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Capitolo 58

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TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 58 - MECCANISMI DI DEGRADO NEI VEICOLI IN AMBIENTE SPAZIALE CAPITOLO 58 58. MECCANISMI DI DEGRADO NEI VEICOLI IN AMBIENTE SPAZIALE Situazioni critiche per l'operatività di un sistema spaziale (veicolo o satellite) possono derivare dalla variazione delle proprietà meccaniche dei componenti impiegati, quali ad esempio l'assottigliamento o infragilimento dei materiali destinati a sopportare sollecitazioni meccaniche oppure la rottura e asportazione di materiale di protezione termica. Sinossi I materiali impiegati su veicoli spaziali e satelliti ed in particolare sulle superfici esterne, sono soggetti a numerose situazioni che possono indurre degradazione. Queste situazioni includono l'esposizione a radiazioni fotoniche o di particelle cariche, a temperature estreme o cicli termici (che comportano comunemente per un veicolo orbitante variazioni a +/- 100 °C), a impatti da micrometeoriti o detriti, a contaminazioni e a ossigeno atomico. I potenziali danni indotti dall'ambiente spaziale variano ampiamente a seconda del materiale e dell'ambiente operativo. Le variabili ambientali includono i parametri orbitali della missione, la durata, i cicli solari ed i relativi eventi, l'orientamento delle superfici rispetto al sole e rispetto al vettore velocità nelle missioni in bassa orbita (LEO - Low Earth Orbit). Ciascuna missione ha il proprio caratteristico insieme di condizioni di esposizione che deve essere compreso per la selezione dei materiali da impiegare o per l'interpretazione dei fenomeni degradativi osservati. Così, ad esempio, mentre missioni orbitali LEO richiedono attenta considerazione agli effetti dell'ossigeno atomico, missioni in alta orbita o interplanetarie richiedono maggiore attenzione agli effetti di radiazioni o di particelle ad alta energia. Le proprietà fondamentali per la funzionalità di un sistema spaziale comprendono l'integrità strutturale e le proprietà termo-ottiche delle superfici esterne. Le temperature operative di un sistema spaziale sono affidate anche ai valori di assorbanza ed emissività termica delle superfici esterne, cioè alla capacità delle superfici di assorbire o irradiare energia termica. La variazione delle proprietà termo-ottiche può causare una variazione delle temperature del sistema spaziale o di alcuni suoi componenti. La perdita di trasmittanza attraverso i materiali di protezione di celle solari, ad esempio a seguito di contaminazione, può determinare una riduzione della resa dei generatori di energia e della potenza dell'intero sistema. L'esposizione a radiazioni spaziali di conduttori elettrici può indurre degradazione nei materiali di isolamento elettrico, in genere polimerici. Lo studio dei fenomeni degradativi di materiali spaziali può essere affrontato sia mediante esposizioni reali in ambiente spaziale che in prove a terra. Tuttavia, la Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633. G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 1 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 58 - MECCANISMI DI DEGRADO NEI VEICOLI IN AMBIENTE SPAZIALE difficoltà di recuperare materiali dopo missioni nello spazio e/o di discriminare l'effetto combinato di diversi meccanismi di degrado rende a volte problematica la prima soluzione. D'altra parte, prove in laboratorio, eventualmente accelerate incrementando i livelli di esposizione ad ambiente aggressivo, consentono di separare gli effetti di diversi meccanismi di degrado, ma richiedono complesse calibrazioni e valutazioni accurate per potere interpretare i fenomeni e simulare correttamente il reale effetto dell'ambiente spaziale. maggiore concentrazione. La Figura 58.1 riporta la densità delle specie gassose in atmosfera a diverse altitudini. Tutti i materiali possono subire fenomeni di degrado in ambiente spaziale; tuttavia certamente i materiali polimerici e i relativi compositi sono quelli maggiormente suscettibili in questo senso. I materiali polimerici tipicamente impiegati per queste applicazioni, grazie alla loro superiore