la sua straordinaria abitudine di un continuo rinnovamento. Il 19, fortemente voluta dal direttore artistico, si esibirà la clarinettista Anat Cohen, pluripremiata per la freschezza espressiva e comunicativa. A gareggiare idealmente con lei è chiamato Kenny Barron, maestro riconosciuto della tastiera, nel classico trio di pianoforte, contrabbasso e batteria. Nella serata conclusiva il palcoscenico sarà ceduto a due gruppi guidati rispettivamente dai batteristi Billy Martin e Louis Moholo-Moholo, incaricati di offrire insolite atmosfere sospese fra tradizione e avanguardia. Il programma è completato da concerti pomeridiani affidati ai sassofonisti Tino Tracanna e Massimiliano Milesi, al batterista Mark Guiliana e al pianista albanese Markelian Kapedani. Per ascoltare un altro festival di questo livello bisognerà attendere maggio, trasferirsi a Vicenza e assistere alla XXI edizione di New Conversations. Attenzione, qui questa volta non parliamo di un terzo cd, ma di tre libri assai belli e utili di recente pubblicazione e pertinenti alla materia. Naturalmente si tratta di brevi segnalazioni: lo spazio non consente recensioni. Enrico Bettinello è il più generoso di pagine (334) per questa sua «guida sentimentale alla vita di cinquanta e più maestri da Louis Armstrong a Charlie Haden» ricavata da articoli che chi lo segue in parte già conosce e apprezza, anche perché l’autore cerca di raccontare a chi magari ha nelle orecchie altri suoni. Il libro che impegna di più il lettore, come succede alle opere monografiche, è Uri Caine di Enzo Boddi (pagg. 242), anche perché il personaggio effigiato è in grado di occuparsi di tutte le musiche di questo mondo, vira spesso di prua e non cessa di sorprendere. Se la memoria non m’inganna, Caine mi diede un cd a suo nome (Sphere Music) a Padova nel 1993. Sono passati 22 anni e da allora le virate (sue) non si contano. Parecchi sorrisi li regala Stefano Bollani (pagg. 132), con Il monello, il guru, l'alchimista... non nuovo a rubare il mestiere a giornalisti e scrittori (purtroppo non sono la stessa cosa) «inseguendo le vite di Frank Zappa, Billie Holiday, Armstrong o Ravel», per cui ci trasporta «verso spiagge poco affollate dove è bello perdersi e sognare una via di fuga». The Nutcracker Suite Duke Ellington Columbia 1 cd (Sony) Storie di Jazz Enrico Bettinello Arcana Uri Caine Enzo Boddi Sinfonica Jazz DISCOTECAIDEALE JAZZ The Illinois Concert 1963 Eric Dolphy Blue Note 1 cd (Universal) È trascorso più di mezzo secolo da quel 29 giugno 1964, quando si diffuse del tutto inattesa la notizia che il sassofonista, claronista, flautista e compositore californiano Eric Dolphy si era spento a 36 anni in un ospedale di Berlino, gettando nella costernazione tutto il mondo del jazz non solo. «Sei anni di musica», scrisse il giornalista francese Jean-Louis Comolli, ma sembrò che urlasse, «sei anni soltanto affinché esplodesse una musica nuova». Dolphy, infatti, era apparso nel 1958 come una meteora fulgidissima e innovatrice. Sei anni. E oggi, l’ammirazione e il rimpianto per ciò che Dolphy ha dato alla musica e avrebbe potuto dare per molti anni ancora, non sono affatto diminuiti. Per citare, secondo l’uso di questa rubrica, uno dei suoi dischi storici che bisogna avere, si potrebbe scegliere a scatola chiusa. Ma la palma va a questo cd dal vivo, dove Dolphy suona con Herbie Hancock, Eddie Khan e J.C, Moses, perché qui ci sono otto minuti di un brano che gli è familiare, God Bless The Child scritto da Billie Holiday. Dolphy lo improvvisa al clarone in totale solitudine e costruisce nota per nota un capolavoro assoluto, straordinario anche per il fraseggio e per il suono speciale che riesce a cavare dallo strumento. Il monello, il guru, l’alchimista e... Stefano Bollani Mondadori di Franco Fayenz [email protected] Amadeus 79 FUORITEMA Il compleanno (69 anni), il nuovo, atteso disco "Blackstar": due giorni dopo, la morte improvvisa G uardate il video del brano Lazarus! Vedrete la morte... Quell’uomo disteso su un misero letto (che pare una brandina da ospedale), vestito con una camicia da notte, bendato e che canta «Look up here, I’m in heaven / I’ve got scars that can’t be seen / I’ve got drama, can’t be stolen / Everybody knows me now», fa venire i brividi. Anche perché la musica che lo accompagna è incalzante, quasi tetra, che mozza il respiro. Queste sensazioni sarebbero state le stesse anche se non fosse avvenuto nulla due giorni dopo la pubblicazione di questo video, l’8 gennaio, stessa data dell’uscita del disco dal titolo Blackstar che contiene quel pezzo; e che nel contempo segnava anche il 69° compleanno di quell’uomo protagonista del video. Due giorni dopo (precisamente il 10) David Bowie, il “Lazarus bendato”, moriva a New York, dopo 18 mesi di lotta contro il cancro. La carriera di David Robert Jones (vero 80 Amadeus 5 DISCOTECAIDEALE Bowie l’alieno terrestre nome di Bowie) prese il via a metà degli anni ’60, e subito Bowie si presentò al pubblico come un artista “trasformista”, che poteva essere nel contempo “alieno” e “terreno”. Sospeso tra il mondo “extraterrestre” di brani come Life on Mars?, Starman, Space Oddity e The Man Who Sold the World; e brani più “terreni” come Heroes, Under Pressure, Let’s Dance e China Girl. In cinque decenni Bowie ha operato una propria trasformazione della musica rock, reinventando nel tempo il suo stile e la sua immagine, e assumendo gli alter ego di Ziggy Stardust, Halloween Jack, Nathan Adler e The Thin White Duke (noto in Italia come il “Duca Bianco”). Pur essendo un compositore soprattutto di musica rock, l’artista britannico ha anche percorso i sentieri del folk acustico, elettronica, krautrock, glam rock, soul, divenendo maestro per le generazioni successive. Alla carriera di compositore e musicista Bowie ha affiancato quella d’attore, interpretando da protagonista o no, pellicole come L’uomo che cadde sulla Terra, Miriam si sveglia a mezzanotte, Furyo, Tutto in una notte, Absolute Beginners, Labyrinth, L’ultima tentazione di Cristo. Con David Bowie scompare un artista poliedrico e versatile, che si è sempre confrontato con il tempo che stava vivendo, cercando di raccontarlo senza mai banalità e scelte troppo facili. www.fondazioneamadeus.org L'invenzione della musica Blues Breakers with Eric Clapton John Mayall Decca 1 cd (Universal) 1966 Blackstar David Bowie Sony 1 cd PER MILLE destina il tuo cinquepermille al c.f. 06057580968 A volte c’è bisogno di alcune buone congiunture per costruire un capolavoro. Nel caso della realizzazione dell’album Blues Breakers with Eric Clapton, le tessere che dovevano legarsi nel modo giusto dovevano essere molte. Prima di tutto la possibilità che due caratteri forti come quelli di John Mayall ed Eric Clapton, potessero convivere nella stessa band, e poi quella di trovarsi contemporaneamente in una forma interpretativa strepitosa. Il chitarrista Eric Clapton da poco aveva abbandonato il gruppo The Yardbirds, che era all’apice del successo. Mentre John Mayall (cantante, armonicista, chitarrista, e tastierista) era alla ricerca di un nuovo collaboratore per la sua band (i Blues Breakers) per accrescere la popolarità. Entrambi inglesi, i due si trovarono subito in sintonia, dividendosi il palco in vari concerti. Contrariamente la convivenza in studio di registrazione non fu facile (soprattutto per il caratteraccio di Clapton), ma il risultato fu sorprendente. Una manciata di cover blues prese dalla produzione di Otis Rush, Robert Johnson, Willie Dixon, Freddie King, Ray Charles, Little Walter; mischiate insieme a brani a firma di Mayall. Dodici pezzi in cui la chitarra di Clapton suona impeccabile e Mayall lo segue a suo pari. di Riccardo Santangelo [email protected] TW: @RickySixtySix FB: riccardo.santangelo.71 Conoscere Beethoven attraverso un ciclo di Concerti e un progetto universitario. Un percorso firmato Luciani-Motterle P ortare la musica nei luoghi non destinati a ospitare concerti ed eventi musicali è un atto meritorio che la nostra Fondazione non ha mai ignorato. Quando poi lo scopo è quello di offrire capolavori immortali, con un percorso idoneo a stimolare la curiosità di chi abitualmente non frequenta sale da concerto, è doppiamente meritorio. Ecco che questo mese ci viene offerta l’occasione di incontrare il violinista Fulvio Luciani, che, oltre all’importante attività di docente e concertista, riesce a costruire, in collaborazione con il pianista Massimiliano Motterle (nella foto), percorsi quanto mai originali e stimolanti. “Beethoven, l’invenzione della musica” è un ciclo di concerti alla Verdi e un progetto di formazione all’Università degli Studi di Milano Bicocca (quasi.unimib.it). È stato preceduto da un ciclo intitolato “Romantico Bach”: sbaglio o stiamo rimescolando le carte? «La conoscenza di Bach è un fatto tutto ottocentesco. Sono stati i romantici a interessarsene e a rivelarcelo, quasi un secolo dopo la morte. Noi lo conosciamo attraverso di loro; in questo senso, nella nostra percezione, Bach è un autore “romantico”. Beethoven inventa il significato moderno della musica: qualcosa che ha un senso profondo per ognuno di noi, in cui riconoscersi e interrogarsi. Beethoven usa la musica per dire cose che nessun compositore aveva mai detto prima. Sono le cose che ancora oggi noi cerchiamo nella musica, anche in quella scritta prima di Beethoven». Bene, mi ha convinto. Saranno quindi eseguite tutte le Sonate per violino e pianoforte di Beethoven, ma in cosa consiste la novità? «Ognuno dei dieci concerti è costruito intorno a una singola Sonata, come a leggerla direttamente e insieme specchiarla in altro che in qualche modo le si riferisca. Uno solo ne contiene due, quarta e quinta, che furono scritte per essere eseguite insieme, e questo apre la strada a un concerto interamente dedicato a Schubert, la parte in ombra dell’epoca beethoveniana. Motterle e io abbiamo immaginato un percorso che fosse misterioso e attraente prima di tutto per noi. Non è a dimostrare una tesi e sono sicuro che dovessimo rifare tutto daccapo faremmo tutto diverso». L’interesse di un’istitituzione come l’Università degli Studi di Milano Bicocca per un ciclo affiancato da conferenze e laboratori, può essere un tentativo utile per colmare la lacuna che affligge in particolar modo le scuole superiori, dove l’insegnamento della musica è del tutto assente? «Quando mi capita di parlar di musica vedo brillare occhi dalla felicità. L’assenza della musica dalla nostra scuola non è solo una tristezza e una vergogna, è un derubare intere generazioni di una cosa bella». Lei insegna al Conservatorio di Milano e nelle sue Officine estive, tiene concerti con Massimiliano Motterle e cicli di concerti per la Verdi. A queste attività si aggiunge l’Università Bicocca, pensa sia possibile rendere sempre più stretti e frequenti i rapporti di scambio tra le istituzioni? «Penso di sì, certamente. Tutto quel che serve è mettere a disposizione le proprie idee e le proprie capacità. Con l’Università è stato così, con naturalezza. È il modello della bottega rinascimentale, in cui convivono produzione, istruzione e riflessione sull’arte. La scuola dovrebbe essere questo». g.s. I prossimi appuntamenti 21 febbraio 2016 Beethoven, l’invenzione della musica 3 - Schubert, la parte in ombra Franz Schubert: Sonata in la maggiore op. 162 D 574 (1817) Fantasia in do maggiore op. 159 D 934 (1827) Rondò brillante in si minore op. 70 D 895 (1826) 3 aprile 2016 Beethoven, l’invenzione della musica 4 Wolfgang Amadeus Mozart: Sonata in sol maggiore K 379 (1781) Béla Bartók: Sonata n. 2 per violino e pianoforte (1922) Ludwig van Beethoven: Sonata in re maggiore op. 12 n. 1 (1798) Info sul programma completo: fulvioluciani.it EDUCATION di Pietro Dossena MasterCLASSConCorsiMasterCLASSConCorsi BRUXELLES Concorso “Merci, Maestro!” per giovani pianisti fino ai 19 anni 16-17 aprile scadenza 15 marzo mercimaestro.be Masterclass di tromba e musica d’insieme per ottoni Stephen Burns 3-7 marzo scadenza 19 febbraio amicimusica.fi.it FIRENZE Concorso di composizione Counterpoint composizioni per strumento solo o ensemble scadenza 15 marzo counterpoint-italy.com LONDRA Grand Prize Virtuosovarie categorie, selezione da registrazione scadenza 14 febbraio grandprizevirtuosointernational musiccompetition.com MILANO Master class di violino Francesco Manara 23-24 marzo scadenza 23 febbraio consmilano.it MILANO Master class di batteria jazz Gregory Hutchinson 1-2 aprile scadenza 1 marzo consmilano.it Eccellenze senesi: il “Rinaldo Franci” Prendere il volo L'Orchestra Giovanile Regionale della Liguria: come trasformare un piccolo ensemble di studenti in una compagine di 80 elementi O ra succede che i ragazzi dei corsi più avanzati, passati all’orchestra dei “grandi”, chiedano di poter restare anche in quella giovanile». Vittorio Marchese, violinista dalla prestigiosa carriera internazionale, attualmente primo violino del Quartetto di Torino, racconta alcune curiose dinamiche sorte nell’Orchestra Giovanile Regionale della Liguria, da lui fondata e diretta. Come si riesce a trasformare in pochi anni una piccola compagine di studenti di conservatorio in un’orchestra di 80 elementi? Prima di tutto viene lo slancio educativo, spiega Marchese: «I ragazzi hanno il diritto di poter fare esperienze musicali collettive di qualità. Dobbiamo renderli consapevoli di essere indispensabili a un progetto importante». Il primo nucleo orchestrale è stato formato nel 2011 in seno 82 Amadeus al Conservatorio di Genova, dove Marchese insegna violino. Il pieno riconoscimento istituzionale è arrivato nel 2014, mentre l’attività concertistica ha preso il volo durante il 2015, toccando non solo il Conservatorio del capoluogo, ma anche importanti sale nella regione e l’Auditorium di Milano. L’evento più memorabile è stato un concerto nella Sala Nervi del Vaticano, alla presenza di papa Bergoglio, in cui lo stesso Marchese ha imbracciato il violino per suonare con i ragazzi. Un grande merito dell’orchestra è la sua apertura a tutte le realtà musicali della regione: oltre al Conservatorio di Genova, che ne resta capofila, licei e istituti musicali di ogni tipo, e anche l’Orchestra Giovanile del Ponente Ligure (“Ligeia”). I componenti dell’Orchestra Regionale, selezionati mediante audizioni, preparano le parti con i rispettivi insegnanti, per poi partecipare alle prove d’insieme a Genova. Le difficoltà logistiche si risolvono con il supporto attivo delle famiglie, coinvolte dall’entusiasmo dei ragazzi, che si sentono pienamente responsabili dell’esito artistico del proprio lavoro. «L’orchestra suona con il piglio delle orchestre professionali», racconta emozionato Marchese, che sa bene come trarre un suono “sinfonico” dai giovani strumentisti (l’età è compresa tra 11 e 18 anni). Il repertorio stupisce per lungimiranza e valore formativo: Bach, Ives, Čajkovskij, persino 4’33” di John Cage. Le prove si trasformano in maratone in cui ci si scorda di fare pausa, l’orchestra diventa una grande famiglia di traboccante umanità: adotterà presto un bambino a distanza. D alla Liguria alla Toscana: un altro esempio di come le realtà formative d’eccellenza debbano aprirsi al contesto territoriale, non solo per comunicare e diffondere verso l’esterno, ma anche per ricevere e, di conseguenza, crescere. Parliamo dell’Istituto Superiore di Studi Musicali “Rinaldo Franci” di Siena con il suo direttore, il flautista Luciano Tristaino. Come interagite con le realtà locali? «Siamo interessati a sviluppare la formazione “in verticale”, relazionandoci con le scuole primarie e il liceo musicale. Abbiamo siglato 23 convenzioni con scuole private di musica, che seguono i nostri programmi di studio e preparano gli studenti agli esami dei corsi pre- A sinistra, l'Orchestra Giovanile Regionale della Liguria in concerto; qui, alcuni musicististudenti dell'Istituto Franci di Siena accademici, consentendo così un inserimento fluido nella fascia accademica della nostra istituzione. Favoriamo anche il dialogo tra gli insegnanti, per un aggiornamento continuo delle competenze didattiche». E con l’Accademia Chigiana? «Effettuiamo una pre-selezione interna per inviare i nostri migliori alunni ai corsi della Chigiana. In caso di ammissione, una speciale convenzione economica stabilisce che le tasse di frequenza siano pagate per metà dall’Accademia e per metà dall’Istituto “Franci”». Anche in Toscana esiste un’orchestra giovanile regionale. «Dal 2014 è stato attivato un percorso regionale di formazione orchestrale: l’Orchestra Toscana dei Conservatori riunisce i migliori allievi provenienti dagli istituti di alta formazione di Firenze, Livorno, Lucca e Siena. È una preziosa opportunità, che prepara i ragazzi alla professione del musicista d’orchestra. Le prove hanno sede presso il Maggio Musicale; i direttori si avvicendano a seconda delle produzioni, che girano nei teatri del territorio. Dopo una Cavalleria rusticana rappresentata a Livorno, ora abbiamo in programma il Requiem di Cherubini». IL PUNTO [email protected] di Carlo Delfrati A scuola con il corpo Quando si guarda l’educazione musicale dall’alto dei secoli, Platone è la figura che fatalmente emerge sopra le altre. Quasi non c’è dialogo che non veda i suoi interlocutori parlare di musica: di strumenti, di modi (dorico, frigio…), di pratiche. «I giovani», scrive nella Repubblica, «trarranno vantaggio da ogni parte donde un effluvio di opere belle ne colpisca la vista o l’udito… Il ritmo e l’armonia penetrano profondamente entro l’anima e assai fortemente la toccano, conferendole armoniosa bellezza… Chi ha avuto una perfetta educazione musicale sarà prontissimo ad accorgersi delle cose trascurate imperfettamente lavorate o difettose per nascita e, giustamente disgustato, loderà le cose belle”». La condizione ideale per trarre profitto dalla musica è però quella di non isolarla dal corpo. «Chi meglio combina ginnastica e musica e le applica all’anima nella misura più giusta, è il musico più perfetto e armonioso…». Davanti a tale autorità il musicista sopporterà di dividere l’encomio con il ginnasta, e la limitazione con cui Platone chiude la frase: «… più perfetto e armonioso, assai più di chi accorda tra loro le corde», cioè il musicista ineducato fisicamente. Poco prima ripeteva la stessa raccomandazione al ginnasta. E conclude: «Coloro che praticano la pura ginnastica risultano troppo selvatici, quelli che praticano la pura musica diventano troppo molli». Oggi il musicista pigro, rassegnato a sentirsi chiamare molle da Platone pur di salvare i suoi spazi, a questo punto prova il bisogno di saperne di più. Perché poi ‘molle’? Mai visto András Schiff scatenarsi sulla tastiera, o Toscanini sbracciarsi a dirigere Beethoven? Platone non avrebbe saputo rispondere. Meno che mai come saprebbe ben dire e fare oggi un bravo docente di strumento: che non si accontenta che l’allievo sappia tradurre in suono quel che vede scritto, ma promuove la sua consapevolezza corporea e gli fa esercitare gli arti. Il motto “a scuola con il corpo” vale anche per l’educazione musicale. Amadeus 83 NOTE DI VIAGGIO Bielorussia P arti pensando alle casette di legno colorato nei paesini dipinti da Marc Chagall, e scopri un mondo urbano di candore neoclassico. La capitale Minsk in particolare, in quello che è il Corso Nesavisimosti e nei quartieri che a questo si affiancano, dimostra una scelta assoluta del rassicurante ed elegante linguaggio classico dell’architettura. Timpani sorretti da colonnati sia che si