compatibilità con ambienti critici, sono le polimmidi termoplastiche o termoindurenti, i polimeri fluorurati, le epossidiche, i polimeri siliconici. Figura 58.1 - Densità di gas atmosferici a diverse altitudini. In questo capitolo vengono descritte le specifiche cause di pericolo soprattutto nel caso di superfici e strutture esterne esposte ad ambiente spaziale. Sarà fatto particolare riferimento agli effetti dell'ambiente in orbita terrestre; tali condizioni sono state studiate a seguito delle numerose missioni orbitali effettuate e ai dati ottenuti sui materiali impiegati e recuperati. In anni recenti sono stati condotti diversi programmi sperimentali specifici (sei missioni Misse - Materials International Space Station Experiment; MISSE 7 è iniziata nel novembre 2009 ed è attualmente in corso; missione LDEF - Long Duration Exposure Facility, durata 69 mesi) che hanno consentito di recuperare, dopo esposizione di alcuni anni nello spazio in LEO, materiali e strumenti destinati alla costruzione, protezione e controllo dei successivi sistemi spaziali. Va infatti considerato che a fine vita sistemi satellitari vengono generalmente distrutti o lasciati inutilizzati in orbita. La concentrazione di ossigeno atomico (AO) varia in relazione al ciclo solare notte-giorno, alla stagione, alla direzione dell'orbita. La velocità termica dell'ossigeno atomico in bassa orbita è piuttosto bassa per attivare reazioni superficiali, ma a causa della velocità orbitale (circa 7/8 Km/s), superfici esposte nella direzione di avanzamento risultano bombardate da atomi di ossigeno con energie di 4,5-5 eV, sufficienti a rompere i legami chimici di molti dei materiali comunemente impiegati in applicazioni spaziali. La Figura 58.2 mostra una simulazione relativa al numero di atomi di ossigeno che colpiscono in un anno una superficie di un ipotetico veicolo orbitante. In capitoli seguenti saranno invece esaminati materiali e sistemi di protezione termica per condizioni di temperature estreme, quali ad esempio quelle incontrate dalle superfici aerodinamiche durante il lancio e/o il rientro in atmosfera o dai materiali impiegati nelle zone più calde dei propulsori. 58.1 Effetti dell'ossigeno atomico L' ossigeno atomico si forma nell'ambiente in bassa orbita (LEO - Low Earth Orbit) a seguito della foto-dissociazione dell'ossigeno molecolare. Radiazioni solari a bassa lunghezza d'onda (<243 nm) hanno sufficiente energia per scindere il legame tra gli atomi di ossigeno in un ambiente rarefatto, dove la probabilità di riassociazione o di formazione di ozono (O3) diventa molto bassa. Di conseguenza, ad altitudini di 180-650 km l'ossigeno atomico è la specie a Figura 58.2 - Atomi di ossigeno che colpiscono in un anno una superficie di un ipotetico veicolo orbitante: dati simulati. Il numero di atomi che colpisce la superficie dipende dalla direzione di esposizione rispetto alla direzione di avanzamento; l'energia di impatto degli atomi che raggiungono la superficie dipende dalla velocità orbitale, Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633. G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 2 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 58 - MECCANISMI DI DEGRADO NEI VEICOLI IN AMBIENTE SPAZIALE dalla velocità di co-rotazione terrestre dell'atmosfera, dalla velocità termica degli atomi, dall'altitudine. materiale organico. La sensibilità del polimero alla reazione con AO viene quantificata dal rateo di erosione inteso come volume di materiale asportato per ogni atomo di ossigeno incidente. Il rateo di erosione meglio caratterizzato è quello della polimmide Kapton H (DuPont) che presenta una velocità di erosione di 3,0 * 10 24 cm3/atomo in orbita LEO con energia per l'ossigeno di 4,5 eV. La Tabella 58.1 riporta le velocità di erosione di diversi materiali, soprattutto polimerici, misurate in diversi esperimenti spaziali o stimate sulla base di modelli predittivi. Per alcuni materiali, le diverse condizioni di missione e/o l'interferenza del fenomeno dell'outgassing nelle misure hanno introdotto un ampio margine di incertezza sui risultati riportati in tabella. Sebbene l'ossigeno atomico in LEO abbia sufficiente energia per