tratti del Palazzo dei Sindacati o dell’ingresso monumentale di uno dei romantici parchi si alternano alle costruzioni che proseguono stilisticamente col razionalismo degli anni ’30. Quest’ultimo, come in Italia, ammorbidisce il suo rigore con decorazioni plastiche, non celebrative come da noi ma geometriche o floreali, e quando cala la sera, suggestive luci colorate mettono in risalto questo o quel dettaglio degli edifici. Verrebbe da pensare che sia la non lontana San Pietroburgo voluta da Pietro il Grande ad avere ispirato queste scelte, ma così non è: la presenza del gusto, e degli architetti italiani, data in Bielorussia 84 Amadeus Alla fine del mondo A Minsk e dintorni: architettura italiana, colori slavi, grandi parchi, laghi. E molta opera e balletto di Annamaria Pellegrini già dal Rinascimento. A quell’epoca risalgono Chiese per la comunità cattolica ispirate nella pianta basilicale alla romana Chiesa del Gesù, e da allora il rapporto tra la creatività italiana e quel mondo che culturalmente ci sembra così lontano è continuato, tanto che i locali della composta movida cittadina capita che si chiamino Venezia, o Milano. Che fosse per il grand tour o per pellegrinaggi, i viaggiatori che tornano in patria se sono principi, magnati o consacrati della chiesa di Roma portano non solo un’idea dell’arte che oggi convive con quella tradizionale delle terre russe, che tanto affascina noi con lo splendore delle iconostasi e delle cupole dorate, ma anche architetti italiani ben lieti di così prestigiose committenze. Non lontano dalla capitale si scopre il castello di Nesvige, in un bosco dai colori meravigliosi. Il suo restauro si è compiuto nel 2010, e fu il comasco Giovanni Maria Bernardoni a trasformarlo per i principi Radziwill in raffinata dimora campestre. Il suo busto ritratto continua a sorvegliare l’opera compiuta dal parco. Circondata dall’antico fossato, la sua opera si specchia nelle acque ferme e limpide. Boschi e laghi sono del resto il trait d’union del territorio bielorusso, le domeniche d’estate le città sono deserte perché nei laghi si riversa la popolazione, e per quanto riguarda i boschi ci sono i più ricchi polmoni verdi ed ecosistemi, tra tutti il Byelovezhskaya Puscha National Park, patrimonio Unesco. E le piccole case colorate dipinte da Marc Chagall, che nato in paese alla fine del mondo, come disse sua moglie Bella, diventa cittadino del mondo? Ne resistono ancora nei piccoli paesi, colorate di verde e giallo rosa e blu accostati a contrasto (talune lasciate andare, altre amorevolmente curate) così come lì resistono le croci ornate di fiori coloratissimi e di nastri sgargianti. Anche i cimiteri in campagna sono colorati, delimitati da transenne coloratissime e decorazioni rosa acceso e turchese. Quanto di più lontano dal gusto neoclassico, quello popolare che l’artista ha fatto conoscere a noi tutti. MUSICA PER GIOVANI Le architetture di Minsk e i paesaggi naturali che la circondano; in alto, il Teatro dell'Opera Il “National Academic Bolshoi Ballet & Great Opera Theatre”, il gran teatro d’opera e balletto della Repubblica di Bielorussia, è nel cuore di Minsk, vicino alla Città Vecchia, ma circondato da un parco ti appare improvvisamente nel suo monumentale candore. La visione prospettica del suo timpano sostenuto da colonne e sovrastato da statue classicheggianti è particolarmente suggestiva accedendo dal viale principale, dove si specchia in una fontana. Costruito nel 1938, il suo recente restauro è durato tre anni, nel corso dei quali tuttavia non si sono fermati gli eventi musicali, che avevano luogo nel Palazzo della Repubblica. Il pubblico che ama opera, concerti e musica classica non è un pubblico d’élite: come in genere nei paesi di cultura russa, frequentare opera e balletto è assolutamente abituale. L’educazione musicale è praticata fin dai primi anni e lo dimostra anche la quantità di spettacoli dedicati ai bambini (bolshoibelarus.by). Decidiamo di continuare la nostra esperienza musicale alla Belarusian Philharmonic Society dove siamo colpiti dal gran numero di giovani spettatori. Anche questo edificio risale agli anni ’30 del ‘900, ma qui il carattere neoclassico della facciata che dà sul corso principale, servito da una metropolitana “d’epoca” anch’essa di interesse artistico, prosegue all’interno con caratteri architettonici e di arredo originali che sembrano preannunciare già il design degli anni ’60, come le decorazioni artistiche che rappresentano sulla scalinata interna il mondo della musica e della danza. Diverse qui le sale da concerto, in particolare è spettacolare l’organo nella sala più grande, al piano nobile (philharmonic.by). Ma nella capitale bielorussa anche le grandi piazze cittadine possono diventare in estate luoghi deputati alla musica, in questo caso gratuite, e ovviamente, gremite di gioventù. a. pell. Amadeus 85 MECENATI Restituire un dono N asce tutto a Bologna, nel 2006. Uno è il messaggio di Claudio Abbado da cui tutto ha origine: «La musica è necessaria alla vita: può cambiarla, migliorarla, e in alcuni casi addirittura salvarla». Soprattutto in luoghi difficili dove si crede che proprio la musica potrebbe non entrare. Ad esempio gli ospedali, o le carceri. Nasce così l’Associazione Mozart14, che dall’intuizione di Abbado si trasforma in una realtà concreta, che ha oggi una lunga esperienza alle spalle. «La musica è necessaria alla vita...»: lo si riafferma nel sito dell’Associazione (mozart14.com) che nel novembre scorso ha organizzato a Bologna Le Giornate di Tamino, una tre giorni di festa e studio sul tema della musicoterapia. E dietro i personaggi mozartiani si nascondo i progetti promossi da Mozart14. In primo luogo Tamino, che dal 2006 coinvolge con attività e laboratori musicali bambini dei reparti pediatrici e strutture socio assistenziali. Un’esperienza consolidata nel tempo con i reparti di pediatria del Policlinico Sant’Orsola di Bologna: un progetto interrotto nel 2013 e ripartito l’anno seguente grazie all’intervento dell’Associazione, che lo ha ereditato dall’Orchestra Mozart. Una realtà, quella di Mozart14, che assieme a Tamino sostiene altri grandi progetti: ad esempio il Coro Papageno, che riunisce detenuti del penitenziario Dozza, e le attività legate a Leporello nel carcere minorile Pratello, sempre a Bologna. Infine Cherubino, rivolto ad adolescenti che si trovano in situazioni di disagio e sofferenza. «Tamino nacque all’interno dell’Orchestra Mozart, e dopo la chiusura dell’orchestra mi resi conto che sarebbe scomparso: così fondai Mozart14, per portare avanti i progetti di mio padre nel sociale.», spiega la presidente dell’associazione Alessandra Abbado. 86 Amadeus Premio da assegnarsi ad uno studioso Nata 10 anni fa da un'intuizione di Claudio Abbado Mozart14 è un'associazione attiva per adulti, adolescenti e bambini nelle carceri e negli ospedali bolognesi «Oggi Tamino ha dieci anni di vita, e si è radicato in numerosi reparti del Policlinico Sant’Orsola di Bologna. Operiamo anche con la Ausl e stiamo lavorando per portare la musicoterapia anche a Milano e Palermo. Siamo pronti, ma servono le risorse per riuscirci. Nonostante la musicoterapia sia una disciplina ormai affermata scientificamente nel mondo, in Italia siamo indietro, al punto che la figura del musicoterapeuta non è ancora riconosciuta. L’Associazione Mozart14 è un significativo punto di riferimento nazionale e farà la sua parte. Ma noi siamo una realtà associativa “speciale”, composta in gran parte da professionisti: musicoterapisti, maestri e insegnanti del coro Papageno, psicologi, educatori. Una scelta coraggiosa a cui non vogliamo rinunciare, che rende però i costi molto più alti. Per fortuna abbiamo alcune realtà come Unicredit, Ima e GD che ci sostengono. Anche i privati ci mandano piccole somme, che per noi sono molto significative. Abbiamo bisogno dell’aiuto di tutti coloro che amano la musica, e desiderano che la sua forza tocchi anche chi soffre». E se qualcosa insegna la presenza di una realtà come Mozart14, è che: «L’arte e la bellezza sono un dono inestimabile quando le riceviamo», Alessandra Abbado. «Il mecenatismo è da questo punto di vista la capacità di comprendere che questo dono deve essere restituito. Non possiamo tenerlo per noi. Non solo per riconoscenza, quanto perché chi impara a conoscere la bellezza attraverso l’arte, scopre che nessuno dovrebbe esserne escluso...». di Edoardo Tomaselli [email protected] che intenda svolgere ricerche di argomento pucciniano da compiersi in due anni, a partire dal luglio 2016. Premio di € 10.000 Il Rotary Club di Lucca e la Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca, d’intesa con il Centro studi GIACOMO PUCCINI, bandiscono il «Premio Rotary Giacomo Puccini Ricerca», da assegnarsi ad uno studioso che intenda svolgere ricerche di argomento pucciniano. Le ricerche dovranno concludersi con la presentazione di uno studio monografico, che potrà essere pubblicato dal Centro studi GIACOMO PUCCINI. Il concorso, a cui possono partecipare studiosi di qualsiasi nazionalità, viene bandito per una ricerca da compiersi in due anni, a partire dal luglio 2016. Il premio consiste in una somma di € 10.000 (euro diecimila), da corrispondersi a lavoro ultimato, con facoltà di concedere acconti intermedi fino ad un massimo del 50% del premio; il saldo del premio verrà corrisposto dopo che il testo sarà approvato. Il premio non può essere considerato una borsa di studio. Al concorso si partecipa mediante la presentazione di un progetto di ricerca accompagnato da un curriculum vitae del candidato corredato dai dati anagrafici e dai recapiti. Nel progetto vanno specificati, oltre agli argomenti, anche i materiali che lo studioso intende utilizzare per la ricerca stessa: il Centro studi GIACOMO PUCCINI acquisirà i documenti segnalati dal vincitore, qualora non fossero già disponibili presso la sua sede. I progetti possono essere redatti in italiano, inglese, francese o tedesco. I progetti devono essere inviati sia tramite raccomandata R.A. (farà fede il timbro postale) sia tramite posta elettronica in formato pdf. L’indicazione «Premio Rotary 2016» deve essere evidente sia sul plico postale, sia nell’oggetto della e-mail. La Commissione giudicatrice dei progetti di ricerca è composta dal Presidente del Centro studi GIACOMO PUCCINI o da un suo delegato, dal Presidente pro-tempore del Rotary Club di Lucca o da un suo delegato, e da altri tre rappresentanti per ciascuno di questi due Enti. Il Centro studi GIACOMO PUCCINI nomina tra i membri della Commissione il Presidente, il cui voto prevale in caso di parità numerica. La Commissione può attribuire menzioni speciali e ha altresì facoltà di non assegnare il premio. La Commissione ha competenza relativamente alla nomina del vincitore e al controllo dello svolgimento della ricerca. La ricerca si articola in due anni, con presentazione di una dettagliata relazione alla fine del primo e con la consegna dell’intero elaborato, pronto per la pubblicazione, alla fine del secondo. L’elaborato approntato dall’autore deve essere consegnato entro il 30 giugno 2018 alla Commissione per l’approvazione. Eventuali e limitate proroghe possono essere concesse a insindacabile giudizio della Commissione. Nel valutare le domande, la Commissione giudicatrice tiene conto dei seguenti criteri: – originalità della proposta di ricerca; – pertinenza della metodologia con cui s’intenda realizzarla; – impatto del progetto nell’ambito degli studi sinora compiuti; – congruenza tra la ricerca proposta e i limiti temporali della sua realizzazione; – acquisizione di documenti inediti, o comunque di rilevante interesse. Le domande devono pervenire alla sede del Centro studi GIACOMO PUCCINI entro il 30 maggio 2016. L’esito del concorso viene comunicato entro il 30 giugno 2016. L’elaborato deve essere consegnato entro il 30 giugno 2018. A TAVOLA con Falstaff Grande baritono e gran cuoco, ha cantato il Falstaff di Verdi più di 250 volte nel mondo. Si esibisce volentieri anche ai fornelli sul suo sito: ambrogiomaestri.com Le ricette di Ambrogio Maestri In maschera I nterpretare un ruolo in scena è in fondo mettersi una maschera, calarsi nei panni di un altro. Dedico, così, la mia ricetta di questo mese proprio al Carnevale, che in febbraio riempie le città di travestimenti e manifestazioni. Ogni regione d’Italia ha le sue tradizioni culinarie per festeggiare questa ricorrenza, ma io ho scelto i tipici “cenci” toscani – fritti e dalla forma a fiocco – in onore del compositore livornese Pietro Mascagni, che con l’opera Le Maschere, su libretto di Luigi Illica, nel 1901 omaggiò la commedia dell’arte e mise in scena le vicessitudini di Florindo, Colombina, Arlecchino, Rosaura e Pantalone. Le Maschere, però, non ebbe grande successo e non riuscì a imporsi nel repertorio, come invece fecero altre opere del compositore come Iris e L’amico Fritz. A rendere Mascagni celebre nel mondo fu soprattutto la sua prima opera, Cavalleria rusticana, in cui canterò, travestito da Alfio il carrettiere, al Metropolitan di New York fino al 26 febbraio, direttore Fabio Luisi, regia di David McVicar. Quest’anno festeggerò, quindi, lontano dal mio paese, cucinando i “cenci” per gli amici e i colleghi di tutte le nazionalità, perché “a Carnevale ogni dolce vale”! 88 Amadeus “Cenci” Ingredienti per 6 persone  500 gr. di farina  60 gr. di zucchero  50 gr. di burro  4 uova  zucchero a velo  olio di semi per friggere  un bicchierino di vino bianco  sale Vino consigliato: Vin Santo del Chianti Versate la farina su un piano da cucina e mescolatela con lo zucchero e un pizzico di sale. Create un varco al centro per inserire il burro, fatto precedentemente ammorbidire, le uova e un bicchierino di vino bianco. Lavorate l’impasto con le mani, come se fosse pasta per le tagliatelle, e fatene una palla liscia che farete riposare per circa mezz’ora coperta da un tovagliolo. Tirate, poi, la pasta col mattarello dandole uno spessore di circa 2-3 millimetri e tagliandola con la rotellina dentellata in rettangoli lunghi circa 12 centimetri e larghi 4. Date ai rettangoli la forma a nodo o a fiocco e fateli friggere – pochi pezzi alla volta – in abbondante olio di semi bollente. Quando avranno preso un bel colore dorato, sgocciolateli, fateli asciugare su carta assorbente e infine riponeteli in un piatto cospargendoli con zucchero a velo. Consumateli caldi o freddi a piacere! LIBRI Corsi di Alto Perfezionamento Artistico e Musicale scadenza domande 15 febbraio/15 luglio violino viola Ana Chumachenco Marco Rizzi Roberto Ranfaldi Pavel Berman Rudens Turku Anna Serova musica da camera flauto clarinetto violoncello Robert Cohen pianoforte Konstantin Bogino Ramin Bahrami composizione liuteria - restauro Fine Arts Quartet Yumiko Urabe Anna Serova Davide Formisano Enrico M. Baroni Azio Corghi Carlos Arcieri anno accademico 2016 Palazzo Gromo Losa - Corso del Piazzo 24 - 13900 Biella tel. +39 015 29040 - fax +39 015 3528282 - [email protected] www.accademiaperosi.org Ministero per i Beni e le Attività Culturali Dipartimento dello Spettacolo Direzione PromozioneAttività Culturali, Istruzione e Spettacolo Settore Spettacolo e Cultura FUORI DAL TEATRO. MODI E PERCORSI DELLA DIVULGAZIONE DI VERDI LA MUSICA ALLA RADIO, 1924-1954 a cura di Angela Ida de Benedectis e Franco Monteleone a cura di Antonio Carlini Marsilio, 2015, pagg. 275, € 28,00 Bulzoni, 2015, pagg. 417, € 30,00 U n libro meritevole su Giuseppe Verdi. Si tratta degli atti del convegno promosso dall’Istituzione casa della musica di Parma. Un pregevole spaccato, ben documentato, sulla rapida espansione della musica verdiana al di fuori della sede canonica del teatro. Espansione che ha invaso gli ambiti più disparati della realtà sociale, fino a entrare nell’immaginario collettivo della gente comune oltre che nella consuetudine quotidiana di molte persone. Luoghi comuni, modi di dire, temi musicali codificati nella pratica salottiera come nelle bande paesane e cittadine (trascrizioni), nelle corali parrocchiali fino alle funzioni liturgiche, persino nella canzone popolare di protesta e nel teatro di marionette, per non parlare del mondo discografico e del relativo mercato che proprio all’indomani della morte del maestro di Busseto muoveva i primi passi “tecnologici”. Nessun musicista italiano è riuscito come Verdi a penetrare la vita musicale nazionale così come gli ambienti di tutti i segmenti di società. La spiegazione? Ce la fornisce Primo Levi, citato nel libro:«Verdi non era più soltanto il grande maestro italiano, era il solo grande maestro vivente, in sè e in una creazione che bastava a riassumere le tendenze, le aspirazioni, le voci di tutto il rinnovato mondo civile». Antonio Brena P DEBUSSY, LA BELLEZZA E IL NOVECENTO Ernesto Napolitano Edt, 2015, pagg. 224, € 22,00 S i rivela sempre più stretto, col passare degli anni, il vincolo che la musica di Debussy ha contratto nei primi decenni del Novecento fra la modernità e la bellezza», con questa affermazione, che è veramente tutto un programma, si apre il volume Debussy, la bellezza e il Novecento. “La Mer” e le “Images” pubblicato per Edt da Ernesto Napolitano, studioso che ha insegnato Istituzioni di Fisica teorica presso la Facoltà di Scienze e, in seguito, Storia della Musica moderna e contemporanea nel corso di laurea in Dams dell’Università di Torino; oltre che autore di svariati saggi e articoli sulle opere di Mozart e su autori del Novecento, fra cui Mahler, Berg, Maderna, Xenakis. Impossibile non ricordare Mozart. Verso il Requiem. Frammenti di felicità e di morte (Einaudi 2004). Attraverso un’avvincente analisi di due capolavori del compositore francese (appunto il trittico sinfonico La Mer e la raccolta pianistica delle Images), Napolitano guida in maniera appassionata il lettore nel riconoscimento della peculiare idea di bellezza che, affondando le radici in un mondo naturale, Debussy concepì ispirandosi all’immaginazione istantanea ed espresse attraverso una visione musicale aliena dalle elaborazioni formali della tradizione tedesca. Massimo Rolando Zegna erché 1924-1954? Perché proprio tra questi due estremi temporali prende forma e inizia a trasmettere l’Uri, l’unione radiofonica italiana, mentre il 1954 sigla ufficialmente la nascita della tv pubblica italiana. Dietro, e attorno a queste date, si sviluppa l’imponente volume curato dalla musicologa Angela Ida de Benedectis, che raccoglie un lunghissimo elenco di contributi ad ampio raggio sul medium radiofonico. Contributi che si è scelto di dividere in quattro grandi sezioni, dedicate al rapporto tra musica e strategie produttive, all’analisi di altre realtà radiofoniche europee, alla diffusione di musica popolare, jazz e leggera, e infine alla nuova musica trasmessa alla radio. Saggi critici in primo luogo, ma assieme una raccolta di testimonianze dirette e ricordi – fuori onda, come si scrive in quarta di copertina – di grandi protagonisti della storia della radio. Un volume che, anche davanti agli impressionanti cambiamenti tecnologici degli ultimi vent’anni – in cui sembra dominare l’immagine prima di ogni altra cosa – «si pone come un elogio alla forza dell’udito, basato sulla convinzione che ancora oggi... la voce e il suono della radio continueranno a vincere». Edoardo Tomaselli Amadeus 91 Turandot. Analisi critica Lo scaffale Paolo Martina Schwan Edizioni, 2015 pagg. 40, s.i.p. ARPE, MARI E MADRI I n una quarantina di pagine firmate da Paolo Martina, un’agile introduzione per