rompere i legami nella maggior parte dei materiali organici e sia sufficiente per causare erosione ossidativa nei polimeri, il fenomeno è stato poco studiato e di scarso interesse fino all'avvio delle missioni Space Shuttle. Infatti la maggior parte delle missioni precedenti è avvenuta in alta orbita, dove la concentrazione di AO è molto limitata. La Figura 58.3 mostra un'evidenza visiva dell'effetto dell'AO sull'impennaggio di coda dello Shuttle: la formazione sulla superficie di specie attivate con basso tempo di vita è evidenziato dall'emissione di radiazioni nel campo del visibile. La misura della velocità di erosione E S viene generalmente effettuata valutando la perdita di massa MS durante la missione: ES = MS/(ASSF) AS, S e F sono rispettivamente la superficie esposta, la densità del materiale eroso, il numero totale di atomi incidenti per cm2/anno. L'ossigeno atomico può avere effetti ossidanti anche sulla superficie di metalli; in questo caso, tuttavia, si producono in genere ossidi metallici non volatili, protettivi per il metallo sottostante. Un caso particolare è l'ossido di argento, che tende a separarsi dal metallo, consentendo la continua ossidazione; questa è una delle principali cause di danneggiamento delle connessioni di celle solari in argento operanti in LEO. A seguito di interazione con AO, la superficie di polimeri siliconici, flessibili, viene convertita a silice (SiO2), stabile ma rigida e fragile. La formazione di cricche superficiali e la continua reazione in profondità può portare alla conversione del polimero in silice ceramica. La Figura 58.4 mostra la formazione di una cricca in un polimero siliconico esposto a AO durante un test di laboratorio. Superfici di materiali con prodotti di ossidazione volatili, come i polimeri organici, presentano un continuo aumento della rugosità a seguito di erosione da AO caratterizzati da una particolare morfologia e con un valore di rugosità che incrementa con la radice della quantità di atomi incidenti. Oltre alla perdita di materiale, questo determina aumento della riflessione diffusa e riduzione della emissività del polimero. Figura 58.3 - Effetto dell'ossigeno atomico sull'impennaggio di coda dello Shuttle in volo orbitale: in alto, foto diurna; in basso foto notturna La Figura 58.5 mostra le superfici di polimmide (Kapton H), copolimero FEP (Teflon) e cloro-trifluoro etilene dopo esposizione a AO (rispettivamente 2,3*1020 atomi/cm2, 7,78*1021 atomi/cm2, 8,99*1021 atomi/cm2). L'AO può reagire con i polimeri, con il carbonio e con molti metalli. Nella maggior parte dei polimeri la reazione comporta l'estrazione di idrogeno e l'addizione di ossigeno. La continua esposizione ad AO determina ossidazione superficiale, formazione di prodotti di ossidazione volatili e graduale erosione del Tabella 58.1 - - Rateo di erosione da ossigeno atomico di diversi materiali misurato sperimentalmente e valutato con simulazioni. Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633. G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 3 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 58 - MECCANISMI DI DEGRADO NEI VEICOLI IN AMBIENTE SPAZIALE Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633. G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 4 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 58 - MECCANISMI DI DEGRADO NEI VEICOLI IN AMBIENTE SPAZIALE metallici che sviluppano un rivestimento protettivo a seguito di esposizione a AO. La prima tecnica sviluppata e maggiormente usata è quella di applicare un sottile rivestimento metallico, di ossido o di polimero fluorurato caricato con ossidi metallici. Film di silice, allumina, ossidi di indio/stagno, germanio, silicio, alluminio, oro con spessori di alcune centinaia di nm vengono tipicamente applicati mediante sputtering o deposizione di vapore. Ad esempio, film di Kapton H per le celle solari della Stazione Spaziale Internazionale (ISS) sono rivestiti con uno strato di silice (SiO2) da 130 nm applicato mediante sputtering. Sebbene siano sufficienti pochi nm per una efficace protezione, lo spessore del rivestimento deve coprire tutte le irregolarità superficiali del materiale protetto. D'altra parte uno spessore eccessivo facilita la rottura e il distacco del rivestimento a seguito di sollecitazioni termiche o meccaniche. La co-deposizione di PTFE (Teflon) con ossidi metallici consente di ottenere rivestimenti con maggiore deformabilità. L'efficacia e la durata del rivestimento protettivo sono funzione della presenza di graffi o difetti superficiali ma la presenza di 130 nm di silice su Kapton può ridurre fino a meno dell' 1 % l'effetto di erosione di AO rispetto al materiale non protetto. È necessario considerare, peraltro, che il rivestimento può modificare sostanzialmente le caratteristiche ottiche ed elettriche del film. Figura 58.4 - Micrografia SEM di una cricca in un polimero siliconico (DC93-500) esposto a ossigeno atomico (2,6*1021 atomi/cm2) La modifica superficiale del polimero a fini protettivi consiste nell'introdurre in superficie atomi metallici mediante metodi fisici o atomi di silicio mediante modifica chimica. In entrambi i casi l'efficacia è funzione della concentrazione superficiale degli atomi metallici introdotti. Lo sviluppo di polimeri contenenti atomi inorganici ha portato a diverse formulazioni contenenti complessi organo-metallici e polimeri contenenti fosforo o silicio (polidimetilsilossani) resistenti a AO. Anche in questo caso la durata ad esposizione a ossigeno atomico risulta funzione della densità superficiale degli elementi inorganici. Figura 58.5 - Micrografie SEM di superfici di: a) polimmide (Kapton H), b) copolimero FEP (Teflon), c) polimero cloro-trifluoro etilene dopo esposizione a ossigeno atomico in LEO In generale, i polimeri fluorurati (es. FEP) presentano maggiore resistenza a AO rispetto a polimmide Kapton. A titolo di esempio, l'erosione da AO in orbita LEO a 400 km di altitudine comporta tipicamente riduzione di spessore di circa 100 m/anno nel caso di Kapton e 12m/anno nel caso di FEP. 58.2 Outgassing e contaminazione L' esposizione dei materiali a condizioni di alto vuoto può indurre diffusione, sublimazione ed evaporazione delle sostanze più volatili. Tale fenomeno, definito outgassing, risulta accelerato ed incrementato quando l'alto vuoto è associato ad altri fattori degradativi come AO, elevate temperature e radiazioni ad alta energia (UV, raggi X, elettroni, protoni, ioni pesanti). La perdita di materia per ougassing in genere non determina in sé un problema per le caratteristiche del materiale coinvolto, ma il materiale volatile spesso può depositarsi, condensare, polimerizzare o degradare per effetto di temperatura e/o radiazioni su superfici otticamente significative o componenti elettrici/elettronici, variandone le caratteristiche funzionali. Questi fenomeni possono ad La presenza di pigmenti o particelle di ossidi metallici nel polimero determina la graduale esposizione e concentrazione delle particelle sulla superficie durante l'erosione con un effetto schermante e la riduzione della velocità di erosione nel tempo. L'erosione di film sottili ha rappresentato per molti anni uno dei problemi più critici per la funzionalità e la durata di componenti spaziali. Allo scopo di ridurre la velocità di degradazione del materiale superficiale sono stati impiegati tre approcci: l'applicazione di film protettivi in materiali diversi, la modifica superficiale del polimero, l'impiego di polimeri contenenti elementi Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633. G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 5 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 58 - MECCANISMI DI DEGRADO NEI VEICOLI IN AMBIENTE SPAZIALE esempio modificare la resa energetica di pannelli solari, influire sulla conducibilità e sulle caratteristiche di isolamento di conduttori e isolanti nella strumentazione di bordo, modificare la capacità di dissipazione termica di superfici radianti, variandone i valori di temperatura operativa. attraverso film sottili) e quanto maggiore è la temperatura. Nei polimeri, le sostanze volatili derivano sia da composti già presenti nel materiale al momento del lancio, sia da sostanze che si formano a seguito di processi degradativi che avvengono nell'ambiente operativo. Tra le prime si trovano l'umidità