il lettore non esperto alla Turandot di Giacomo Puccini: dalla trama, alla genesi e realizzazione, all’analisi, fino a una discografia ragionata. VITA QUOTIDIANA Enrica Lisciani-Petrini Bollati Boringhieri, 2015 pagg. 262, € 25,00 I nsegnante di Filosofia teoretica presso l’Università di Salerno, studiosa dei rapporti tra filosofia e arte (in particolare quelli riguardanti la musica) e del pensiero francese contemporaneo, Enrica Lisciani-Petrini ha pubblicato per Bollati-Boringhieri il volume Vita quotidiana. Dall’esperienza artistica al pensiero in atto. Il volume segue altre pubblicazioni, come Il suono incrinato. Musica e filosofia nel primo Novecento (2001), Risonanze. Ascolto, corpo, mondo (2007) e Charis. Essai sur Jankélévitch (2013). In Vita quotidiana, la studiosa cerca di riportare al cuore della riflessione contemporanea la sfera dell’esperienza del quotidiano: una dimensione in cui siamo inevitabilmente coinvolti, ma nei cui confronti la tradizione filosofica ha sempre registrato una singolare difficoltà a confrontarsi, attratta più dalle sfere, come scrive l’autrice, dell’eccezionale, dell’eroico, dell’autentico. Impegno non facile che qui viene affrontato attraverso una strategia di aggiramento. In sostanza, anziché partire dal piano del discorso filosofico, si perviene a esso attraverso i linguaggi dell’arte, della letteratura, della psicanalisi, del cinema, della moda e, ovviamente, della musica, direttamente affacciati sul flusso della vita di ogni giorno: le vertigini del quotidiano del Wozzeck di Berg, le vite inautentiche di Erwartung e Die glückliche Hand di Schönberg, le scene di strada di Brecht... Massimo Rolando Zegna 92 Amadeus VERDI & WAGNER NEL CINEMA E NEI MEDIA a cura di Sergio Miceli e Marco Capra Marsilio-Casa della Musica, 2014 pagg. 124, s.i.p. I l titolo è bello e disinvolto, con quella congiunzione che sa tanto di ditta d’affari: ma no, sono atti di un convegno internazionale tenuto a Parma, presso l’efficiente Casa della Musica, i giorni 10-11 maggio 2013 (certo, di per sé, più ricchi e laboriosi di quanto non risultino ora). Nell’ambito del bicentenario, dunque, a proposito del quale i curatori parlano addirittura di un «briciolo di perversione del Fato». Si tratta di sette saggi, comprensivi anche di un’audace Cavalcata delle Valchirie che parte da Griffith e raggiunge Coppola, a firma di studiosi di cinema, spesso giovani, per i quali la musica, alla buon’ora, non è più né inutile ornamento né povera ancella. Nella Traviata, per esempio, Birgit Schmidt ravvisa piani d’orchestra e di canto contrapposti in maniera stereofonica, quasi cinematografica. Poi Giovanni Lasi riconosce al vecchio cinema d’opera una virtù divulgativa capace di portare all’opera stessa, specie gli ignari ceti bassi del primo Novecento. Quanto a Wagner, ecco il Parsifal di HanJürgen Syberberg (1982, un secolo esatto dalla prima di Bayreuth), film che raduna riferimenti a Donatello, Moore, Arcimboldo, Klimt, Rossetti, Millais, Van der Goes, Portormo e a Caravaggio, la cui Medusa troneggia sullo scudo di un protagonista oramai più qualificabile come “puro folle”. Piero Mioli PROTAGONISTI DELLA DANZA DEL XX SECOLO È LO SGUARDO OBLIQUO. IL TEATRO MUSICALE DI CORGHI E SARAMAGO Elena Randi Graziella Seminara Carocci, 2014, pagg. 257, € 21,00 Ricordi Lim, 2005, pagg. 466, € 23,00 S e è vero che ogni scelta implica e determina una catena di esclusioni, il nuovo volume di Elena Randi ce ne dà conferma. Protagonisti della danza del XX secolo non è una monografia dedicata alla storia della danza del Novecento attraverso i suoi protagonisti, né sull’argomento intende avere completezza ed esaustività. È, invece, una raccolta di nove saggi ciascuno dei quali incentrato sulla personalità di un coreografo novecentesco e sulla sua poetica, esaminata in relazione a un’opera particolare e a essa circoscritta. Entrano, quindi, nello studio della Randi, collocati in ordine cronologico, Loïe Fuller con la Danza Serpentina, Isadora Duncan, Vaclav Nižinskij con L’Aprèsmidi d’un faune, Mary Wigman con La danza della strega e i Carmina Burana, Martha Graham con Night Journey, Alwin Nikolais con Noumenon, Pond e Crucible, Merce Cunningham con Scramble, Simone Forti (saggio di Margherita Pirotto) con Home Base, Pina Bausch con Kontakthof. Ciascun saggio propone un evento, un momento dell’evoluzione della modern dance e il suo contrappunto con la storia del teatro e le teorie della scena, una sezione tagliata sul continuum storico, apparentemente autonoma eppure rappresentativa in se stessa di un impulso operato sul processo infinito dell’arte. Ida Zicari C Le canzoni degli animali Lorenzo Tozzi, Maria Elena Rosati, Gabriele Clima Curci, 2015, pagg. 36 + cd, € 15,00 I l terzo volume cartonato, vivacemente illustrato della nuova collana “Le canzoni dei bambini” proposta da Edizioni Curci. Qui sono protagonisti il gatto, l’elefante, il dromedario, una giraffa di stoffa, un ghepardo che corre come il vento, una povera lumaca, un pipistrello e una zanzara. Nel cd allegato i brani cantati e le basi musicali per il karaoke. onverrà cominciare a smettere di citare sempre e solo Da Ponte e Mozart o Boito e Verdi. Perché il rapporto, l’autentico sodalizio fra uno scrittore e un compositore è anche viva prassi d’oggi: che la Blimunda del 1990 sia un’opera di valore e successo è fuori discussione, ma che la musica di Azio Corghi vi abbia coperto un testo di José Saramago diventando l’origine di una collaborazione ammontante a ben sette opere, questo è significativa materia di studio. Così Graziella Seminara ha raccolto tutti i libretti sorti dall’artistica coppia, li ha decorati con sostanziosi commenti e con l’edizione del carteggio intercorso. E dunque si leggano i primi avvistamenti generici, le leste prove e dichiarazioni di fiducia e amicizia, gli andirivieni anche un po’ zoppicanti che presiedono a operazioni come queste (con direttori artistici, concertatori, registi [si pensò anche a Fellini!]) e tutte le soddisfazioni dei prodotti finali. Non di meno si leggano i testi, di uno spessore letterario ben degno dell’intonazione imminente: ecco Divara, che accampa forti tematiche religiose e femminili; La morte di Lazzaro, che della famosa resurrezione si fa un bel baffo; e magari anche Il dissoluto assolto, il solito, vecchio e ormai quasi simpatico don Giovanni che si rassegna a cancellare un inutile don. Piero Mioli un’assonanza che la lingua francese consente, quella tra “la mer” (il mare) e “la mère” (la madre) ad averci fornito la chiave per entrare davvero nel cuore dell’ultimo romanzo di Abraham Yehoshua. Ne La comparsa, La mer è quella di Claude Debussy, i tre schizzi sinfonici (De l’aube à midi sur la mer, Jeux de vagues, Dialogue du vent e de la mer) composti nel 1905 nel cui organico ha un ruolo cruciale la presenza di due arpe. Perché la protagonista del libro di Yehoshua è un’arpista, appunto. Si chiama Noga, è israeliana ma vive in Olanda dove suona nella Het Gelders Orkest di Arnhem (di cui nella realtà Antonello Manacorda è direttore principale dal 2011). Preso un periodo di aspettativa, torna a Gerusalemme per prendersi cura dell'appartamento della madre, la quale ha deciso di trascorrere un periodo in una casa di riposo a Tel Aviv, al termine del quale deciderà se trasferirsi lì, dove abita il figlio maschio con la moglie e i figli. Noga invece non ha bambini, non ne ha voluti, e il marito pur amandola in modo possessivo e financo ossessivo l’ha lasciata per questo, risposandosi ed avendo poi dei figli. Ed ecco apparire “la mère”:, perche Noga non lo è – e per scelta – in una società in cui anche gli ebrei laici sembrano negare femminilità a chi non vive la maternità. In quei giorni trascorsi nella casa della sua infanzia, dove il vecchio quartiere in cui è nata e cresciuta si è “tinto di nero”, abitato ormai per la maggior parte da ebrei integralisti, genitori di nidiate di bambini poco accuditi e mal educati, Noga è costretta a interrogarsi sul rapporto con il suo paese, con la madre anziana (che durante una discussione le dice «se tu pensi di suonare me allora suona le note giuste»), con il fratello, con l’ex marito, con il padre morto poco tempo prima, con gli uomini. E con la sua identità femminile. Non avendo generato è una comparsa Noga – che per occupare il suo tempo israeliano accetta di lavorare come tale sul set di telefilm e anche nella Carmen al Festival di Masada – o è ancora una donna? Questo sembra domandare Yehoshua al lettore. Per noi è nell’arpa l’anima di Noga, la sua essenza. Nella musica che è per lei «qualcosa di essenziale, non di sottofondo», nella passione e nell’amore per la musica che in lei riescono a fermare i pensieri e a placare il dolore fisico. La musica dell’arpa del Concerto per flauto e arpa K 299 di Mozart, della Sinfonia fantastica di Berlioz, delle Danze sacre e profane e delle due arpe (una nera una dorata) della Mer di Debussy che nell’epilogo trasognato e dolorosamente liberatorio del libro Noga suona in concerto a Kyoto, in quel Giappone a cui tanto si legano gli “esquisses” debussiani la cui partitura originale portava in copertina l’iconica onda di Hokusai. LETTERE A BERLINO M entre tutto il Nord Europa e la pur accogliente Germania della cancelliera Merkel sono scossi da sussulti antieuropeisti e si parla di chiudere le frontiere assaltate da popoli in fuga, risuonano davvero profetiche le parole conclusive della Musica scorre a Berlino, nuova edizione rivista e ampliata di quelle dense conversazioni su musica, arte, vita tra Claudio Abbado e Lidia Bramani che erano state pubblicate per la prima volta nel 1997 con l’evocativo e cinematografico titolo La musica sopra Berlino. Abbado – dalla sua scomparsa sono appena passati 2 anni – pensando al periodo trascorso alla guida dei Berliner Philharmoniker, ai cicli musicali realizzati, agli obiettivi artistici, culturali e sociali raggiunti, rifletteva: «Ritrovo nel- le parole della grande scrittrice (Herta Muller) che ha scelto Berlino come sua patria d’adozione la forza delle città e dei paesi che sanno accogliere chi ha alle spalle tradizioni differenti e ricordi spesso non facili. Questa è la parte più propositiva della Berlino che amo. [...] Chissà se Berlino saprà mantenersi fedele a se stessa. Chissà se Berlino saprà insegnare questo atteggiamento a tutta la Germania e a tutta l’Europa. Chissà». L’ 8 ottobre 1989 «il Muro sarebbe crollato entro un mese e un giorno», Abbado era stato nominato successore di Karajan sul podio dei Berliner. Avrebbe tenuto il suo primo concerto alla Philharmonie come Chefdirigent il 16 dicembre e lo sarebbe rimasto sino al 2002 per dodici indimenticabili e indimenticati anni. LA COMPARSA Abraham B.Yehoshua Einaudi, 2015 pagg. 260, € 20,00 LA MUSICA SCORRE A BERLINO Claudio Abbado conversazione con Lidia Bramani Bompiani, 2015 pagg.152, € 13,00 di Paola Molfino [email protected] Amadeus 93 HITECH mondosmart HONEYWELL EVOHOME CONNECTED COMFORT Sistema di regolazione a radiofrequenza per gestire il riscaldamento domestico fino a dodici differenti zone, compatibile con qualsiasi tipologia di impianto, per personalizzare la temperatura in base alle diverse esigenze e ai tempi di utilizzo di ogni singolo locale. da € 299 + IVA (evohome.honeywell.com/it) LA MUSICA OVUNQUE Home, smart home Il nuovo range extender Music Everywhere firmato D-Link è una spina da parete che non richiede cavi elettrici aggiuntivi e che permette di diffondere musica in modalità streaming – tramite il protocollo WPS (Wi-Fi Protected Setup) – da qualsiasi smartphone, tablet e lettore multimediale collegato alla rete direttamente su tutti gli altoparlanti connessi e sull’impianto stereo di casa, purché dotato di jack audio standard da 3,5 mm (€ 50, dlink.com/it). VIMAR EIKON EVO Video touch screen da 4,3” con placca Eikon Evo per gestire e controllare l’impostazione climatica dell’intera abitazione, visualizzando e contabilizzando i consumi sia per l’energia consumata da singoli carichi sia le grandezze energetiche non elettriche come acqua e gas. prezzo su richiesta (vimar.com/it) I più avanzati sistemi di tecnologia domotica garantiscono comfort, sicurezza e intrattenimento in ogni ambiente della casa I n un mondo a sempre più alta vocazione tecnologica, il concetto di “casa intelligente” sta aprendo scenari fino a pochi anni fa inimmaginabili; l’idea di una dimora in grado di adattarsi su misura allo stile di vita di chi la abita, all’interno della quale le azioni di routine vengono automatizzate e programmate nei minimi dettagli, è diventata quanto mai attuale e soprattutto realizzabile. Si tratta di configurazioni rese possibili da sistemi innovativi come il Domotic 3.0 firmato Came (came.com), che permette di integrare e monitorare i più disparati impianti presenti nella casa attraverso soluzioni di 94 Amadeus Dotato di monitor in alta definizione da 7” e 10”, il terminale touch screen TS (nella foto) è al cuore del sistema domotico Came connettività a copertura completa tra le diverse reti di comunicazione. Ogni utente può infatti gestire con semplicità, secondo le proprie abitudini, i dispositivi installati nell’abitazione, controllandoli dal terminale touch screen installato nell’appartamento o collegandosi attraverso smartphone, tablet e Pc in qualsiasi luogo si trovi; tutte le automazioni presenti nella casa – dall’illuminazione alla videocitofonia, dalla termoregolazione all’antintrusione e alla diffusione sonora – interagiscono infatti tra loro a 360° per gestire ogni spazio in modo funzionale e garantire i massimi livelli di comfort, sicurezza e risparmio energetico. 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La maggior parte dei miei compagni di classe invece studiava quello in do maggiore; spesso assistevo alle loro lezioni e ciò mi ha aiutato molto quando ho deciso di avvicinarmici. Li amo moltissimo entrambi, sono i più eseguiti del mio repertorio. Quello in do è il più richiesto, molto immediato e il più popolare: forse proprio per questo io ho un affetto particolare per quello in re. Nella registrazione di quest’ultimo ho scelto di eseguire una cadenza molto frequentata in questo momento storico, spesso richiesta in audizioni e concorsi, e della quale non ci sono molte versioni oltre a quella dell’autore: il grande Maurice Gendron». La Sinfonia dei Giocattoli è una musica che per alcuni, come me, riporta alla memoria ricordi di fanciullezza: era la sigla della Tv dei Ragazzi, trasmissione Rai anni ’70. Perché ha deciso di affiancarla ai Concerti? «Anche a me fa lo stesso effetto, mi riporta a quel periodo e alla stessa trasmissione televisiva! Ho deciso di inserire questa Sinfonia – di difficile attribuzione – soprattutto per il suo aspetto di leggerezza e di gioco che condivide con i Concerti: il filo conduttore del cd». Quest’anno, I Solisti di Pavia festeggiamo i 15 anni di attività. Che qualità e caratteristiche specifiche ha voluto ottenere da questo organico? «Sono molto orgoglioso dei miei Solisti, 15 anni è un bel traguardo, in questo momento storico “resistere” è molto importante. Siamo continuamente attaccati da una generale tendenza al ribasso e da una cultura artistica che aspira alla spettacolarizzazione, prima ancora che alla sostanza. Grazie al sostegno della Fondazione Banca del Monte di Lombardia in seno alla quale nacque la Fondazione I Solisti di Pavia, e grazie soprattutto, ci tengo molto a sottolinearlo, alle persone che siedono nel consiglio di amministrazione, si è creato in questi anni un ambiente molto familiare. Fare musica tra amici è una delle esperienze artistiche più appaganti che esistano e con I Solisti è così a ogni prova. La disciplina nell’insieme, la ricerca di un suono sempre di altissima qualità e la leggibilità del fraseggio sono le fondamenta sulle quali baso la mia ricerca personale e che di conseguenza condivido con i miei compagni di viaggio». Mi dica quali sono per lei i tre imprescindibili nomi del violoncello. «Questo è un giochino che non amo molto perché nella lista ci potrebbero stare decine di violoncellisti come nessuno; l’obiettivo di un artista è la perfezione, la quale non essendo parte di questa vita, e forse di nessun’altra, di fatto non esiste. Cedo comunque volentieri alla richiesta nominando le tre figure che hanno più inciso nella mia formazione: Mstislav Rostropovič, Pierre Fournier e Antonio Janigro». MAKINGOF PROGETTO MARAIS E nrico Dindo non ha bisogno di presentazioni; è semplicemente uno dei più grandi violoncellisti dei nostri anni. Per Decca è appena uscito il suo nuovo cd nel quale, assieme al suo ensemble I Solisti di Pavia, interpreta i due Concerti per violoncello e orchestra in do maggiore e in re maggiore di Haydn, oltre alla cosiddetta Sinfonia dei giocattoli. I due Concerti di Haydn sono un must nella storia del violoncello e un suo cavallo di battaglia da sempre: li registrò anche per Amadeus 15 anni orsono. Come si è sviluppato il suo rapporto con queste composizioni? «Uno degli aspetti più straordinari della musica è il fatto che non la si può fermare né congelare: è in continua trasformazione, e personalmente credo che l’aspetto della 96 Amadeus Enrico Dindo festeggia i quindici anni di attività dei suoi Solisti di Pavia con un cd Decca dedicato ai Concerti per violoncello di Franz Joseph Haydn di Giuseppe Scuri registrazione sia solo la testimonianza dell’emozione di un attimo. I Concerti per violoncello di Haydn non sfuggono a questa logica, sono tra i primi ad apparire sui nostri leggii di giovani violoncellisti e ci accompagnano per tutta la vita; attendere il giorno in cui si possa essere definitivamente soddisfatti è inutile quanto dannoso, l’attesa si può trasformare addirittura in frustrazione. Poterli registrare in diversi momenti della vita è un grande privilegio, ma è solo la testimonianza di un percorso che sarà lungo come la mia esistenza.Da ragazzo ricordo di aver amato prima quello in re maggiore, non so bene perché, ma quando mettevo un lp, dono dei miei genitori, giravo il disco sempre da quel lato, ero molto attratto dalla sua eleganza e dal suo essere così tenero Allievo di Paolo Pandolfo e di Rudolf Lutz alla Schola Cantorum Basiliensis, François Joubert-Caillet ha al suo attivo una serie di collaborazioni eccellenti con formazioni di prim’ordine: due per tutti, Les Talens Lyriques e Le Concert d’Astrée. Nel 2009, ha fondato L’Achéron, un ensemble ad assetto variabile che riunisce giovani musicisti provenienti da tutto il mondo, con cui ha realizzato alcune imprese discografiche: anche in collaborazione con Wieland Kuijken. Nell’autunno del 2014, nella splendida Chapelle Notre-Dame de Centeilles, nel dipartimento francese dell’Hérault (Languedoc-Roussillon), assieme al suo gruppo Joubert-Caillet ha iniziato per Ricercar un progetto discografico di grande impegno: la registrazione dei cinque Libri di Pièces de Viole di Marin Marais (oltre 600 composizioni ordinate in 20 cd). Sarà completata nel 2022. Il primo disco della serie viene pubblicato in questo mese di febbraio, e raccoglie diciotto pagine tra le più famose tratte dai cinque Libri. Amadeus 97 MAURIZIO BAGLINI DISCHI SCHUMANN ★ insufficiente P I A N O S O N ATA S 1 & 2 P R E S T O PA S S I O N AT O T O C C ATA ★★ sufficiente ★★★ discreto ★★★★ buono Maurizio Baglini dà avvio alla registrazione dell’opera integrale di Schumann con le due Sonate per pianoforte e la celebre Toccata op. 7. ★★★★★ ottimo A L’album contiene anche il Presto