assorbita, frazioni a basso peso molecolare, eventuali residui di solventi, additivi funzionali o di processo come plasticizzanti, lubrificanti, stabilizzanti, antistatici, ecc. Anche in questo caso i materiali polimerici risultano in genere più critici rispetto ad altre tipologie di materiali. Nel caso di metalli e ceramici le sostanze volatili sono di regola in bassissima quantità e derivano principalmente da corrosione, contaminazione o sostanze gassose assorbite (ad es. idrogeno, ossigeno, umidità); va tuttavia segnalato che anche materiali metallici (ad esempio cadmio e stagno) in condizioni di alta temperatura possono presentare pressioni di vapore tali da determinare apprezzabile volatilizzazione. Tutti i materiali polimerici, in misura diversa, assorbono umidità dall'ambiente. La quantità di umidità assorbita a saturazione, in genere limitata a poche unità o frazioni di unità percentuali, dipende dalle condizioni ambientali e dalla struttura chimica del polimero. Gli additivi plasticizzanti vengono utilizzati per ridurre la rigidezza, la fragilità e la temperatura di transizione vetrosa (Tg) del polimero; questo consente di flessibilizzare il materiale, riducendone la rigidezza ed incrementandone la deformabilità anche a temperature basse, ad esempio per impieghi quali film e tubazioni flessibili, guarnizioni e sigillature, giunti deformabili, adesivi flessibili, ecc. La diffusione e volatilizzazione di plasticizzanti (e in modo simile di frazioni a basso peso molecolare) può avere significativi effetti sulle caratteristiche meccaniche del materiale. La perdita del plasticizzante può determinare un incremento significativo della Tg e una modifica sostanziale della rigidezza e della tenacità del materiale; l'infragilimento di un film a seguito di volatilizzazione di plasticizzante ad esempio può portare facilmente a rotture e lacerazioni a seguito di impatti, deformazioni o pieghe. La quantità e la velocità di evoluzione delle sostanze assorbite dipendono dalla loro solubilità, dalla velocità di diffusione, dalla loro tensione di vapore. La solubilità di sostanze volatili nei polimeri dipende dalla reciproca affinità chimica. Polimeri costituiti solamente da idrogeno e carbonio (ad esempio poliolefinici come polietilene, polipropilene) o contenenti elementi idrofobi come fluoro, cloro, bromo, ecc., presentano assorbimento di umidità praticamente nullo. Materiali contenenti ossigeno o gruppi polari, come nylon, poliesteri, ecc., possono invece assorbire umidità in quantità anche rilevante, superiore ad alcune unità percentuali. La velocità di diffusione attraverso il materiale può essere valutata mediante la prima e la seconda legge di Fick (vedi Cap.2). La prima legge di Fick esprime, nel caso stazionario, il flusso J di atomi di diffondente che attraversano una unità di superficie nell'unità di tempo (atomi*m-2*s-1): La diffusione di additivi, quali plasticizzanti, sostanze volatili, lubrificanti, verso l'esterno del materiale può comportare importanti effetti sulle proprietà di superficie. Nel caso di incollaggi, ad esempio, la migrazione di queste sostanze, che possono essere presenti sia nell’adesivo che negli aderenti, verso l'interfaccia adesivo/substrato provoca generalmente una degradazione dell'efficienza di incollaggio con possibilità di cedimento della giunzione. Inoltre la variazione di composizione superficiale modifica le proprietà tribologiche ed elettriche, spesso riducendo i coefficienti di attrito delle superfici di contatto e/o la resistività degli isolanti. J = -D (dC/dx) La seconda legge di Fick esprime, nel caso non stazionario, la variazione di concentrazione locale C del diffondente in funzione del tempo: dC d  dC   D  dt dx  dx  L'esposizione ad alta temperatura e radiazioni determina, invariabilmente, la degradazione del materiale durante la sua vita operativa. I prodotti di degradazione di polimeri sono generalmente frazioni di basso peso molecolare derivanti dalla rottura delle catene polimeriche e prodotti di ossidazione che, ancora, da un lato portano ad invecchiamento del materiale e dall'altro possono indurre contaminazione di componenti funzionali. Fonti di contaminazione possono