Passionato, originariamente concepito come finale della prima versione della Sonata op. 22. AA.VV. Cœur. Airs de cour français de la fin du XVIe siècle A Le Poème Harmonique, Vincent Dumestre Alpha 1 cd (Self-Tàlea) 2015 Photo: © Michele Maccarrone D CD 4812391 / DIGITALE A L T R E ENRICO DINDO HAYDN Concerti per violoncello n. 1 e 2 Sinfonia dei giocattoli I Solisti di Pavia N O V I T À I MUSICI VIVALDI RECORDINGS SCHUBERT THE EDITION VOL. 1 Musica per orchestra, da camera e per pianoforte EDIZIONE LIMITATA 39 CD 27 CD Universal Music Group - Classics & Jazz Italia 27 CD 4824391 SPECIALE www.universalmusic.it/classica Erato 16 cd (Warner) 1951-1976 Artistico: HHHHH Tecnico: HHH P rosegue la volenterosa iniziativa della Erato che pubblica l’opera discografica integrale di uno dei più importanti flautisti di tutti i tempi: Jean-Pierre Rampal. Un interprete che ha dominato l’intero repertorio flautistico segnando indelebilmente il ventesimo secolo. La perizia strumentale del celebre solista francese è del tutto evidente in questi 16 cd – registrati tra il 1951 e il 1976 – che spaziano dal barocco di Bach, Telemann, Händel, Vivaldi e Rameau, al Classicismo viennese di Haydn, Mozart e Beethoven, al Romanticismo di Scubert, Schumann, Chopin, Mendessohn e Bellini, all’Impressionismo francese di Debussy e Ravel, alla composizione moderna di Stravinskij, Honneger, Falla, Malipiero e Ravi Shankar. Grande ecletticità stilistica, sempre colta con precisione sonatistica, efficace espressività di lettura e lungimirante piglio interpretativo di cultura e impianto classico: queste le caratteristiche che emergono dall’ascolto di queste registrazioni, spesso datate e non sempre “pulite” per le nostre orecchie tecnologicamente assuefatte alle illimitate potenzialità del digitale. Alle imperfezioni tecnico-esecutive il flautista di Marsiglia supplisce con un senso profondo della musicalità e con un istintivo senso della poesia. Del resto con lui collaborano i più grandi musicisti dell’epoca, sia direttori, solisti ed ensemble strumentali. Antonio Brena PREZZO PREZZO CD 4812376 / DIGITALE opo un certo periodo di silenzio, questo nuovo titolo segna il ritorno al disco per Alpha di Vincent Dumestre e del suo Le Poème Harmonique. In linea con le precedenti, tutte caratterizzate da un altissimo valore specifico, anche questa produzione appare ricercata nella scelta del repertorio, selezionato sempre con grande intelligenza e personalità, come nella realizzazione e nella riuscita interpretativa. Cœur. Airs de cour français de la fin du XVIe siècle recita il titolo: ovvero pagine di bellezza assoluta composte perlopiù nell’arco di trent’anni, tra il 1570 e il 1600, da autori oggi poco o nulla conosciuti, quali sono Girard de Beaulieu (ca 1540-1590), PierreFrancisque Carroubel (1566-1611), Jean Boyer (prima del 1600-1648), Pierre Guédron (ca 1565-1620), Didier Le Blanc (fl. 1579-1584), Fabrice-Marin Caiétain (ca 1540-dopo il 1578), Lorenzini (fl. seconda metà del XVI secolo), Guillaume Costeley (ca 1530-1606), Adrian Le Roy (ca 1520-1598). Gemme di ammaliante bellezza che con un’impronta interpretativa inimitabile Dumestre fa affiorare con folgorante bellezza dall’oblio discografico e concertistico, assieme al nobile genere musicale che nutriscono. Quattro voci e pochi strumenti, sono sufficienti a Dumestre per evocare in maniera assieme aristocratica e appassionata un intero mondo, una civiltà musicale irripetibile e perduta, in cui s’incontrano sussurri e passione, epica e abbandoni lirici, dolcezze e colori accesi. Il modo con cui Dumestre sa porgere la musica è unico e il disco è più che mai imperdibile. Massimo Rolando Zegna I dischi migliori del mese scelti per voi da Amadeus AA.VV. Jean-Pierre Rampal. The complete HMV Recordings 1951-1976 SPECIALE 39 CD 4795545 Amadeus 99 Classical Collections DISCHI MARTÍN CODAX Ondas A Vivabiancaluna Biffi, Pierre Hamon Arcana 1 cd (Self-Tàlea) 2014, 2015 B isogna chiudere gli occhi e immaginarsi seduti sul crinale di una scogliera della Galizia, mentre si ascolta questo cd: ovvero sulle propaggini ultime del mondo conosciuto nel Medievo. Il consiglio non è così grettamente gratuito come si potrebbe pensare di primo acchito. Ondas, l’ultima registrazione di Vivabiancaluna Biffi, è stata volutamente concepita per amplificare in più punti la presenza dell’Oceano: uno spazio, meglio ancora, un “vuoto” che nel Medioevo era sentito come infinito e soprannaturale, così come in un certo senso lo è ancora per noi oggi il cielo. Non a caso a questo mondo misterioso e mistico, quasi fosse il paradiso, indirizzano per lo più il loro canto d’amore, solitudine, lontananza e nostalgia, ma anche di preghiera di un ritorno, le donne protagoniste delle Cantigas de amigo di Martín Codax: un giullare galego-portoghese di grande sensibilità artistica attivo attorno alla metà del XIII secolo durante il regno di Alfonso III di Portogallo, quando la Galizia era teatro di una fervida attività letteraria inscritta nell’imponente movimento trovadorico. Si tratta di sette splendide pagine in cui ricorre la presenza del mare, assieme a quella della città di Vigo, qui incastonate da due coeve Cantigas de amor: rispettivamente di Rui Fernandes de Santiago e Paio Gomes Charinho. Ondas sviluppa un doppio straordinario ossimoro, estremo e incrociato che nutre le Cantigas di Martín Codax: da una parte la mobile vastità dell’ignoto, dall’altra la fissa introspezione di alcune giovani donne. Una doppia dualità che nel disco viene accompagnata, amplificata e trasfigurata dal ritmo lento e sensuale di una musica che rispecchia quello delle onde del mare di Vigo. Se qui Vivabiancaluna Biffi ci fa affiorare antiche emozioni musicali provate con Andrea von Ramm, fondamentale risulta la presenza arcaica ed arcana dei flauti medievali di Pierre Hamon. Massimo Rolando Zegna 100 Amadeus DISCHI AA.VV. Violin Sonatas op. 100 & 108, ecc. AA.VV. Goldberg Variations, Diabelli Variations, ecc. Isabelle Faust, Alexander Melnikov Harmonia Mundi 1 cd (Ducale) 2014 Artistico: HHHHH Tecnico: HHHHH I sabelle Faust e Alexander Melnikov terminano il ciclo delle Sonate di Johannes Brahms – Seconda e Terza più F.A.E. che è Sonata a più mani: Albert Dietrich (primo tempo) e Schumann (secondo) oltre all’Amburghese (terzo e quarto) – e completano il cd con le Tre Romanze op. 94 di Robert Schumann. La lettura della Sonata in re minore è in bilico sin dal primo tempo fra intimità (i ristagni sulla dominante e sulla tonica) e canto sfogato nel violino come in un pianoforte davvero eccellente e sempre ben “cantante”. È questo oscillare fra empito e ripiegamenti la chiave di lettura d’un Brahms, appunto Fine secolo: dal bell’affondo lirico nell’Adagio, scorrevole nello Scherzo, limpido (gran pianista Melnikov) nell’eccitato-ripiegato Finale. Idem il discorso per la tenera, lacustre Sonata in la maggiore, molto ben partecipata (e chiaroscurata) dalla Faust col fondamentale supporto di un pianoforte sensibilissimo, d’una diffusa dolcezza (Andante tranquillo) e ariosità (Vivace) nel secondo tempo come nel Finale, tra sospensioni e accensioni liriche. Intima, tenera e accurata è, a sua volta, la lettura delle Romanze schumanniane: tersa e senza sentimentalismi (notevole per eccitazione la parte centrale della Seconda e più nota). Gran finale con la F.A.E. la cui lettura, impeccabile nell’Allegro dietrichiano, eccitatissima in quello brahmsiano, non fa rimpiangere il disco epocale di Isaac Stern. Ampie e trilingue le note di Roman Hinke. Alberto Cantù BEAMISH The Singing BEETHOVEN Violin Sonatas nn. 6, 7, 10 Igor Levit Sony 3 cd (Sony) 2015 Artistico: HHHH Tecnico: HHHHH Royal Scottish National Orchestra, Martyn Brabbins Bis 1 cd (New Arts International) 2015 Artistico: HHHH Tecnico: HHHHH Francesca Dego, Francesca Leonardi Dg 1 cd (Universal) 2015 Artistico: HHHH Tecnico: HHH I T gor Levit e le variazioni. Il primo cd contiene le Goldberg di Bach, il secondo le Diabelli di Beethoven e il terzo quelle assai meno famose del vivente Frederic Rzewski, costruite sul celebre motivo della canzone degli Inti Illimani El pueblo unido jamás será vencido! Il perché della vocazione del 28enne pianista russotedesco, lo si capisce da una domanda che si pone e che dallo specifico musicale evidentemente sfora nella vita: «quanto posso andare lontano rimanendo allacciato alla mia ancora?» (vedi Grandangolo pag.6). E in effetti, se si considera quanto immaginifiche sono le elucubrazioni bachiane e beethoveniane che sgorgano dall’incantevole e tornito tema Andante espressivo dell’autore barocco e dalla geometria del Valzer di Diabelli (sufficientemente schematica per fargli piombare addosso la gigantesca investigazione del genio di Bonn), non si può che condividere l’assunto avventuroso del quesito. Inoltre, avventuroso lo è pure l’interprete oltreché tecnicamente ineccepibile. Dimostra un fine gusto nelle Goldberg che lo porta ad “approfittare” dei ritornelli per ricamare ulteriori abbellimenti stilisticamente appropriati. E anche in Beethoven persuade, seppure un po’ troppo registrato sul “bi-color” dei contrasti, mentre nelle variazioni dell’americano Rzewski dà sfoggio di granitiche sonorità e sognanti titillamenti. Anche se – diciamolo con franchezza – giusto l’empatia per l’esaltante hit cilena ci fa digerire l’accoppiamento un po’ stranito a cotanti capolavori dal profilo assoluto. Nicoletta Sguben re concerti con tre grandi solisti, per i quali sono stati espressamente scritti e pensati: lavori che hanno visto la luce tra il 2003, come il Trumpet Concerto interpretato da Hakan Hardemberger, e Reckless per orchestra da camera del 2012. Il sassofonista Brandford Marsalis suona la versione di Under the Wing of the Rock (2006\2008) per sax e archi, mentre l’accordeonista James Crabb apre il cd con la partitura che dà il titolo al disco, The Singing, del 2006. A Cage of Doves, per orchestra, è l’ultimo dei lavori della compositrice inglese Sally Beamish (1956) che compare in questo cd, una partitura ispirata da un racconto dello scrittore scozzese George Mackay Brown, commissionata da Sir Maxwell Davies. Un disco profondamente scozzese non solo per i richiami musicali al mondo della tradizione nordica del folk (presente soprattutto nei nove movimenti di The Singing), ma per le stesse origini della Beamish – nata a Londra ma residente in Scozia da quasi un trentennio – dello stesso Crabb e delle due orchestre coinvolte in questo progetto: la Royal Scottish National Orchestra e la National Youth Orchestra. La Scozia come fonte di ispirazione per i suoi paesaggi e la sua cultura – da un lato – e dall’altro i richiami al mondo del jazz, come spiega la stessa Beamish nel booklet del cd. Un disco interessante, pagine specchio di una curata e raffinata ricerca timbrica: ma soprattutto un’originale voce compositiva, capace di creare paesaggi sonori immersi in una luce densa di ombre e inquietudini notturne. Edoardo Tomaselli S i completa con questo cd l’integrale delle Sonate per violino e pianoforte di Beethoven. Bene hanno fatto le due interpreti a concludere il progetto con l’op. 96 (1812) la più lirica delle dieci, in sintonia per altro con lavori coevi (dalla Sonata per pianoforte op. 90 al ciclo liederistico “An di ferne Geliebte”). L’esecuzione del duo Leonardi-Dego è nell’insieme pregevole, accurata nei particolari dove più emerge il suo affiatamento quanto a scelte dinamiche e stacco dei tempi; a quest’ultimo proposito, di ottima riuscita è il finale dell’Allegro con brio della n. 7 restituito con la necessaria tensione drammatica. Decisamente amabile è la resa del tempo lento della n. 6, ma i migliori esiti artistici appartengono alla n. 10 aperta da un incipit di quattro note dal quale si distende tutta la cantabilità del primo tempo al quale forse la Dego avrebbe potuto conferire un più caldo respiro lirico pur nella perfezione del fraseggio e dell’intonazione. In compenso le variazioni conclusive del Poco allegretto finale sono una delle perle di questa esecuzione e di tutto il progetto che ha il merito di valorizzare le qualità artistiche di due tra le migliori musiciste italiane di nuova generazione. Come già nei due primi cd, qualche riserva suscita l’equilibrio dei piani sonori: nel primo era a danno del violino, nel secondo del pianoforte che anche qui, nel terzo cd, risulta spesso penalizzato. Ettore Napoli BERG, WELLESZ Lyric Suite, Sonnets by Elizabeth Barrett Browning op. 52 Renée Fleming, Emerson String Quartet Decca 1 cd (Universal) 2014, 2015 Artistico: HHHH Tecnico: HHHHH È nota la vicenda romanzesca della Suite lirica, ispirata ad Alban Berg dall’amore, inconfessato e invonfessabile, per Hanna FuchsRobettin. Assai meno noto è il fatto che per il Largo desolato che conclude il capolavoro il compositore aveva pensato a un testo da intonare, niente meno che il De profundis clamavi di Baudelaire nella traduzione di Stefan George. In questa registrazione della Suite lirica il Quartetto Emerson con Renée Fleming propone, di seguito al finale puramente strumentale della versione pubblicata nel 1927, appunto la versione vocale, in cui la presenza del soprano e della parola poetica produce un effetto di grande suggestione. La dimensione narrativa e teatrale latente della Suite lirica diviene così manifesta e permette anche uno sguardo retrospettivo nuovo sui cinque movimenti precedenti della composizione. Accoppiato alla Suite lirica è un pezzo di rara esecuzione, il ciclo Sonetti di Elisabeth Barrett Browning op. 52 (1934) di Egon Wellesz. Personalità di primo piano della cultura musicale Viennese degli anni Venti e Trenta, come Berg allievo anch’egli di Schönberg, Wellesz diverrà tuttavia più noto come storico della musica che come compositore, insegnando per decenni a Oxford. Della qualità della sua musica, organica al linguaggio dell’espressionismo e più in generale a un senso della tradizione che risale sino a Mahler e Zemlinsky, il ciclo qui interpretato con convinta trasparenza e partecipazione è una prova significativa quanto sino in fondo godibile. Cesare Fertonani BRAHMS The Songs of Brahms, vol. 6 Ian Bostridge, Graham Johnson Hyperion 1 cd (Sound and Music) 2013 Artistico: HHHHH Tecnico: HHHHH I an Bostridge è il protagonista, insieme a Graham Johnson, del sesto volume dell’integrale Hyperion dei Lieder per voce e pianoforte di Brahms. L’edizione non segue l’ordine cronologico di composizione delle liriche (anche perché l’autore incluse spesso nelle raccolte a stampa edite con numero d’opus pezzi risalenti ad anni anteriori) ma tende a raggrupparle tenendo conto piuttosto dell’ordine con cui esse furono pubblicate e di criteri musicali. Il sesto volume è costituito da due raccolte complete, Lieder und Gesänge op. 32 e Vier Lieder op. 96, e da quindici altre liriche; vi compaiono, tra l’altro, tutti e sei i Lieder su testi di Heine. Bostridge canta qui da interprete raffinato, nel segno di quella sorta di fuoco raggelato che ne contraddistingue l’arte vocale: l’impatto con la lirica di Brahms è impressionante per l’intensità e l’estensione – lungo l’intero arco della registrazione – con cui sono rese le inquietudini, le sfumature espressive, le sottigliezze di pronuncia e intonazione della linea. Addentrarsi con Bostridge nell’universo dei Lieder di Brahms è scoprire innumerevoli percorsi emozionali, sempre imprevedibili e, per così dire, a fior di pelle sotto il nitore del controllo formale. L’esito riesce tanto più memorabile se si considera che quasi nessuno dei ventotto Lieder in programma (fanno eccezione Auf dem Kirchhofe e Ständchen) appartiene al novero degli hits brahmsiani e va sottolineato il contributo di qualità decisiva della parte pianistica di Johnson. Cesare Fertonani Amadeus 101 DISCHI DAVID Herculanum LISZT Après une lecture de Liszt NIELSEN Symphonies 1-6 PÄRT Musica selecta PÄRT Passacaglia PROKOF’EV Prokofiev-Viktoria Mullova Gens, Desbayes, Montvidas, Flemish Radio Choir, Brussels Philharmonic, Hervé Niquet Edition Singulares 2 cd (Sound and Music) 2014 Artistico: HHHHH Tecnico: HHHH Giuseppe Albanese Dg 1 cd (Universal) 2015 Artistico: HHHHH Tecnico: HHHHH London Symphony Orchestra, Colin Davis Lso 3 cd (Sound and Music) 2011 Artistico: HHHHH Tecnico: HHHHH Interpreti vari Ecm 2 cd (Ducale) 1983-2011 Artistico: HHHHH Tecnico: HHHHH È R N Anne Akiko Meyers, Mdr Leipzig Radio Symphony Orchestra and Chorus, Kristjan Järvi Naïve 1 cd (Self-Tàlea) 2015 Artistico: HHHHH Tecnico: HHHHH Viktoria Mullova, Tedi Papavrami, Frankfurt Radio Symphony Orchestra, Paavo Järvi Onyx 1 cd (Milano Dischi) 2012-2014 Artistico: HHHH Tecnico: HHHH A V P A MOZART Sonate per violino e pianoforte K 303, 304, 378, 379 Caterina Demetz, Federica Bortoluzzi Movimento Classical 1 cd 2015 C hi ha detto che in Italia non esistono cameristi autentici? Che i Conservatorio non li sanno formare? Che la musica da camera, da noi, è un ripiego per solisti mancati? Prendete il duo Caterina Demetz, classe 1989 e Federica Bortoluzzi, entrambe frutti del Conservatorio di Milano, entrambe cameriste nate (la Demetz si è diplomata pure in pianoforte) e cresciute. Perché con le Sonate per pianoforte e violino di Mozart non si può barare o suonare all’incirca. Qui l’intesa è perfetta, il rilievo dei due strumenti studiato col bilancino del farmacista, il suono flessibile ed espressivo e il fraseggio vario ed eloquente. Chapeau! Cuore di questo récital (pubblicato in anteprima da Amadeus nel febbraio 2015 come cd in download, n.d.r.) risulta la Sonata in mi minore KV 304 dove il duo Bortoluzzi-Demetz attacca misteriosamente e deliba con estatica dolcezza e studiatissime pause il doloroso canto d’anime dei due movimenti. Chiarezza, profondità, tenerezza e mistero del suono, chiaro rilievo del contrappunto, smarrimenti ed aperture ad hoc. Tutto calcolatissimo eppure d’effetto spontaneo. Come nei modi della Sonata in si bemolle maggiore KV 378 dall’arioso, tenero concertante su studiatissime leggerezze e un’agogica (vedi ancora la K 304) impeccabile, con una gioia del canto ben comunicativa. Gioia di fare musica e di farla al meglio. Rara consapevolezza interpretativa tanto da sperare che questo cd, registrato ottimamente, sia il primo di un’integrale. Note senza fronzoli, al cuore dei brani di Ettore Napoli. Alberto Cantù 102 Amadeus DISCHI rima dell’Unesco e dei recenti crolli, il Vesuvio e le città sepolte di Pompei e di Ercolano non mancarono di stupire un pubblico avido di catastrofi come quello dell’Opéra di Parigi (allora Académie Impériale de Musique), abituato alle eruzioni del «formidabil monte sterminatore» fin dal finale della Muta di Portici di Daniel Auber. Su questo sublime spettacolo naturale puntarono gli astuti reggitori della grande Boutique, quando nel 1859 affidarono l’opera in quattro atti Herculanum al compositore provenzale Félicien David. Nel 1844 divenne celeberrimo, non solo in patria, per la sua odesinfonia, Le Désert, lodatissima da Berlioz e non ignota a Verdi. Herculanum esalta la fede cristiana nel contrasto con la corruzione pagana, fra palazzi fastosi e sfingi, colonne doriche e fantasie etrusche, giardini lussureggianti e falde vulcaniche minacciose. David per tutta la vita fu esiliato nel “deserto” dal successo di un genere. Una vignetta lo mostrava suonare un’arpa dalle corde spezzate, seduto sulla carcassa scheletrica di un cammello, accanto a un cartello: “Eterno deserto”. Herculanum, ripescata dall’oblio ed eseguita eccellentemente a Bruxelles, è merito della Fondazione Bru Zane di Venezia, modello culturale francese al quale dovrebbero prestare più attenzione i nostri enti lirici (fanno eccezione la Fenice di Venezia e Santa Cecilia), magari solcando il pelago immenso dei nostri compositori emigrati oltralpe. Giovanni Gavazzeni dedicato al Franz Liszt europeista ante litteram, viaggiatore e concertista moderno il nuovo cd del pianista reggino Giuseppe Albanese, che abbiamo già potuto apprezzare in passato per la profondità analitica delle sue letture musicali. Ci presenta qui un Liszt che sa trarre ispirazione ugualmente dalle manifestazioni della natura e dall’ingegno dell’uomo come dai riferimenti a Schiller, alla Commedia e al teatro musicale. Se il perno del cd è la Fantasia quasi Sonata Aprés une lecture de Dante, non a caso costruita su quell’intervallo “diabolico” evocativo dell’Inferno dantesco che è il tritono, non mancano altri nuclei tematici. Il primo è l’acqua come simbolo di vita e di fede: un percorso che parte dall’ispirazione bucolica di Au bord d’une source alla meraviglia idraulica dei Jeux d’eau à la Villa d’Este fino ad arrivare al misticismo di St. François de Paule marchant sur les flots. Il secondo è quello delle trascrizioni, da Berlioz (Danse des Sylphes), Wagner (Isoldens Liebestod) e Bellini (Réminiscences de Norma): tre pagine magnifiche che gettano uno sguardo ancor più internazionale su questa raccolta. Da ultima la Rapsodia Spagnola, che vive del contrasto tra la religiosità tormentata del Tema della Follia e la gioia popolaresca della Jota aragonese. Albanese si conferma qui interprete lucido, in grado di conferire a brani di altissimo livello ma non sempre uniformi per provenienza e ispirazione un filo conduttore di grande rigore che spinge l’ascoltatore a godersi questa registrazione tutta d’un fiato. Claudia Abbiati egistrata live nel 2011 al Barbican Center di Londra, è ora disponibile per il 150° della nascita l’integrale delle sinfonie di Nielsen, che con Grieg e Sibelius ha avuto il problema della coesistenza tra l’ingombrante influenza del sinfonismo tedesco e istanze proprie della cultura musicale nordica; prima tra tutte la tendenza al descrittivismo di paesaggi così caratteristici. È dalla Sinfonia n. 4 in poi (1916) che il compositore danese trova la soluzione, quasi filosofica, nella «rappresentazione in musica di tutto quello che pensiamo e sentiamo riguardo la vita». Musicalmente questo si traduce nel ricorso alla cosiddetta “tonalità progressiva”, ovvero al passaggio da una tonalità all’altra senza curarsi troppo delle regole dell’armonia tradizionale. Per fare questo Nielsen ricorre a un’orchestrazione ricca di effetti nell’ambito di strutture classiche (variazione, fugato, forma-sonata); sotto la guida di Colin Davis la London Symphony Orchestra il risultato di questo arduo percorso è più che eccellente. La riprova la fornisce il secondo movimento della n. 3 al quale i vocalizzi senza parole di soprano e baritono (Lucy Hall e Marcus Farnsworth) conferiscono un originale fascino idilliaco. Quasi tutte in quattro movimenti spesso collegati tra loro, le sei sinfonie devono alla Lso e a Davis se da certi passaggi, tutt’altro che rari, non emerge un certo vuoto di idee; è il caso delle variazioni conclusive della n. 6, che orchestra e direttore esaltano al meglio nonostante il ricorso del compositore a soluzioni timbriche che sfiorano l’effetto-fanfara. Ettore Napoli ella storia della musica, ci sono autori che rimandano per via diretta al contesto geografico in cui operarono. Basti pensare a Vivaldi: ascoltando la sua musica è impossibile non pensare immediatamente a Venezia, alle sue calli solitarie o al suo mare: a volte oniricamente nebbioso a volte solarmente sensuale. Tra gli autori del nostro tempo, Arvo Pärt ci appare vivamente radicato negli orizzonti della sua Estonia: da cui la sua musica sembra sgorgare naturalmente: dalle basse tundre desolate, come dalle mura scarne e geometriche delle antiche chiese ortodosse. La vena compositiva di Pärt, infatti, pare coniugare virtualmente l’ampiezza e la vastità del paesaggio, con la sobrietà e la sacralità dei templi religiosi: sentinelle di epoche e stagioni dove storia e leggende paiono confondersi nella dimensione temporale e spaziale. Quasi a riprova di tutto ciò, è il libretto allegato a questi due cd, dove le immagini prevalgono di gran lunga sul breve testo scritto. Immagini, quasi tutte scattate all’esterno in bianco e nero. I brani raccolti nei due dischi sono testimonianza importante degli ultimi decenni di attività dell'ormai 80enne compositore estone. Fra di essi ricordiamo Mein Weg del 1976 per 14 archi e percussione eseguito con affidabile interpretazione dalla Tallinn Chamber Orchestra sotto la guida illuminata di Toni Kalijuste. E poi ancora Kanon Pokjanen del 1997 dedicato agli stessi interpreti, da sempre testimoni artistici eletti della musica di Pärt. Infine segnaliamo il duetto per violino e pianoforte Fratres (1980) interpretato al meglio da Gidon Kremer e Keith Jarret. Antonio Brena scoltando la musica di Pärt viene in mente un verso di una poesia di Emily Dickinson, in cui si legge: «Preferisco venire dal silenzio per parlare...». E davvero nelle opere del compositore estone i suoni emergono rarefatti da una lontananza siderale, per muoversi nello spazio in una quasi immobilità, fatta di impercettibili e lievi mutamenti. In questo disco della Naïve si ascoltano nove diverse opere: alcune ormai entrate in un repertorio mainstream, come nel caso di Fratres, o del Credo, a fianco di altre meno conosciute, in una produzione considerevolmente vasta nonostante i periodi di silenzio creativo di Pärt, che nel 2015 ha festeggiato i suoi 80 anni. Ad interpretare questo corpus di lavori (che comprende la Passacaglia, La sindone, Festina Lente, Darf Ich, Mein Weg e Summa) c’è la Mdr Leipzig Radio Symphony Orchestra and Chorus diretta da Kristjan Järvi, con la partecipazione della violinista Anne Akiko Meyers cui è affidata la lettura di Fratres, nella versione del 1977. E in questo nuovo volume (il quarto) che Naïve dedica a Järvi e alla sua proteiforme attività di direttore d’orchestra, emergono una serie di legami familiari attorno alla musica di Pärt, da anni amico di Neeme Järvi (padre di Kristjan), ed entrambi nati nella città di Tallin. E seguendo la tradizione dei Järvi di essere i primi a eseguire i nuovi lavori di Pärt, in questo cd si ascolta anche l’ultima versione (rivista) di La Sindone, un viaggio interiore che riflette in musica uno dei grandi simboli della spiritualità cristiana. Edoardo Tomaselli iktoria Mullova, si sa, è grande interprete dei compositori russi. Non di Čajkovski, per scelta («l’impegno esecutivo è decisamente superiore alla qualità musicale del brano») ma senz’altro e con piena convinzione di Prokof’ev. Un recital di fine anni Ottanta porta una squisita, trasparente lettura della Seconda sonata con Bruno Canino in stato di grazia. Sempre per la Philips, la violinista russa ha lasciato una lettura di pieno risalto del Secondo concerto (con l’eclettico André Previn sul podio della Royal Philharmonic) assieme al Primo concerto di Dimitri Šostakovič, autore quest’ultimo particolarmente caro e congeniale all’artista moscovita. Questo nuovo disco somma alcuni live prokofiani da Francoforte. Le cose migliori sono due brani poco battuti come le Sonate per violino e due violini soli, quest’ultima registrata di recente con risultati notevolissimi anche dal Pima Duo ossia Matteo e Maddalena Pippa (Dynamic, 2014). Risaltano, nella Mullova come in un egregio Tedi Papavrami, il suono nordico, senza sole, non mediterraneo e l’intreccio delle parti è senza fallo. Meno convincente risulta la lettura del Secondo concerto. L’accuratezza della solista è quella di sempre, fuori discussione a partire dal suono immacolato mentre la bacchetta di Järvi risulta più corriva e anche l’Orchestra di Francoforte non brilla per particolare espressività. Solo informative sono le noti (trilingue) di Daniel Jeffe. Buona è la presa del suono. Alberto Cantù Amadeus 103 DISCHI SARASATE Opera Phantasies Volker Reinhold, Ralph Zedler Mdg 1 cd (Sound and Music) 2015 Artistico: HHHHH Tecnico: HHHHH V PROKOF’EV, ČAJKOVSKIJ Piano Concerto n. 2, Piano Concerto n. 1 A Beatrice Rana, Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Antonio Pappano Warner 1 cd (Warner) 2015 N on occorre essere il sommo Aldo Ciccolini per prevedere un futuro radioso a Beatrice Rana. È sufficiente averla ascoltata alla Scala con la Filarmonica nel maggio scorso, o deliziarsi con questo cd dove è spalleggiata dall’esuberante orchestra ceciliana. Sì, ma il celebre “guru” glielo diagnosticò per iscritto il futuro radioso. Le scrisse una dedica scomodando niente meno che Clara Haskil, chiamata in causa come possibile o impossibile reincarnazione della fanciulla. La piccola Beatrice aveva solo 9 anni: dovette attendere di arrivare a casa per documentarsi su chi era mai quella misteriosa signora del pianoforte nominata dal suo mentore. Oggi ne ha poco più di 20, ed è davvero molto brava. Non solo perché ha tecnica impeccabile, spessore sonoro e musicalità: soprattutto perché, malgrado la giovane età, ha qualcosa da “raccontare” con la musica. E questo non è così frequente in un mondo come il nostro dove le mani baciate dalla grazia prolificano come funghi, ma non con altrettanta rapidità le personalità e le teste. Inoltre qui affronta due Concerti da brivido in grado di massacrare gli arti superiori nel piglio battagliero col quale il pianoforte si oppone all’orchestra: l’aguzzo e vitreo Secondo di Prokof’ev (il più ostico dei suoi 5) e il celeberrimo e insidioso Primo di Čajkovskij. Pappano è un eccellente alter ego contro cui combattere; e farà piacere a Beatrice sapere che certi suoni battaglieri e assieme radiosi ci hanno ricordato quelli della dea Martha (Argerich) quando era giovane e imbronciata. Nicoletta Sguben 104 Amadeus ariazioni su un tema e Fantasie operistiche sono pane quotidiano per i virtuosi d’Ottocento, violinisti o chitarristi, pianisti, contrabbassisti o flautisti che siano. Non fa eccezione Pablo de Sarasate (1844-1908) da Pamplona che studiò 14 ore al giorno per 37 anni e mise a punto 13 Fantasie d’opera da proporre nei concerti con l’orchestra – un’orchestra invero assai sussidiaria – o nei salotti, a scopo proporzionale, col pianoforte come in questo cd e prima nei salotti parigini con ideali Fantasie et similia su opere francesi di successo: dal Faust alla Dame Blanche a Mireille a Mignon a Zampa più il Don Giovanni di Mozart. Finalmente troviamo raccolte in due cd – questo è il secondo e porta 7 brani – le Fantasie operistiche di Sarasate. Le ha curate, dalla Germania, il violinista Volker Reinhold, aria da giovanottone spigliato e strumentista spigliatissimo, solido e ben ferrato tecnicamente nuovamente in coppia affiatata con un Ralph Zedler al pianoforte ben teatrale come si conviene a questi lavori e fantasioso come di raro avviene con le parti cosiddette d’accompagnamento. Il suonare con agio e margine di Reinhold più l’eleganza di Zedler fanno risaltare a dovere la Nouvelle Fantaisie sur Faust – introduzione a cadenza, più un tenero, ben tornito e per nulla ovvio remake del «Salut, demeure» – e un Souvenir de Faust con ampia cadenza polifonica a solo e un «Salut» stavolta in linea con l’originale. Buona la presa del suono. Alberto Cantù DISCHI SCHUBERT Symphonies, Masses nn. 5-6, Alfonso und Estrella SCHUMANN, BERG Liederkreis, Frauenliebe und -leben, Sieben frühe Lieder Röschmann, Streit, Gerhaher, Berliner Philharmoniker, Nikolaus Harnoncourt Berliner Philharmoniker 8 cd + 1 blu-ray disc (Ducale) 2003-2006 Artistico: HHHHH Tecnico: HHHHH Dorothea Röschmann, Mitsuko Uchida Decca 1 cd (Universal) 2015 Artistico: HHHHH Tecnico: HHHHH È veramente possente il progetto discografico dedicato a Schubert da Harnoncourt e dai Berliner Philharmoniker. E degna dell’occasione è la realizzazione grafica di gran pregio che raccoglie otto cd e un blu-ray disc. Registrati live alla Berlin Philharmonie tra il 2003 e il 2006, i dischi si dedicano alle otto Sinfonie, alle ultime Messe (la n. 5 e la n. 6) e al melodramma Alfonso und Estrella: con la partecipazione del Rundfunckchor Berlin, nell’opera di una compagnia di canto in cui spiccano Dorothea Röschmann (Estrella), Kurt Streit (Alfonso) e Christian Gerhaher (Froila), e di altre voci di primordine nelle due Messe (come quelle di Luba Orgonášová, Bernarda Fink e Jonas Kaufmann). Il blu-ray ripropone su supporto video le medesime interpretazioni. Coinvolgendo i repertori sinfonico, sacro e teatrale, l’operazione discografica si offre come una significativa sintesi del pensiero interpretativo che Harnoncourt affida alla musica del compositore viennese e assieme come uno straordinario omaggio del direttore d’orchestra al compositore che – parole sue – sente più vicino al suo cuore, per la sua unicità, per la sua vicinanza alla morte. In tal senso, di Harnoncourt sono soprattutto significative le interpretazioni delle due Messe, che il maestro intende non come atti di devozione quanto di esplosiva potenza con cui Schubert viene a patti con la morte. Magnifici – manco a dirlo – i Berliner, in primis per compattezza e suono. Massimo Rolando Zegna I l programma del recital liederistico con Dorothea Röschmann e Mitsuko Uchida, registrato dal vivo alla Wigmore Hall di Londra, è corposo e bellissimo. Il Liederkreis op. 39 e Fraunliebe und -leben op. 42 di Schumann incorniciano i Sieben frühe Lieder di Berg, delineando un trittico dove le meravigliose liriche giovanili del futuro autore di Wozzeck rispondono a due grandi capolavori della liederistica ottocentesca. L’intesa è eccellente, forse anche perché si dispiega su un duplice piano. L’approccio interpretativo condiviso pone anzitutto in rilievo un’intensità emozionale palpitante, addirittura febbrile nei Lieder di Berg e in certi passaggi di Fraunliebe und -leben, pur senza rinunciare affatto alla finezza nella lavorazione dei dettagli di tono, pronuncia (tanto della parola musicata nel canto quanto della melodia pianistica, così decisiva in Schumann), fraseggio e dinamiche, in un esito di ispirata e vivida naturalezza reso possibile dal concerto dal vivo. Al contempo la sensibilità discreta, squisitamente cameristica della resa pianistica di Mitsuko Uchida si configura come controparte ideale al temperamento acceso e alla generosità esuberante, forse in qualche frangente anche sin troppo connotata – e caricata – in senso teatrale di Dorothea Röschmann, che tuttavia alla fine non manca di affascinare e convincere al di là delle perplessità. In fondo basterebbe ascoltare gli ultimi due Lieder di Fraunliebe und -leben per rendersi conto che si tratta di un’interpretazione magnifica. Cesare Fertonani SCHUMANN Piano Trios 1 & 2 SCHUMANN Das Paradies und die Peri SIBELIUS The Symphonies Trio Metamorphosi Decca 1 cd (Universal) 2015 Artistico: HHHHH Tecnico: HHHHH Matthews, Padmore, Royal, Fink, London Symphony Chorus, London Symphony Orchestra, Simon Rattle Lso 2 sacd (Sound and Music) 2015 Artistico: HHHH Tecnico: HHHHH Lahti Symphony Orchestra, Okko Kamu Bis 3 cd (New Arts International) 2015 Artistico: HHHH Tecnico: HHHHH A rendere la musica immortale è il genio del compositore. Rinnovarla e mantenerla viva tocca agli esecutori. Più o meno attenti nel cogliere la vera, intima, profonda musicalità insita nella pagina scritta. Il compito diventa più arduo se occorre coordinare il lavoro e lo studio con quello di altri interpreti: come avviene nella musica d’insieme. Forse anche per questo il repertorio cameristico gode di meno popolarità e passione da parte degli ascoltatori. In quanto, è molto più difficile restituire la grandezza artistica e la sottile bellezza – quasi sempre metafisica – che esprimono i trii o i quartetti dei grandi musicisti. L’ascolto di questo cd del Trio Metamorphosi è in tal senso esemplare. Il primo merito è quello di trasmettere tutta la finezza sonora e la grana poetica di quei due capolavori che sono gli schumanniani Trii con pianoforte n. 1 e n. 2, ottimamente registrati nella Fazioli Concert Hall di Sacile. Il primo, op. 63, fu eseguito la prima volta in famiglia con pochi amici nel 1847, e pochi mesi dopo presso l’editore Härtel a Lipsia, con Ferdinand David al violino, Johann Andreas Grabau al violoncello e Clara Schumann al pianoforte; mentre il secondo, op. 80, sempre a Lipsia, nel 1850 al Gewandhaus. Il violinista Mauro Loguercio, il violoncellista Francesco Pepicelli e il pianista Angelo Pepicelli riescono a fondere i rispettivi metalli pregiati in un stupefacente amalgama di musicalità, arricchito da delicatezza digitale, lungimiranza espressiva, coesione d’intenti e intelligenza dialettica. Cd assolutamente imperdibile. Antonio Brena A l di là della qualità musicale delle sue pagine e della fascinazione melodica che lo percorre, il grande oratorio di Schumann Die Paradies und die Peri rappresenta ogni volta una sfida interpretativa dal punto di vista della drammaturgia e della tenuta narrative, per non parlare della distanza che sembra allontanarlo dal gusto oggi prevalente. Occorre, in altri termini, credere sino in fondo alle qualità di questa partitura per poterla valorizzare come merita. Simon Rattle crede innanzi tutto alle intrinseche qualità musicali dell’oratorio e lo dimostra in una restituzione smagliante alla quale contribuiscono i solisti di rango (Sally Matthews, Mark Padmore, Kate Royal, Bernarda Fink, Andrew Staples, Florian Boesch), il Coro e l’Orchestra della London Symphony. Credere alle qualità di questa musica vuol dire anche divertirsi a individuare l’appropriata cifra espressiva per i diversi registri stilistici e livelli espressivi che la sostanziano: dalla prevalente impronta liederistica al trattamento neo-händeliano dei cori, dalle finezze strumentali di una scrittura quasi cameristica alla consistenza del tessuto connettivo sinfonico. A emergere in tutta evidenza, alla fine, è prima di ogni altra cosa la forza inventiva, immaginifica e sottilmente allusiva della scrittura di Schumann, di cui Rattle rende la sensuale bellezza non meno che la sapienza costruttiva in un’esecuzione dal vivo che ha la vera vividezza e la coinvolgente tensione del concerto. Cesare Fertonani N el 2015 si sono festeggiati i 150 dalla nascita di Sibelius: con la Sibelius Edition la Bis ha deciso di rendere omaggio al re dei compositori finlandesi, attraverso un progetto discografico di 13 cd in cui compare l’opera omnia. Le sette sinfonie, tutta la musica da camera, le opere corali e vocali, le pagine per pianoforte, i poemi sinfonici e il repertorio teatrale. Come tiene a specificare il booklet di questo cofanetto sinfonico, l’opera omnia si basa su registrazioni effettuate negli ultimi 28 anni, per un totale di oltre ottanta ore. Per chi ama Sibelius, c’è l’imbarazzo della scelta. Per chi invece è interessato alle sue sinfonie, qui si ascolta un’eccellente orchestra (anche lei finlandese) guidata con mano sicura da uno storico direttore finlandese, e tre dischi di eccellente qualità audio. Le sinfonie di Sibelius – ad eccezione della Prima, che per ammissione del suo autore ha un relativo legame espressivo con le sinfonie di Čajkovskij – sfuggono a qualsiasi classificazione: composte nell’arco di una ventina d’anni a partire dagli albori del 1900, vivono di un’architettura sonora che – negli anni in cui l’Europa affrontava la crisi del sistema tonale – recuperava invece gli antichi modi, vicini e affini al repertorio popolare cui Sibelius restò sempre legato. Un cofanetto che è un modo per tornare a riflettere su questo corpus sinfonico, in un percorso che muove da atmosfere tardoromantiche per ricercare una sempre maggiore semplicità espressiva, la stessa che Adorno – più a torto che a ragione – riteneva essere povera nella stesura e nell’ascolto. Edoardo Tomaselli Amadeus 105 DISCHI SKRJABIN Nuances Valentina Lisitsa Decca 1 cd (Universal) 2014 Artistico: HHHHH Tecnico: HHHHH N PUCCINI Manon Lescaut A Opolais, Kaufmann, Maltman, Muraro, Orchestra & Chorus of the Royal Opera House Covent Garden, Antonio Pappano, Jonathan Kent regia, Jonathan Haswell regia video Sony 1 dvd (Sony) 2015 O ggi quasi non ci si fa più caso a strillate come: "la migliore stagione degli ultimi cinquant’anni", "il più grande direttore pucciniano vivente" (defunti, non a caso, esclusi). Con quest’andazzo anche il superlativo, nemmeno più relativo, è sceso al valore di aggettivo qualificativo (impotente). Mai però queste affermazioni escono dalla bocca da chi avrebbe titolo o medaglie specifiche da apporsi sul petto. È il caso, per esempio di Antonio Pappano e del suo rapporto congeniale con il teatro di Puccini, testimoniato dalle numerose incisioni discografiche fra Bruxelles, Londra e Roma, e dai dvd che riportano i recenti spettacoli nel teatro dove è direttore musicale, il Covent Garden di Londra. Flagrante la statura dell’interprete nel primo capolavoro pucciniano, Manon Lescaut, grazie alla collaborazione dell’asso tenorile Jonas Kaufmann, un artista che ha tutto – leggerezza nell’approccio amoroso e resistenza drammatica – e della generosità vocale di Kristine Opolais (che bello sentire che ha ascoltato e tratto partito dalla grande Renata Tebaldi). Perfino la messa in scena, solita trasposizione attualizzante, con sovrappiù di gusto sgradevole (“trovate” come le effusioni erotiche del musico e i vegliardi libidinosi, amici di Geronte), dovuta al regista Jonathan Kent, non impedisce al fiume di passione lirica e musicale che quest’opera solleva di scuotere anche i sudditi di Sua Maestra Elisabetta II. Niente elogi questa volta, anche se il versante musicale è superlativo, ma solo per invertire la tendenza alla lauda stolida e la deriva superlativa. Giovanni Gavazzeni 106 Amadeus on è la prima volta che la talentuosa pianista russa Valentina Lisitsa afferma il suo amore musicale per Alexandr Skrjabin, compositore che nonostante la scomparsa in giovane età si è affermato come uno dei più moderni e anticonformisti tra i musicisti vissuti tra ’800 e ’900. In Nuances però la scelta di repertorio è piuttosto radicale e rivolta quasi interamente alle opere giovanili di Skrjabin, che affondano solide radici nella tradizione romantica e, in particolar modo, si nutrono del modello chopiniano. Un’eredità evidente fin dai titoli (Valzer, Notturni, Mazurche, Scherzi ecc.) per una selezione di 23 composizioni che in gran parte non riportano neppure un numero d’opera: solo in un secondo momento, a partire dal 1893, il compositore ebbe accesso alla pubblicazione. Per questo motivo i primi tra questi brani sono da considerarsi pregevoli esercizi di stile in cui uno Skrjabin allievo del Conservatorio di Mosca cercava di trovare la propria voce personale evolvendola dallo stile di Chopin. La maturazione lo portò a scrivere i suoi primi esempi di Poemi (op. 41 e op. 59), che preludono senz’altro allo sviluppo dei tre grandi Poemi orchestrali, e tra i brani selezionati dalla Lisitsa c’è anche una versione alternativa del celebre Studio op. 8 in re diesis minore, meno “esplosiva” di quella oggi più conosciuta ma di pari interesse. L’interprete valorizza questo repertorio poco noto caratterizzando ogni pagina con le sue proprie peculiarità di virtuosismo o intimismo e conferendogli la vitalità che merita. Claudia Abbiati DISCHI SUK Asrael Symphony, A Summer’s Tale THUILLE Violin Sonatas, Cello Sonata, Trio for Violin, Viola & Cello Orchester der Komischer Oper Berlin, Kirill Petrenko Cpo 3 cd (Sound and Music) 2002, 2004 e 2006 Artistico: HHHH Tecnico: HHHHH Frank-Immo Zichner, Mark Gothoni, Ulrich Eichenauer, Peter Hörr Cpo 1 cd (Sound and Music) 2011 Artistico: HHHH Tecnico: HHHH J osef Suk (1874-1935) è stato tra i più importanti compositori cechi del primo Novecento, oltre che fondatore – e secondo violino – del leggendario Quartetto Boemo. Oggi la sua cospicua produzione – soprattutto strumentale – è pressoché sconosciuta fuori dai confini della Repubblica Ceca, schiacciata da quella di Dvořák da un lato e di quella di Janáček dall’altro, ma è indubbio che contenga composizioni di un certo interesse. Negli anni trascorsi alla direzione della Komische Oper di Berlino (2002-07), Kirill Petrenko ha inciso diversi pezzi sinfonici di Suk, ora qui riuniti in tre cd: l’ouverture Il racconto d’inverno op. 9 (da Shakespeare), la Sinfonia “Asrael” op. 27, i poemi sinfonici Un racconto d’estate op. 29 e Maturazione op. 34. Completa il programma delle registrazioni il poema sinfonico Il lago incantato op. 62 di Ljadov. Petrenko ha mano felice nella concertazione di partiture dalla sontuosa orchestrazione, che sa restituire con trasparenza e al contempo profondità di spessore; la determinazione degli equilibri tra le sezioni e il gusto per le tinte degli impasti denota una non comune sensibilità per l’articolazione espressiva del suono che va oltre la generica ricerca dell’effetto e della brillantezza fine a se stessa. Del resto anche la cura del fraseggio e degli altri dettagli appare condotta e realizzata con un’autorevolezza che non ha alcunché di sforzato e artificioso per perseguire la massima naturalezza espressiva. Cesare Fertonani N el 1907 moriva a Monaco di Baviera Ludwig Andrä Maria Thuille, bolzanino di nascita (1861) ma di originai savoiarde (La Thuile, appunto) e tedesco d’adozione (Innsbruck, Monaco), allievo di un allievo di Bruckner e di Rheinberger, il maestro solidissimo di Wolf-Ferrari, il «Puccini tedesco» come disse (esagerando) Gatti-Casazza del Met, l’artista in schietta amicizia con Richard Strauss che gli dedica il Don Juan e dirige a Meiningen la Sinfonia in fa maggiore dove il pubblico tributa a Thuille un gran successo. Al compositore bolzanino-savoiardotedesco la benemerita Cpo dedica una serie di cd (Sinfonia in fa maggiore, Concerto per pianoforte, Quartetti col pianoforte) sino al nostro doppio album cameristico diviso fra Sonate per violino op. 1 e op. 30 (1880; 1894) e violoncello op. 22 (1901-2) e il Trio (1885) senza numero d’opus. La Sonata op. 22, tradizionalissima e tonalissima – due temi e sviluppo – vede nell’Allegro pianoforte e violoncello cantare in pienezza con entrambi i temi e uno stile concertante il cui empito Strauss certo ammirò. L’Adagio è un recitativo che si intenerisce via via. Il Finale, una danzetta contrappuntistica con variazioni e una gran bella scrittura pianistica (Thuille era pianista). Accattivante è anche il Trio con la viola mentre più deboli sono le Sonate violinistiche: la giovanile e quella matura pur congegnata ad arte. Gli interpreti sono bene affiatati ed eccellenti, come la registrazione. Note accurate in tedesco e in inglese. Alberto Cantù ČAJKOVSKIJ The Nutcracker MOZART Don Giovanni PUCCINI La Fanciulla del West Salenko, Walter, Iseki, Staatsballett Berlin, Staatliche Ballettschule Berlin, Orchestra and Children’s Choir of the Deutsche Oper Berlin, Robert Reimer, Vasily Medvedev & Yuri Burlaka coreografia (da Petipa e Ivanov), Andy Sommer regia video BelAir 1 dvd (Ducale) 2014 Artistico: HHHH Tecnico: HHHH Mattei, Terfel, Netrebko, Frittoli, Filianoti, Prohaska, Kočan, Coro e Orchestra del Teatro alla Scala, Daniel Barenboim, Robert Carsen regia, Patrizia Carmine regia video Dg 2 dvd (Universal) 2015 Artistico: HHHHH Tecnico: HHHH Stemme, Kaufmann, Konieczny, Orchestra e Coro della Wiener Staatsoper, Franz Welser-Möst, Marco Arturo Marelli regia, Felix Breisach regia video Sony 1 dvd (Sony) 2013 Artistico: HHHH Tecnico: HHHH N essun colpo d’ala verso l’eccentrico nello Schiaccianoci prodotto dallo Staatsballett di Berlino nel 2014. L’allestimento tedesco propone coreografia, scenografia e costumi basati sulla versione storica nata dalla collaborazione tra Petipa e Čajkovskij per i Teatri Imperiali di San Pietroburgo. Il celeberrimo balletto natalizio torna a essere quindi uno spettacolo di puro intrattenimento. Eppure, la qualità del successo dello Schiaccianoci è lì, nel nocciolo di quella sublime sintesi tra lo Schiaccianoci e il re dei topi di Hoffmann in rilettura alleggerita per il diletto dei ballettomani, una magistrale elaborazione coreografica e drammaturgica nel codice della danza classica e della pantomima, una scenografia festosa, e una musica capace di riverberare i più ineffabili sensi anche laddove il gesto ballettistico si fa maniera e decorativismo; ciò da cui, cioè, in un momento d’oro per l’arte coreutica, scaturì quel capolavoro della rappresentazione, in forma di danza teatrale ottocentesca, della semplicità gioiosa, dei sogni, delle paure del mondo infantile, vitale motivazione e felice evasione all’esistere degli adulti. E proprio nel segno di questa essenza lo Staatsballett di Berlino fa rivivere lo Schiaccianoci, con i coreografi Vasily Medvedev e Yuri Burlaka, la giovanissima Elena Iseki nel ruolo di Clara, e l’affiatato duo Iana Salenko e Marian Walter. Ida Zicari R egistrata live alla Scala in occasione della prima della stagione 2011-2012, è resa ora finalmente disponibile una delle più belle edizioni degli ultimi anni del dramma giocoso di Mozart; in realtà si tratta del riversamento in dvd della diretta Rai. La regia video di Patrizia Carmine valorizza al meglio l’allestimento (semiscenico) di Carsen di teatro nel teatro in quanto funzionale, come sempre dovrebbe essere, allo sviluppo drammaturgico della partitura, che, come è (purtroppo) costume, è un mix tra l’edizione di Praga (1787) e quella di Vienna (1788); il montaggio delle riprese video, infatti, consente di apprezzare da un lato scenografia, costumi e movimenti di scena dall’altro la resa musicale e teatrale dei protagonisti con inquadrature che vanno dalla figura intera al primo piano. Esempi probanti sono, tra i tanti, l’aria di Donna Anna «Non mi dir bell’idol mio» della splendida Netrebko (delle tre voci femminili di gran lunga la migliore) e tutto il finale secondo. Il dvd conferma per altro la qualità artistica di tutto il cast, dove oltre al soprano russo spiccano Mattei per colore della voce e presenza scenica e Barbara Frittoli, in grande forma anche come attrice (l’aria del catalogo). L’unica riserva è forse per Terfel, che già dall’iniziale «Giorno e notte faticar» gigioneggia. La lettura dei titoli di testa infine è compromessa da una modesta qualità grafica. Ettore Napoli L a sintesi del ritorno della Fanciulla del west di Puccini all’Opera di Vienna nel 2013 (alla sua prima viennese, cent’anni prima, la partitura entusiasmò Webern) potrebbe essere quello di una grande occasione perduta. L’opera non tollera che uno solo dei suoi elementi portanti azzoppi il tavolo. Veniamo con ordine. Il regista (scenografo e light-designer) Marco Arturo Marelli trasloca l’azione nel west contemporaneo, rispettando perfettamente la drammaturgia prevista da Puccini (salvo la mongolfiera arcobaleno su cui si allontanano gli amanti). La coppia di protagonisti è ideale: la Stemme (salopette di jeans e capelli color ciliegia a parte) ha gran resistenza per sostenere la pesantezza della tessitura di Minnie; e Kaufmann con il suo carisma scenico-vocale trasforma Johnson/Ramireez nel coprotagonista dell’opera. Potente vocalmente, ma squarquoio il baritono Konieczny, che non ha nulla del sarcasmo cinico e dell’amarezza dello sceriffo biscazziere deluso. La nota dolente viene dal direttore d’orchestra, Welser-Möst, al quale è affidata una partitura straordinaria, che Dimitri Mitropoulos diresse senza voci per dimostrarne l’unicità. Egli smorza, appiattisce, livella tutto, senza slanci, senza cambi di passo drammatici, senza privilegiare né il melos né la preziosità dello strumentale, squadrato ritmicamente, atono nei coloriti. Più che nel West siamo nella terra (interpretativa) di nessuno. Giovanni Gavazzeni Amadeus 107 ILVINILE DISCHI L’opera F A Wiener Philharmoniker, Carlos Kleiber Deutsche Grammophon 1 lp (Universal) 1975, 1976 ire che questo è uno dei dischi più importanti di sempre è affermare un’ovvietà, ma anche assolvere a un piacere/dovere. Poco più di un anno e mezzo dopo aver registrato per Dg la Quinta Sinfonia di Beethoven con i Wiener Philharmoniker nella Musikvereinssaal di Vienna (tra il marzo e l’aprile 1974), il quarantacinquenne Carlos Kleiber incise la Settima (tra il novembre 1975 e il gennaio 1976): stessa orchestra e stesso luogo; ingegnere del suono Klaus Scheibe. Con l’avvento del cd, riunite su un unico disco, le due registrazioni hanno vissuto per anni un'esistenza di coppia – dioscuri del Beethoven-pensiero di Kleiber – con la Quinta che ha in una certa misura posto in ombra la Settima. Con il recente rilancio del supporto lp, l’interpretazione di Kleiber della Settima (masterizzata e impressa su vinile di alta qualità di 180 grammi) riacquista la sua autonomia e, forse, anche un giudizio più lucido. Sulla composizione ha scritto in maniera illuminante Maynard Solomon in L’ultimo Beethoven. Lo studioso individua nell’opera un impulso rinascimentale; un complesso, immaginifico e a tratti incantatorio utilizzo dei metri poetici greci come sorgenti generatrici della partitura; un punto culminante del progetto di rinnovamento della Sinfonia classica attraverso la ricostruzione fantasiosa dell’antico mondo pagano; un’opera che spazza via i residui dello stile sinfonico classico, pur trattenendone i contorni, sostituendo il gaio razionalismo apollineo con una retorica dionisiaca capace di rappresentare stati estremi dell’essere (bacchici, estatici, orgiastici) propri di quelle cerimonie a cui tali metri si presumeva fossero associati; e, quindi, un sentiero verso l’estasi o un regno sacro. Alla luce di ciò risulta profetica la tesa e dettagliata interpretazione di Kleiber, proprio per quella sua capacità di evocare un mondo neo-antico intriso di energia inarrestabile, saturo di implicazioni dionisiache, dirompente e selvaggiamente infuocato, tagliente soprattutto nei fiati e pregno d’instabilità e ipnotica ebrezza. Massimo Rolando Zegna 108 Amadeus imperdibili George Gershwin Rhapsody in Blue BEETHOVEN Symphonie Nr. 7 D DISCHI ROSSINI La donna del lago VERDI Macbeth DiDonato, Florez, Barcellona, Osborn, The Metropolitan Orchestra and Chorus, Michele Mariotti, Paul Curran regia, Gary Halvorson regia video Erato 2 dvd (Warner) 2015 Artistico: HHHHH Tecnico: HHHHH Lucic, Netrebko, Pape, Calleja, The Metropolitan Opera Orchestra & Chorus, Fabio Luisi, Adrian Noble regia, Gary Halvorson regia video Dg 2 dvd (Universal) 2014 Artistico: HHHH Tecnico: HHHH U C na volta tanto un regista ha piena ragione e realizza quanto predica, senza partecipazione di drammaturgie appiccicate all’uopo. Paul Curran che firma, insieme a Kevin Knight (scene e costumi) la messa in scena della Donna del lago di Rossini alla Metropolitan Opera, riconosce che la ragion d’essere di quest’opera è il “belcanto”, profuso a far tremare le vene delle quattro formidabili “parti” di Elena (la radiosa Joyce DiDonato), del re Giacomo sotto le mentite spoglie del cacciator Uberto (il rossiniano principe Juan Diego Flórez), dei guerrieri Rodrigo (il gagliardissimo John Osborn) e Malcolm (la possente Daniela Barcellona). Oggi il reparto tenorile è straordinariamente munito, come dimostra la prova altrettanto strepitosa di Osborn nella complessa sortita e nella grande scena del duello pirotecnico alla fine del secondo atto. Il pubblico del Met reagisce con ovazioni imponenti, trionfali, a questa tenzone di virtuosismi, ai quali si associano due stelle del voltaggio della DiDonato e della Barcellona. Curran inserisce la cornice del soggetto di Walter Scott sulla solida terra della Scozia tardocinquecentesca, spiegando bene cosa succede. Protagonisti i cantanti, assecondati con convinzione da Michele Mariotti, che ha potuto contare sul coro sempre in perfetto appiombo, istruito da Donald Palumbo, sulla sontuosa banda e sugli splendidi corni fuori scena, e sull’orchestra ritmicamente appuntita e doviziosa in ogni settore del Met. Giovanni Gavazzeni hi si è stupito della prova verdiana di Anna Netrebko nella parte di Giovanna d’Arco, ancora non l’ha sentita come Lady Macbeth, ruolo impervio che di solito è affidato a soprano drammatici o a mezzosoprani sfogati. Anche il mito, risalente a Verdi, che vorrebbe una voce “brutta” per dare corpo alla disumanità della sua ambizione omicida, viene smentito. È possibile sentire una voce sontuosa e doviziosa in tutti i registri come quella della Netrebko, disegnare un personaggio credibile, senza atteggiamenti satanici e grinta indemoniata. Una voce così “bella” vale il biglietto della serata. Il pubblico del Met giustamente le regala ovazioni trionfali a conclusione di tutte le arie e le sue cabalette. Il successo non è lesinato a nessuno, nemmeno a un baritono dalla recitazione primitiva e monocorde come Lucic. Eccellente il Banquo di Pape (con solo difetto nell’eliminazione delle doppie consonanti) e intenso il Macduff di Joseph Calleja, nonostante il “vibrato” disturbante. Regia (Adrian Noble) molto rispettosa dei tempi e della teatralità verdiana (e shakespeariana), eccellente nel manovrare il coro, sebbene i costumi maschili di area balcanico-cetnica e quelli femminili di area britannicasecondo dopoguerra non abbiano contribuito all’omogeneità della messa in scena. La sempre sfavillante orchestra del Met e il suo superbo coro, istruito da Don Palumbo, erano diretti con preciso controllo e vigore misurato da Fabio Luisi. Giovanni Gavazzeni E mblema dell’incontro controverso e affascinante tra canzone, jazz e tradizione colta e al contempo immagine musicale per eccellenza dell’America dei Roaring Twenties e di un’epoca che Francis Scott Fitzgerald raccontò come «età del jazz», la Rhapsody in Blue per pianoforte e orchestra (1924) fu decisiva per il suo autore. Sino a quel momento, George Gershwin era stato soltanto un eccellente autore di canzoni; dopo Rhapsody in Blue sarebbe diventato un compositore a tutto tondo, forse il più famoso degli Stati Uniti. Commissionato da Paul Whiteman come esperimento di “jazz sinfonico” per avvicinare il grande pubblico al concerto e all’opera, il pezzo fu scritto in fretta da Gershwin in una stesura per due pianoforti con accenni di strumentazione e orchestrato dall’arrangiatore di Whiteman, Ferde Grofé: il che non sorprende sia per l’inesperienza allora dell’autore come orchestratore sia per la divisione di competenze, nel mondo del musical, tra compositore e arrangiatore. Della Rhapsody in Blue Grofé realizzerà tre versioni successive per organici via via più ampi: alla prima, per jazz band, del 1924 – con l’aggiunta di una sezione di violini ai fiati, alle percussioni e al banjo del complesso di Whiteman – seguirà la seconda nel 1926 e poi la terza pubblicata nel 1942 (è quella per orchestra sinfonica abitualmente eseguita sino al 1976, quando Michael Tilson Thomas con la Columbia Jazz Band registrò per la prima volta la ricostruzione della versione originale utilizzando per la parte solistica un rullo inciso dallo stesso Gershwin nel 1925). È comunque importante ricordare che in occasione della prima esecuzione (New York, 12 febbraio 1924) di questo pezzo, in cui la forma e il processo compositivo sono determinati dai temi e dalle sottili relazioni che li legano nonché dalle tecniche della ripetizione e della variazione proprie della canzone, Gershwin improvvisò alcuni passaggi non ancora formalizzati nella scrittura. ascoltata da Cesare Fertonani Ogni mese un critico racconta un capolavoro e le sue incisioni più belle Leonard Bernstein (a destra) con Michael Tilson Thomas André Previn Le registrazioni T ra le innumerevoli registrazioni della Rhapsody in Blue, alcune (oltre a quella già menzionata di Tilson Thomas) appaiono particolarmente significative. Consideriamo anzitutto le registrazioni di due pianisti-direttori, Leonard Bernstein e André Previn, entrambi non a caso musicisti poliedrici e anche autori, come Gershwin, di commedie musicali e canzoni di grande successo. Sontuosa per intenzioni e attenzioni interpretative, l’interpretazione di Bernstein con la Columbia Symphony Orchestra (Cbs, 1959) lavora a fondo sulla natura propriamente rapsodica del lavoro: è una meraviglia di morbidezze nella flessibilità di tempi mai troppo mossi e improntati anzi a un comodo ed effusivo lirismo, nella individuata e rigogliosa bellezza dei timbri strumentali, nel gusto per una resa quanto più espressiva e antivirtuosistica della parte pianistica. Non meno raffinata è l’interpretazione di Prévin con la London Symphony Orchestra (Emi, 1971). Qui la Rhapsody in Blue appare meno un potpourri di temi memorabili che una forma saldamente organizzata, seppure secondo criteri diversi rispetto a quelli eurocolti: all’esecuzione smagliante dell’orchestra corrisponde la brillantezza del pianismo di Previn, che mette splendidamente in luce i riferimenti multiculturali della scrittura di Gershwin, dallo stride e dal novelty (evoluzioni del ragtime) all’autentica improvvisazione jazzistica, dal charleston a Rachmaninov. Straordinaria, infine, l’interpretazione di Stefano Bollani con l’Orchestra del Gewandhaus di Lipsia diretta da Riccardo Chailly (Decca, 2010). La scelta di ricorrere alla versione originale del 1924 è del tutto funzionale a una lettura dai comportamenti e dai colori strumentali più vividi, dunque una lettura più fresca, meno “sinfonica” e “retorica”, che si giova della personalità esuberante e delle specifiche doti di jazzista di Bollani, naturalmente portato a tratti a improvvisare con bravura, ironia, sensibilità. Amadeus 109 CALENDARIO febbraio Notizie sempre aggiornate su www.amadeusonline.net In queste pagine pubblichiamo, compatibilmente con lo spazio disponibile, esclu­sivamente i programmi che arrivano alla nostra redazione per posta, fax o e-mail all'indirizzo [email protected] entro il giorno 20 di due mesi prima dell’uscita del numero; ad esempio, il 20 febbraio si chiude la raccolta dei materiali per il numero di aprile B Como  Teatro Sociale 27 Beethoven, Brahms, Braga; vlc. L. Piovano, pf. A. Pappano Info: teatrosocialecomo.it Bari  Teatro Petruzzelli 2 Mozart, Le nozze di Figaro; dir. M. Maucoin, reg. C. Muti 24, 25, 26, 27, 28 Verdi, Nabucco; dir. R. Böer, reg. J. Franconi Lee Info: fondazionepetruzzelli.it Cremona  Teatro Ponchielli 1 Mendelssohn, Mozart; vl. G. Pieranunzi, pf. M. Baglini 12 Bacalov, Cervantes, Piazzolla; pf. L. Bacalov, bandoneón J. Mosalini, cb. G. Tommaso, perc. D. Bacalov 26 Mozart, Poulenc, Cara; pf. B. Lupo e B. Rana, Orch. I Pomeriggi Musicali, dir. C. Rovaris Info: teatroponchielli.it Bergamo Società del Quartetto  Auditorium della Libertà 1 Boccherini, Donizetti, Elgar e a.; vl. L. Degani, vl.e dir. M. Belli 8 Chopin; pf. C. Mun 15 Donizetti; Quartetto Donizetti 22 Schubert, Beethoven, Dvořák; Quartetto Noûs 29 Schumann, Dvořák, Pisendel e a.; vl. In Mo Yang, pf. Y. Rafalimanana Info: quartettobergamo.it Bologna  Teatro Comunale 6, 7 Beethoven; Orch. del Teatro Comunale, dir. M. Mariotti 10 Mozart; Orch. del Teatro Comunale, dir. F. Biondi 17, 18, 19, 20, 21 Without & La strada; Ballet de lʼOpéra National du Rhin 25, 26, 27, 28 Avitabile, Vangelo. Opera contemporanea; reg. P. Delbono Info: tcbo.it  Auditorium Manzoni 8 Stravinskij, Čajkovskij, Brahms e a.; pf. K. Labèque e M. Labèque 15 Čajkovskij; vl. B. Belkin, Filarmonica del Teatro Comunale, dir. G. Gelmetti 22 Musorgskij, Čajkovskij, Rachmaninov; pf. D. Matsuev Info: auditoriumanzoni.it 110 Amadeus Il pianista Giuseppe Albanese in concerto il 31 per Ferrara Musica Bolzano  Auditorium 2 Glinka, Prokof’ev, Čajkovskij; pf. A. Toradze, dir. A. Volmer 6 Bach; Hofkapelle München, vl. e dir. R. Lotter 23 Mozart, Britten, Beethoven; s. A. Komsi, dir. J. López Cobos C Cagliari 18 Beethoven; vlc. M. Brunello, pf. A. Lucchesini 15 Kerschbaumer, Kodály, Brahms; Trio Greifer, dir. D. Giorgi Info: teatrocomunale.bolzano.it  Teatro Lirico 5, 6 Beethoven, Dvořák; Orch. del Teatro Lirico di Cagliari, dir. G. Bisanti 8 A Little Nightmare Music; vl. A. Igudesman, pf. R. Hyung-ki Joo 12, 13 Beethoven, Borodin, Šostakovič; Orch. del Teatro Lirico di Cagliari, dir. H. Albrecht 19, 20 Beethoven; Orch. del Teatro Lirico di Cagliari, dir. M. Mazza Info: teatroliricodicagliari.it Brescia Catania  Teatro Grande  Teatro Massimo Bellini 28 Cara, Mozart, Poulenc; pf. B. Lupo e B. Rana, Orch. I Pomeriggi Musicali, dir. C. Rovaris Info: teatrogrande.it 6 Ravel, Fedele, D’Amico; vl. F. D’Orazio, vlc. N. Fiorino, pf. G. Nuti 12, 13 Mozart; cl. D. Brlek, dir. G. Neuhold 19, 20 Brahms; Orch. del Teatro Massimo Bellini, dir. X. Zhong Info: teatromassimobellini.it  Conservatorio F Ferrara Ferrara Musica  Luoghi vari 13 Mendelssohn; Chamber Orchestra of Europe, dir. Y. Nézet Séguin 31 Liszt; pf. G. Albanese Info: ferraramusica.it Firenze  Opera 2, 7 Falla, El amor brujo; Granados, Goyescas; dir. G. García Calvo, reg. A. De Rosa 3 Ullmann, L’imperatore di Atlantide ovvero Il rifiuto della morte; dir. R. Misto, reg. P.P. Pacini 4 Rossini, Boccherini/Berio, Beethoven; Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino, dir. G. García Calvo 5 Poulenc, La voix humaine; Puccini, Suor Angelica; dir. X. Zhōng, reg. A. De Rosa 11 Bizet; Cantanti e pianisti dell’Accademia del Maggio Musicale Fiorentino 12, 13 Zappa, Adams, Ravel e a.; Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino, dir. J. Axelrod 24, 25, 26, 27, 28 Bizet, Les Pêcheurs de perles; dir. R. McAdams, reg. F. Sparvoli Info: operadifirenze.it Amici della Musica  Teatro della Pergola 1 Haydn, Hindemith; Quartetto Zehetmair 6 Beethoven, Brahms; Quartetto Schumann 7 Grieg, Schubert, Janáček; Quartetto Schumann 13 Chopin, Skrjabin; pf. L. Lortie 14 Dvořák, Brahms; pf. L. Lortie, Quartetto Panocha 20 Schumann, Liszt, Rachmaninov; pf. D. Matsuev 21 Strauss, Schubert, Cras e a.; Ensemble Amarcord 22 Beethoven; pf. A. Lucchesini, vla. Isabel Villanueva, Quartetto di Cremona 27 Szymanowski, Strauss; pf. E. Pace, vl. L. Kavakos 28 Bermel, Ives, Kern e a.; v. C. Zavalloni, pf. E. Arciuli, vl. G. Pieranunzi, vlc. S. Downes Info: amicimusica.fi.it G Genova  Teatro Carlo Felice 2, 3, 6, 7 Mozart, Don Giovanni; dir. C. Poppen, reg. R. Cucchi 5 Prokof’ev, Mozart; Orch. del Teatro Carlo Felice, dir. C. Poppen 12, 13, 14, 16 Prokof’ev, Roméo et Juliette; cor. A. Preljocaj 18, 19, 20, 21 Lloyd Webber, Cats; reg. T. Nunn 26 Saint-Saëns, Falla; vl. In Mo Yang, mzs. A. Vestri, Orch. del Teatro Carlo Felice, dir. A. Chauhan Info: carlofelicegenova.it J Jesi  Teatro G.B. Pergolesi 2 Lebrun, Vivaldi, Mozart e a.; ob. F. Di Rosa, vl. e dir. A. Cervo 18 Schubert, Mozart; vl. L. Bortolotto, Orchestra Filarmonica Marchigiana, dir. H. Soudant 29 Rossini, Molinelli; s. M. Aleida, Orchestra Sinfonica G. Rossini, dir. D. Agiman Info: fondazionepergolesispontini.com L La Spezia  Teatro Civico 2 Brahms, Schubert; pf. A. Volodos 25 Glazunov, Ligeti, Barber e a.; Signum Saxophone Quartet Info: fondazionecarispezia.it Lucca  Teatro del Giglio 6, 7 Lehár, La vedova allegra; dir. N. Paszkowski, reg. F. Sparvoli Info: teatrodelgiglio.it Lugano  LAC 2 Schubert, Beethoven e a.; pf. M. João Pires e M. Popovic 8 Schubert, Beethoven, Rachmaninov; vlc. N. Shugaev, pf. F. Alieva 20 Castello, Marini, Corelli e a.; Ensemble Claudiana 26 Beethoven, Ravel; Cuarteto Casals 27 Beethoven, Berg; Quartetto Arcanto 28 Bartók. Beethoven; Jerusalem Quartet Info: luganolac.ch M Macerata  Teatro Lauro Rossi 8 Beethoven, Grieg, Ravel; vl. L. Marzadori, pf. O.J. Laneri 19 Debussy, Poulenc, Saint-Saëns; I Solisti di Santa Cecilia Info: appassionataonline.it foto: Giampiero Bianchi Milano  Teatro alla Scala 1 Wagner; mzs. W. Meier, pf. J. Breinl 2, 4 Brahms; s. C. Tilling, br. H. Müller-Brachmann, dir. B. Haitink 3, 5, 7, 10, 12, 13 Händel, Il trionfo del Tempo e del Disinganno; dir. D. Fasolis, reg. J. Flimm 6 Verdi, Rigoletto; dir. M. Franck, reg. G. Deflo 9, 11, 14, 16, 18, 19, 20, 24 Čajkovskij, Lo schiaccianoci; cor. N. Duato 21 Ensemble Strumentale Scaligero 22 Beethoven, Verdi, Liszt e a.; R. Buchbinder, dir. G. Prêtre 25 Verdi, I due Foscari; dir. M. Mariotti, reg. A. Hermanis Info: teatroallascala.org Filarmonica della Scala  Teatro alla Scala 8 Dvořák, Brahms; pf. M.A. Hamelin, dir. H. Jacob 15 I. Strauss, R. Strauss; vl. L. Kavakos, dir. D. Harding (14 prove aperte) Info: filarmonica.it Masterclass di violino barocco e classico a cura di Enrico Onofri Napoli 21, 22 aprile 2016 Le attività didattiche del centro proseguono per l’intero anno e si articolano nei seguenti percorsi k Masterclass di canto barocco a cura di Sara Mingardo k Laboratorio di tecnica e interpretazione vocale a cura di Maria Ercolano k Progetto “Quartet in Residence” a cura del Quartetto d’archi Gagliano k “Liberi di Cantare” Coro della Pietà de’ Turchini Coro di Voci bianche di San Rocco Per approfondimenti www.turchini.it/it/attivita/didattica/ laVerdi  Auditorium Fondazione Cariplo 4 Beethoven; Coro sinfonico di Milano Giuseppe Verdi, pf. M. Baglini 7 Morricone, Berio, Schubert e a.; v. P. Buttafuoco, pf. N. Carusi 12, 14 Mendelssohn, Beethoven; Orch. Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi, dir. P. Inkinen 13 Campogrande; Orch. Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi, dir. C. Tenan 18, 19, 21 Paisiello, Rossini; Orch. e Coro Giuseppe Verdi, dir. C.P. Flor 26, 28 Wagner, Brahms; Orch. Sinfonica di Milano G. Verdi, dir. J. Bignamini Info: laverdi.org I Pomeriggi Musicali  Teatro Dal Verme 4, 6 Cacciatore, Copland, Haydn e a.; cl. A. Carbonare, Orch. I Pomeriggi Musicali, dir. A. Cadario 11, 13 Ravel, Debussy, Lemut; Orch. I Pomeriggi Musicali, pf. e dir. M. Zanini 18, 20 Vacca, Haydn, Pergolesi; Orch. I Pomeriggi Musicali, dir. V. Moretto 21 Bach; Orch. di Archi dei Pomeriggi Musicali, pf. e dir. R. Bahrami, 25, 27 Cara, Mozart, Poulenc; pf. B. Lupo e B. Rana, Orch. I Pomeriggi Musicali, dir. C. Rovaris Info: ipomeriggi.it San Fedele Musica  Auditorium 2 fisarm. e laptop S. Zanchini, vl. e live electronics E. Manera 20 pf. J.-L. Plouvier Info: centrosanfedele.net Bocconi Musica  Università 11 Liszt, Skrjabin, Stravinskij; pf. A. Gadjiev 25 Bach, Beethoven, Schumann; pf. L. Buratto Info: unibocconi.it Serate Musicali  Conservatorio 1 Čajkovskij, Gershwin; pf. R. Cappello 8 Scarlatti, Bach, Beethoven; pf. A. Hewitt 15 Mendelssohn, Schumann, Weinberg; Kremerata Baltica, dir. G. Kremer 22 Kurtág, Bach; vlc. S. Isserlis 26 Scarlatti, Mozart, Beethoven; pf. E. Aversano 29 vl. L. Kavakos, pf. E. Pace Info: seratemusicali.it Società del Quartetto  Conservatorio 2 Prokof’ev, Šostakovič, Smetana; Quartetto Pavel Haas 16 Schubert, Beethoven; pf. M.J. Pires e L. Grigoryan 23 Bach; s. A. Lewandowska, a. A. Potter, t. T. Hobbs, b. e dir. S. MacLeod Info: quartettomilano.it Milano Classica  Palazzina Liberty 6 Mozart, Galante, Paganini; vl. P. Sacco, vlc. A. Shimura, chit. E. Della Chiara 12 Chopin; pf. S. Marchegiani 14 Debussy, Gemelli, Schumann; pf. G. Caruso 21 Corelli, Locatelli, Vivaldi e a.; Orch. da Camera Milano Classica 28 Brahms; Le Cameriste Ambrosiane Info: orchestramilanoclassica.it 17 Rondò 2016  Teatro Litta 5 Cutting, Servière, Covello e a.; pf. M.G. Bellocchio, Divertimento Ensemble, dir. S. Gorli  Libreria Utopia 11 L’avventura del comporre; A. Solbiati Info: divertimentoensemble.it Maria João Pires in concerto il 2 al LAC di Lugano 21, 23, 24, 26, 27, 28 Bellini, Norma; dir. N. Santi, reg. L. Amato Info: teatrosancarlo.it Fondazione Pietà de’ Turchini  Chiesa di San Rocco a Chiaia 6, 13 Ensemble La.Vi.Co 28 L. Amitrano  Palazzo Zevallos Stigliano 20 Ensemble Divino Sospiro Info: turchini.it Padova  Teatro Comunale Amici della musica  Auditorium Pollini 8 Schubert; t. W. Güra, pf. C. Berner 18 Schubert; cl. M. Caldarini, fag. M. Fattori, cor. E. Bognetti, cb. A. Piccioni 23 Chopin, Liszt, Busoni e a.; v. G. Giannini, pf. G. Bellucci Info: amicimusicapadova.org N Napoli  Teatro San Carlo 2, 3 Lehár, La vedova allegra; dir. A. Eschwé, reg. F. Tiezzi 6, 7 Beethoven, Strauss; pf. R. Buchbinder, dir. R. Weikert “Giampaolo Coral Award” dal 29 al 31 ottobre 2016 DEADLINE 1 MARZO 2016 Primo Premio € 5.000,00 Secondo Premio € 1.000,00 P Modena 19, 21 Donizetti, Lucia di Lammermoor; dir. S. Ranzani, reg. H. Brockhaus 22 Mozart, Schubert; vl. e dir. A. Martini, cl. A. Carbonare 27 Mahler, Beethoven; br. A. Luongo, Filarmonica Arturo Toscanini, dir. S.A. Reck Info: teatrocomunalemodena.it PREMIO TRIO DI TRIESTE dedicato alla COMPOSIZIONE per TRIO e QUARTETTO con pianoforte e archi Talenti al Tempio  Tempio Valdese di Milano 12 Idyllen; fl. A. Vizziello, pf. A. Marangoni, armonium G. Piovani Info: musicaaltempio.it Incontri Musicali  Castello Sforzesco 27 dir. P. Beier Info: fondazionemilano.eu CONCORSO INTERNAZIONALE Palermo  Teatro Massimo 19, 20, 21, 24, 26 Verdi, Attila; dir. D. Oren, reg. D. Abbado 24, 25, 26 Corrado, Babbelish; reg. OperAlchemica Info: teatromassimo.it Duo Lavrynenko-Guliei Premio Trio di Trieste 2015 Associazione Chamber Music 34121 Trieste - Italy - via S. Nicolò 7 Tel. +39 040 3480598 - Fax +39 040 3477959 www.acmtrioditrieste.it - [email protected] accademia FONDAZIONE PAOLO GRASSI MARTINA FRANCA del 2016 belcanto Rodolfo Celletti LABORATORI DI STUDIO E WORK EXPERIENCE in collaborazione con il 42° Festival della Valle d’Itria TECNICA, STILE E INTERPRETAZIONE NEL BELCANTO ITALIANO Direttore Fabio Luisi TRE SESSIONI 16-24 marzo 26 aprile-3 maggio 7-29 giugno MATERIE DI STUDIO Fonetica e dizione Studio dello spartito Masterclass d’interpretazione Arte e tecnica del recitativo, della vocalità seicentesca, della variazione, della coloratura belcantista e barocca Dinamica respiratoria Cultura della professione del cantante lirico Analisi del personaggio Tecnica attoriale e recitazione Fisiologia e igiene dello strumento Applicazione di stile: dal barocco alla vocalità nella musica contemporanea INFORMAZIONI, BANDO E ISCRIZIONI www.fondazionepaolograssi.it tel. +39 080 4306763 [email protected] Parma  Auditorium Parco della Musica  Teatro Regio 18, 19, 20, 21 Rossini, L’occasione fa il ladro. O l’occasione fa l’artista; dir. A. D’Agostini, reg. A. Cigni 23 Chopin; pf. G. Sokolov 27, 28 Les Ballets Trockadero de Monte Carlo Info: teatroregioparma.it 1, 2 Glazunov, Šostakovič, Rachmaninov; vl. A. Tifu, Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, dir. Y. Temirkanov 5 Lully; Accademia Barocca di Santa Cecilia, Coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, dir. F.M. Sardelli 6, 7, 8, 9, 10, 11, 13, 14 La parola canta; Toni & Peppe Servillo 6, 8, 9 Šostakovič, Prokof’ev, Beethoven; pf. E. Ax, Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, dir. P. Heras-Casado 7 Šostakovič, Prokof’ev; Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, dir. P. Heras-Casado 12 Beethoven; vl. R. GonzalezMonjas, pf. K. Armstrong 13, 15, 16 Mozart; Orchestra e Coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, dir. C. Carydis 14 Mozart; Orchestra e Coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, dir. C. Carydis 18 Beatlestory 20 Essenze Jazz Event 20, 22, 23 Mozart, Brahms; pf. B. Lupo, Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, dir. J. van Zweden 24 Rachmaninov, Schumann, Liszt; pf. D. Matsuev 28 Bryan May & Kerry Ellis 27, 29 Stravinskij, Haydn; Orchestra e Coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, dir. S. Oramo Info: auditorium.com Pavia  Teatro Fraschini 11 Liszt; pf. G. Albanese 13, 14 Benatzky, Al cavallino bianco; dir. R. Catino 24 Fresu; tr. P. Fresu, bandoneon Daniele Di Bonaventura Info: teatrofraschini.it Pisa  Teatro Verdi 2 Schumann; Trio Metamorphosi 9 Gershwin, Anderson, Rota e a.; Orchestra della Toscana, dir. T. Brock 20, 21 Lehár, La vedova allegra; dir. N. Paszkowski, reg. F. Sparvoli 23 Mozart, Turina, Beethoven; Quartetto Voce Info: teatrodipisa.pi.it Pordenone  Teatro Verdi 14 Shohat; dir. G. Shohat 16 Jazz Loft 19 Balletto del Teatro Nazionale di Gyor 24 Kabalevskij, Šnitke, Šostakovič; vlc. D. Maselnnikov, pf. N. Kudritskaia Info: comunalegiuseppeverdi.it R Ravenna  Teatro Alighieri 5, 7 Rossini, Il turco in Italia; dir. G. Di Stefano, reg. F. Bertolani 13 Schumann; vlc. A. Gerhardt, Orchestra Leonore, dir. D. Giorgi 14 vl. A. Iannucci Cecchi, vlc. C. Sette, pf. M. Tongiorgi 18 Franck, Bach, Brahms; pf. F. Colli 21 mzs. V. Vanini, pf. M. Santià 22 Locatelli, Corelli, Vivaldi; Europa Galante, dir. F. Biondi 28 Tosti; s. V. Cortesi, pf. N. Carusi Nicola Benedetti in concerto il 27 all’Università La Sapienza di Roma 29 Debussy, Chopin; pf. N. Goerner Info: teatroalighieri.org Reggio Emilia  Teatro Municipale Valli 5 Beethoven; Mahler Chamber Orchestra, dir. D. Gatti 15 Schubert, Beethoven; pf. M.J. Pires e L. Grigoryan 27 Bach; pf. P. De Maria Info: iteatri.re.it Roma  Teatro dell’Opera 11, 13, 14, 16, 17, 18, 20, 21 Rossini, Il barbiere di Siviglia; dir. D. Renzetti, reg. D. Livermore 12, 19 Rossini, La Cenerentola; dir. A. Pérez, reg. E. Dante 26, 27, 28 Grandi coreografi; Orchestra, Étoiles, Primi Ballerini, Solisti e Corpo di Ballo del Teatro dell’Opera, dir. D. Garforth Info: operaroma.it IUC  Aula Magna Università Sapienza 2 Bach, Scarlatti, Beethoven; pf. A. Hewitt 6 Ensemble Micrologus 13 Beethoven; Quartetto di Cremona 16 Satie, Debussy, Poulenc e a.; s. L. Windsor, I Cameristi del Maggio Musicale Fiorentino, pf. e dir. A. Ballista 27 Szymanowski, Beethoven, Elgar; vl. N. Benedetti, pf. A. Grynyuk Info: concertiiuc.it Accademia Filarmonica Romana  Luoghi vari 4 Mozasrt, Beethoven; v. S. Cappelletto, Quartetto Prometeo 12 Sciarrino, Telli, Jolivet e a.; fl. G. Megna 18 Pasolini: Roma\Spagna; v. S. Lombardi, A. Volpetti, R. Misiti, vl. F. D’Orazio, fisarm. S. Convertino, reg. F. Tiezzi 25 Bach, Schubert, Brahms e a.; vlc. M. Maisky, pf. L. Maisky 26 Fedele, Costa, Berio e a.; vl. F. Severini Info: filarmonicaromana.org È Musica Eliseo  Teatro Eliseo 7 Rimskij-Korsakov, Piazzolla, Gershwin e a.; Cecilia Wind Orchestra, dir. G. Pocoroba 14 Vivaldi, Händel, Jommelli e a.; Orchestra Barocca del Conservatorio S. Cecilia, dir. L. Mangiocavallo 28 Mozart, Vivaldi; Orchestra Barocca del Conservatorio S. Cecilia, dir. G. Lanzetta Info: teatroeliseo.com STAGIONE CONCERTISTICA 2016 La Chamber Music al Ridotto SALA VICTOR DE SABATA DEL TEATRO VERDI DI TRIESTE AL RIDOTTO ALLE ORE 18 LUNEDÌ 18 GENNAIO 2016 ORE 18 S Mario Ancillotti flauto Yuval Gotlibovich viola Jasna Corrado Merlak arpa musiche di Debussy e Ravel Siena GIOVEDÌ 18 FEBBRAIO Micat in Vertice  Palazzo Chigi Saracini 20 Stefano Battaglia Trio Info: chigiana.it VENERDÌ 18 MARZO T Torino  Teatro Regio 9, 10, 11, 12, 14, 16, 17, 18, 20, 21 Puccini, Tosca; dir. R. Palumbo, reg. D. Abbado 13 Verdi, Wagner; Orchestra e Coro del Teatro Regio, dir. R. Abbado 25, 26, 27, 28 Lloyd Webber, Cats; reg. T. Nunn Info: teatroregio.torino.it Filarmonica  Conservatorio 16 Brahms, Beethoven, Kernis; dir. A. Mayer Info: oft.it Belenus Quartett (quartetto d'archi) musiche di Haydn e Beethoven Herbert Duo (pianoforte e violino) musiche di Mozart, Beethoven e Stravinsky LUNEDÌ 31 OTTOBRE 15° FESTIVAL PIANISTICO “Giovani interpreti & grandi Maestri” LUNEDÌ 19 SETTEMBRE ORE 20.30 Evgeni Koroliov “L'inesauribile immaginazione” musiche di J.S. Bach e Beethoven LUNEDÌ 26 SETTEMBRE Antonii Baryshevskyi “L'Esprit de joie” musiche di Chopin, Debussy, Ligeti, Messiaen LUNEDÌ 3 OTTOBRE Philippe Cassard - Cedric Pescia (pianoforte a 4 mani) Duo Lavrynenko - Guliei (pianoforte e violoncello) “Dialogo a due, poesia sonora” musiche di Mobilio, Prokof'ev, Coral e Schnittke musiche di Mozart, Brahms e Schubert 12° SALOTTO CAMERISTICO LUNEDÌ 18 APRILE ORE 20.30 Enrico Dindo violoncello I Solisti di Pavia musiche di Sibelius, R. Strauss, Rossini, Vivaldi e Haydn LUNEDÌ 10 OTTOBRE Alexander Gadjiev I Virtuosi Italiani “Il diritto di ridere e il turbamento doloroso” musiche di Shostakovich LUNEDÌ 17 OTTOBRE LUNEDÌ 2 MAGGIO François-Joël Thiollier “I riferimenti patriottici e la nostalgia” musiche di J.S. Bach, Chopin, Rachmaninov e Gershwin LUNEDÌ 9 MAGGIO Auguri di Natale 2016 LUNEDÌ 16 MAGGIO Sala dell'Iniziativa Centro Europea via Genova 9 LUNEDÌ 23 MAGGIO Alexandra Conunova violino musiche di J.S. Bach, Ysaÿe e Paganini. Duo Banciu - Goicea (pianoforte e violino) musiche di Beethoven, Prokof'ev e R. Strauss Josef Suk Piano Quartet I Virtuosi Italiani musiche di Haydn e Mozart Duo Lavrynenko - Guliei (pianoforte e violoncello) musiche di Beethoven, Schubert e Franck. Filarmonica del Festival Pianistico Internazionale di Brescia e Bergamo Pier Carlo Orizio direttore Sonia Formenti flauto Tatiana Alquati arpa musiche di Mozart e Čajkovskij concerto straordinario fuori abbonamento LUNEDÌ 19 DICEMBRE ORE 18 Associazione Chamber Music - 34121 Trieste - Italy - via S. Nicolò 7 Tel. +39 040 3480598 - Fax +39 040 3477959 www.acmtrioditrieste.it - [email protected] STAGIONE CONCERTISTICA 2015-2016 11A EDIZIONE Progetto artistico Paolo Fazioli, Elena Turrin Organizzazione Fazioli Pianoforti SpA I Concerti del Lingotto  Auditorium Giovanni Agnelli 4 Beethoven; dir. D. Gatti 29 Dvořák, Čajkovskij; Czech Philharmonic Orchestra, pf. K. Gerstein, dir. J. Bělohlávek Info: lingottomusica.it Venerdì 6 novembre 2015 Venerdì 12 febbraio 2016 RACHEL NAOMI KUDO JOSEF SUK PIANO QUARTET pianoforte —— Haydn, Debussy, Barber, Chopin Venerdì 20 novembre 2015 JIN JU pianoforte ALEXANDRA CONUNOVA violino QUINTETTO DE I VIRTUOSI ITALIANI ALBERTO MARTINI violino LUCA FALASCA violino FLAVIO GHILARDI viola LEONARDO SAPERE violoncello SANTE BRAIA contrabbasso RADIM KRESTA violino EVA KRESTOVÁ viola VÁCLAV PETR violoncello VÁCLAV MÁCHA pianoforte —— Mozart, Jirácˇková, Brahms Venerdì 26 febbraio 2016 YUN DI pianoforte —— Chopin, Schumann, Beethoven Venerdì 18 marzo 2016 FAZIL SAY —— Schubert, Chausson pianoforte —— Mozart, Say Venerdì 4 dicembre 2015 Venerdì 15 aprile 2016 BORIS PETRUSHANSKY MARC-ANDRÉ HAMELIN pianoforte —— Chopin, Skrjabin Venerdì 15 gennaio 2016 pianoforte —— Mozart, Hamelin, Debussy, Schubert LUDOVICA RANA Venerdì 29 aprile 2016 BEATRICE RANA pianoforte violoncello pianoforte —— Schumann, Brahms, Rachmaninov Venerdì 29 gennaio 2016 MARIA JOÃO PIRES KAITO KOBAYASHI pianoforte —— Haydn, Beethoven ILIA KIM pianoforte Introduzione all’ascolto di Piero Rattalino Musica e pittura: visionari e simbolisti nella letteratura pianistica —— Franck, Rachmaninov, Liszt, Beethoven Please visit us at our 116 Amadeus Stand E20 in Hall 9.0 FAZIOLI CONCERT HALL SACILE (PN) Informazioni e biglietteria: tel. 0434 72026 / 72576 int. 3 [email protected] www.fazioliconcerthall.com Rai NuovaMusica  Auditorium Rai “Arturo Toscanini” 5 Sciortino, Mosca, Fedele e a.; pf. L. Mosca, dir. M. Angius 12 Britten, Panfili, Ligeti e a.; fl. A. Barletta, ob. F. Pomarico, dir. J. Webb 19 Vacchi, Dean, Kurtág; vlc. F. Dillon, pf. E. Torquati, dir. O. Elts Info: lingottomusica.it Taranto Amici della Musica  Luoghi vari 6 Euridice e Orfeo; M. Riondino, F. Fracassi 10 Igudesman & Joo 25 v. G. Giannini, pf. G. Bellucci Info: amicidellamusicataranto.it Treviso  Teatro Comunale 11 Stefano Battaglia Trio 16 Brahms, Bach, Beethoven; pf. H. Schuch 28, 29 Pierino e il lupo vegetariano; dir. D. Basso Info: teatrispa.it Trieste  Teatro Verdi 2, 4, 6 Bellini, Norma; dir. F.M. Carminati, reg. F. Tiezzi Info: teatroverdi-trieste.com Società dei Concerti  Teatro Verdi 3 Brahms; Trio di Parma, cor. G. Pellarin 17 vlc. J. Hagen, pf. C. Opalio 24 Schubert; M. Goerne, pf. A. Schmalcz Info: societadeiconcerti.it V Venezia  Teatro La Fenice 1 Haydn, Mozart, Dvořák; Quartetto Mucha 3 Verdi, Stiffelio; dir. D. Rustioni, reg. J. Weigand 5, 6, 7, 9, 10, 11 Verdi, La traviata; dir. D. Rustioni, reg. R. Carsen  Teatro Malibran 4 Hazon, Agenzia matrimoniale; Wolf-Ferrari, Il segreto di Susanna; dir. E. Calesso, B. Morassi 7, 9, 11, 12, 13 Hervé, Les chevaliers de la table ronde; dir. C. Grapperon, reg. P.A. Weitz 15 Liszt; pf. G. Albanese 22 Dvořák; Quintetto Barutti 27, 28 Bruckner; Orchestra del Teatro La Fenice, dir. E. Inbal 29 Fauré, Carrara, Dvořák; Orchestra Filarmonica della Fenice, pf. M.Carbonara, dir. E. Strausser Info: teatrolafenice.it Verona TVCINEMACINEMATVTVCINEMACINEMATV CINEMA Doppio appuntamento nel mese di febbraio in tutte le sale del circuito UCI Cinemas. Si comincia il 4 con una delle produzioni più popolari della Royal Opera House: La traviata nell’allestimento tradizionale di Richard Eyre. In questa messa in scena Violetta ha la voce del soprano russo Venera Grimadieva, che debutta alla Royal Opera House dopo la fortunata apparizione, sempre nei panni della protagonista, al Glyndebourne Festival (distribuzione QMI). Secondo appuntamento l’11 con la diretta del Trovatore dall’Opéra di Parigi. Cast stellare con Anna Netrebko, Ludovic Tézier, Marcelo Àlvarez ed Ekaterina Semenchuk. La direzione è di Daniele Callegari, la regia di Àlex Ollé (distribuzione Rising Alternative). Info: ucicinemas.it Joyce DiDonato, Romeo nei Capuleti e Montecchi di Bellini, il 13 febbraio su Classica HD TELEVISIONE Classica HD (Sky 138) offre anche per il mese di febbraio un ricco calendario di appuntamenti: si comincia il 2 con il Werther di Massenet; la regia è dello statunitense Robert Tannenbaum, che riambienta la vicenda negli anni ’50. A dar voce all’amore impossibile tra il giovane Werther e Charlotte sono Keith Ikaia-Purdy  e Silvia Hablowetz. Il 9 è la volta del Tannhäuser di Wagner in una recente edizione del Liceu di Barcellona; la sorprendente regia di Robert Carsen mette l’accento suli tormenti interiori del protagonista dell’opera, interpretato da Peter Seiffert. Il 13 spazio al belcanto con uno dei titoli cardine del melodramma: I Capuleti e i Montecchi di Bellini, capolavoro amato e temuto dalle grandi voci, scrigno di gemme musicali disseminato d’insidie tecniche. A dare voce ai personaggi di Giulietta e Romeo, in questa edizione registrata alla San Francisco Opera con la direzione di Carlo Frizza, sono infatti due star come Nicole Cabell e Joyce DiDonato. Il 25 da non perdere I due Foscari in diretta dal Teatro alla Scala, una nuova produzione con Plácido Domingo. Direzione di Michele Mariotti e regia di Alvis Hermanis. Info: mondoclassica.it Su Rai5 segnaliamo, il 4, l’appunta‑ mento con Petruška: Michele dal­ l’Ongaro incontra Zubin Mehta per ripercorrere le tappe della sua straordinaria carriera, iniziata a Bombay ascoltando l’orchestra fondata dal padre autodidatta. Il 6, con La Vita Nova, comincia il Ciclo Piovani, 5 puntate in cui si valorizza la collaborazione tra il compositore e la Compagnia della Luna. Info: rai5.rai.it  Teatro Filarmonico 2, 4, 7 Rossini, La Cenerentola; dir. S. Rolli, reg. P. Panizza 13, 14 Mendelssohn, Rutter; vl. G.A. Zanon, dir. G. Bisanti 18, 19, 20, 21 Barber, Kreisler, Bach e a.; vl. A. Tifu, Orchestra e Corpo di Ballo dell’Arena di Verona, dir. V.H. Toro 27, 28 tr. M. Longhi, dir. M. Boemi Info: arena.it/filarmonico/it Vicenza  Teatro Comunale 5 Haydn, Mozart, Beethoven e a.; pf. M. Perahia 10 Bach, Kraus, Beethoven; Orchestra del Teatro Olimpico, dir. F.M. Sardelli 15 Brahms, Dvořák; Quartetto Panocha, pf. L Lortie 22 Schubert; br. M. Goerne, pf. A. Schmalcz Info: tcvi.it Amadeus 117 www.fazioli.com www.proradiotv.com ADDII Fu direttore per quasi 30 anni della Gewandhausorchester di Lipsia. Poi New York. Un Kapellmeister imponente e austero, testimone del '900 Kurt Masur Brzeg (Polonia) 18 luglio 1927 Greenwich (Usa) 19 dicembre 2015 MANI NUDE E NOBILE TRISTEZZA P er capire la grandezza di un artista come Kurt Masur, scomparso il 19 dicembre scorso all’età di 88 anni, bisognava scrutare nei suoi occhi, perennemente offuscati da un velo di nobile tristezza. Masur infatti ha vissuto da vicino tutti i drammi del Novecento. Appena indossata la divisa, il giovane Masur ha assistito al tragico tramonto del suo mondo. Era nato in una cittadina della Slesia sulle rive dell’Odra, Brieg, passata dopo il conflitto alla Polonia. L’ultimo inverno di guerra fu orribile, con la maggior parte degli abitanti in fuga o morti per gli stenti e le incursioni nemiche. Dopo la resa, i pochi tedeschi rimasti vennero evacuati e la città ripopolata con i profughi polacchi dell’Est. L’unica nota positiva per Masur, in mezzo a questa catastrofe, fu di continuare gli studi musicali a Lipsia. Una malformazione al mignolo gli aveva precluso la speranza di diventare un pianista, ma la direzione d’orchestra si rivelò una felice alternativa. Il nome di Masur è legato in maniera indissolubile all’Orchestra del Gewandhaus, che ha diretto dal 1970 al 1997, malgrado sia passato alla storia come il Maestro dell’11 settembre. Masur ha vissuto a Lipsia il periodo più ostico della “guerra fredda”, riuscendo a preservare la reputazione della venerabile istituzione. Grazie al suo prestigio, convinse i politici del regime a costruire la nuova sala del Gewandhaus e soprattutto a scongiurare, nella crisi del 1989, un bagno di sangue e la guerra civile. Basterebbe questo per scolpire il nome di Masur nella storia del Gewandhaus, ma sono soprattutto i meriti artistici a giustificare il primato del loro sodalizio. Il Gewandhaus di Masur ha incarnato un ideale etico del far musica insieme, che trova nel repertorio sinfonico corale del grande Ottocento romantico il suo apice artistico. Ogni musicista dell’orchestra e del coro sa di partecipare a un evento in cui la comunità conta molto di più dell’espressione individuale. La qualità del singolo è concepita come una sorta di dovere morale, a cominciare dal direttore d’orchestra, responsabile supremo di questo afflato collettivo. Dopo la caduta del Muro, la New York Philharmonic, il cui glamour era decisamente appannato, si rivolse a questo Kapellmeister venuto da un altro mondo per cercare un rilancio artistico indispensabile. In dieci anni Masur riuscì a riportare l’orchestra nel cuore dei newyorkesi e la prova più toccante di questo ritrovato legame fu il Deutsches Requiem di Brahms in memoria delle vittime dell’11 settembre, pochi giorni dopo l’attentato, concerto che il Times definì «la sua ora più bella e un dono alla città». Alieno da forme di protagonismo e di narcisismo, Masur ha interpretato il ruolo di sommo civil servant musicale, con uno spirito francescano riconoscibile già nel costume di dirigere a mani nude. In questi tempi stracolmi di nanerottoli presuntuosi, ci sia di conforto la figura imponente e austera di Masur, il suo sguardo severo e infiammato, il suo stile energico e privo di orpelli. Oreste Bossini “Portarono la notizia in città e per la campagna; la gente andò a vedere ciò che era avvenuto.” (Marco 5, 14) Frequenza principale: FM 94.8 Radio Marconi è l’unica che ti garantisce ogni mattina 5 ore di rassegna stampa, con 2 ore dedicate alla tua città e alla Lombardia. Notiziario informativo ogni mezz’ora e tante rubriche utili e di servizio. Una radio senza parole inutili. 118 Amadeus www.radiomarconi.info PAROLA E MUSICA Redazione, Amministrazione e Ufficio Pubblicità Via Lanzone 31, 20123 Milano tel. 02 4816353, fax 02 4818968 e-mail: [email protected] P.IVA 08567100964-CCIAA Milano 2034091 Gaetano Santangelo Direttore responsabile [email protected] AMADEUSONLINE.NET Riccardo Santangelo [email protected] Paola Molfino Caporedattore [email protected] PUBBLICITÀ amadeusonline.net Collaborazione redazionale Massimo Rolando Zegna [email protected] IL DISCO E IL DOWNLOAD Andrea Milanesi Responsabile artistico [email protected] GRAFICA E IMPAGINAZIONE Dario Codognato - Ivana Tortella [email protected] redazione.amadeus@ belviveremedia.com Progetto grafico Maurizio Bignotti con la collaborazione di Elisabetta Mancini Hanno collaborato: Claudia Abbiati, Valentina Bonelli, Oreste Bossini, Antonio Brena, Emilia Campagna, Alessandro Cannavò, Alberto Cantù, Federico Capitoni, Valerio Cappelli, Guy Cherqui, Michele dall'Ongaro, Carlo Delfrati, Pietro Dossena, Franco Fayenz, Cesare Fertonani, Giovanni Gavazzeni, Ambrogio Maestri, Gianluigi Mattietti, Piero Mioli, Giordano Montecchi, Gregorio Moppi, Ettore Napoli, Annamaria Pellegrini, Giorgio Pestelli, Paolo Petazzi, W. Edwin Rosasco, Emilio Sala, Luisa Sclocchis, Biagio Scuderi, Giuseppe Scuri, Nicoletta Sguben, Edoardo Tomaselli, Ida Zicari, Sara Zurletti Fotografie: Marco Anelli (6,7); Rocco Casaluci (36); Roberto Cifarelli (30, 31); DeA Picture Library (51, 52); Decca (66, 67); James Ewing (9 - 12); Mat Hennek/Deutsche Grammophon (54-57); Alain Julien (77); Yasuko Kageyama/Opera di Roma (62-64); Dean Lakic (33); Daniele Lanci (37); Takashi Lijima (36); Giusi Lorelli (38); Wolfgang Michalowski (68); Lidia Montanari (26-29); Opera di Roma (38); Marcello Orselli (46); Alessandro Pinna (40); Lulia Wesely (69). Illustrazioni: Jolanda Codognato (88); Nadia Cumbo (83) DIREZIONE FUTURO. Simona Riva [email protected] tel. 02 4816353 - 347 8175905 ABBONAMENTI (Italia ed Estero) www.amadeusonline.net/abbonamento [email protected] Oppure: (lu-ve 9.00/13.00-14.00/18.00) tel. 02 252007200 fax: 02 252007333 e-mail: [email protected] www.miabbono.com ARRETRATI Per richiedere gli arretrati telefonare al n. 02 4816353 (lu-ve 9.00/13.00-14.00/18.00) email: [email protected] facebook.com/ Amadeus.Rivista Potete effettuare acquisti collegandovi al sito shop.amadeusonline.net STAMPA twitter.com/ AmadeusOnlineIT TECNOSTAMPA S.R.L. Via Brecce, 60025 Loreto (AN) Distributore esclusivo per l'Italia SO.DI.P. Spa via Bettola, 18, 20092 Cinisello Balsamo (Milano) Periodico registrato al Tribunale di Milano 186/19-03-1990 w w w. d o c s e r v i z i . i t 120 Amadeus [email protected] tel. 045/8230796 LA CONVERSAZIONE 1° CONCORSO PIANISTICO “LA PALMA D’ORO” Lella Costa C parole che cambiano la percezione del rapporto tra i due. E a quel punto non si può non sentire un brivido di emozione». Da una parte l’opera, dall’altra i cantautori. «Non voglio essere nostalgica, ma è incontestabile che certi protagonisti della mia generazione siano sopravvissuti e piacciono anche ai giovani di oggi. Una delle mie figlie, 19 anni, mi ha detto tempo fa: ho scoperto un gruppo meraviglioso, devi ascoltarlo. Erano i Doors…». on quella leggera ironia che l’accompagna nella vita, Lella Costa usa un ossimoro per manifestare l’amore verso la musica. «È la mia partner nei monologhi teatrali. Con lei ho una relazione costante e paritaria: le riconosco un’autonomia di narrazione». L’attrice ha avuto un’educazione musicale «inconsapevole e passiva». «Ho cominciato a studiare il pianoforte a 5 anni e ho smesso a 6… Ma mio nonno era un violinista, mia mamma è diplomata al Conservatorio e si mette alla tastiera anche adesso che ha 90 anni. Mio fratello insegna musica. Certo che però quando a Milano mi hanno assegnato il premio “Una vita per la musica” mi veniva da ridere. Figuriamoci, ero accanto a Luciana Savignano…». Eppure basterebbe il bellissimo e fortunato spettacolo su Traviata per giustificare il riconoscimento. «In effetti mi dicono che ho orecchio… la musica mi ha molto giovato nella recitazione. Allo scorso Maggio Musicale Francesco Micheli mi ha voluta a tutti i costi come voce recitante del Candide di Bernstein. Mi toccava parlare in inglese anche sui pattini a rotelle… Ogni volta che mi capita di fare qualcosa di musicale per me è una festa». L’opera è stata per Lella Costa un incontro dell’età adulta «prima ci fu l’innamoramento per i cantautori». Ma con il melodramma si è creato subito un legame speciale, attraverso le sue forti figure femminili. «Trovo che nella lirica il ruolo delle donne sia quasi sempre risolutivo, c’è una pariteticità con l’uomo che non esiste nella letteratura. Penso a Traviata, Carmen, Tosca, Norma, Manon. Ma la mia opera di riferimento è il Don Giovanni. La dichiarazione d’amore totale che Don Ottavio esprime nella splendida aria “Della sua pace/ la mia dipende/ quel che a lei piace/ vita mi rende…” è una valorizzazione 122 Amadeus Per l'attrice la musica è narrazione: il melodramma, i cantautori, e oggi la tromba di Paolo Fresu. Sognando Paolo Conte dell’universo femminile con pochi uguali». Nei suoi spettacoli Lella ha sempre collegato il discorso sulle donne all’ “intelligenza del cuore”. «Quella di Violetta, che assume chiaramente nell’opera di Verdi un ruolo di leader nella relazione con Alfredo. Fino a quando lei spiega come si può andare avanti, lui ce la fa; quando lei compie il patto scellerato con Germont padre lui non ce la fa più… C’è da riflettere sul sostanziale analfabetismo sentimentale del mondo maschile… Pensiamo alla potenza del detto e non detto musicale e verbale: “Amami Alfredo quant’io t’amo…” poche Da una parte l’opera, dall’altro il mito antico. Per il suo prossimo spettacolo, Human, scritto con Marco Baliani, Lella Costa attingerà alla leggenda di Ero e Leandro. Ogni sera il giovane Leandro attraversava a nuoto lo stretto dell’Ellesponto per raggiungere sull’altra sponda l’amata Ero che lo aiutava nel tragitto con una lanterna. Ma una sera una tempesta spense la luce e Leandro morì tra i flutti. «Mi servirà per ragionare sulle migrazioni contemporanee e su che cosa parliamo oggi, quando parliamo di umano e di umanità». Dopo Fossati per Magoni e Bollani per Ragazze, ad accompagnarla in questo nuovo viaggio ci sarà la musica del jazzista Paolo Fresu. Debutto a Cagliari in giugno, poi il Ravenna Festival e da ottobre il tour. Resta a Lella Costa un desiderio ancora non realizzato. Fare uno spettacolo con Paolo Conte. «Ma lui è talmente importante come musicista, come scrittore e come amico che questo può bastare». di Alessandro Cannavò [email protected] SAN BENEDETTO DEL TRONTO 20 - 22, Maggio 2016 PRESIDENTE DI GIURIA Riccardo Risaliti DIREZIONE ARTISTICA Lorenzo Di Bella SEZIONE A CATEGORIE | SEZIONE A 4 MANI PREMIO PIANISTICO NAZIONALE “LA PALMA D’ORO” CONTATTI Info artistiche: tel. +39 348 344 2958 Info organizzative: tel. +39 348 652 0772 Info & iscrizioni: [email protected] www.palmaoro.it sponsored by Eiffel VANGELO, OPERA CONTEMPORANEA PIPPO DELBONO DIRETTORE GABRIELE DI IORIO, REGIA PIPPO DELBONO