essere materiali strutturali, rivestimenti, adesivi, isolanti come epossidiche, siliconi, polimmidi, polimeri fluorurati, ecc. Si osserva che il flusso di diffusione dipende dal gradiente di concentrazione del diffondente (dC/dx) e dal coefficiente di diffusione D, il quale dipende a sua volta in modo esponenziale dalla temperatura (D=D0exp[-Q/(RT)], D0 = costante, Q = energia di attivazione, R = costante dei gas, T = temperatura assoluta). Se si considera che in condizioni di alto vuoto la volatilizzazione dalla superficie è normalmente rapida, e di conseguenza la concentrazione superficiale piuttosto bassa, il rateo di diffusione risulterà in generale tanto più elevato quanto maggiore è il contenuto di sostanza volatile, quanto minore è il percorso di diffusione (ad esempio I materiali impiegati, quindi, devono rispondere a criteri di bassa volatilità e stabilità ad esposizione a radiazioni Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633. G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 6 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 58 - MECCANISMI DI DEGRADO NEI VEICOLI IN AMBIENTE SPAZIALE dettati da specifiche di missione e normative internazionali. Test di outgassing vengono effettuati valutando la perdita di peso del materiale dopo mantenimento in condizioni di alto vuoto a temperatura controllata e il recupero di peso dopo esposizione ad ambiente umido. I principali parametri valutati sono la perdita totale di massa (TML - total mass loss), la frazione di materiale volatile condensabile (CVCM - collected volatile condensable material) e la quantità di vapore riassorbito (WVR water vapor regained). Le applicazioni spaziali richiedono generalmente valori di TML<1% e CVCM<0,1%. Le sostanze derivanti da outgassing e/o da erosione da AO possono condensare, contaminandole, su superfici esposte del satellite/veicolo. Ulteriori fonti di contaminazione sono i prodotti di combustione dei propulsori, impatto con micrometeoriti/detriti, sistemi di ignizione e attivazione di meccanismi di distacco, ecc. La Figura 58.6 mostra la superficie frontale di un pannello solare della stazione MIR contaminato da silice derivante dai prodotti di ossidazione di polimeri siliconici a seguito di erosione AO di superfici della stazione stessa. La Figura 58.7 mostra le stazioni spaziali MIR (rientrata dopo 15 anni in orbita LEO) e ISS (attualmente in orbita LEO da 11 anni); sono particolarmente evidenti le ampie superfici delle celle solari. La Tabella 58.2 riporta i valori per alcuni materiali impiegati in campo spaziale. Va peraltro considerato che i valori possono variare sensibilmente in funzione della formulazione, della forma del materiale (film, lastra spessa, adesivo, laminato composito, ecc.), di eventuali trattamenti superficiali. Tra i materiali particolarmente critici per l'outgassing sono i lubrificanti; i comuni agenti impiegati in ambiente terrestre presentano elevate tensioni di vapore e non possono quindi essere impiegati in alto vuoto. In ambito spaziale vengono quindi utilizzati sistemi a base grafite o solfuro di molibdeno (MoS2). Contaminanti polimerici, in presenza di radiazioni UV e/o particelle cariche (elettroni, protoni, ioni), arrivano a formare un film polimerizzato sulle superfici che ne variano le caratteristiche funzionali. La continua deposizione e degradazione/reticolazione per effetto della "cottura" indotta da radiazioni portano alla formazione di un film opaco superficiale che varia le caratteristiche di assorbimento di superfici trasparenti o riflettenti modificandone sostanzialmente l'efficienza Tabella 58.2 - Dati di outgassing di alcuni materiali di interesse aerospaziale (da "Outgassing Data for Selecting Spacecraft Materials", NASA Reference Publication 1124 Rev-4) materiale TML (%) 0,77 0,95 CVCM (%) 0.02 0 WVR (%) 0,88 Kapton H Kapton alluminizzato Mylar Kevlar 29 Polimmide Larc CP1 Betacloth (fibra vetro/PTFE) nero PC Lexan PMMA Plexiglass Gomma siliconica FEP Teflon Epossidica EPON 929 Epossidica EPON 828 Composito epossidica/CF Composito polimmide/vetro Composito epossidica vetro Composito PEEK/CF 0,76 3,13 0,40 0,04 0,02 0,19 0 0 0,29 1,76 0,23 0,01 0,13 0,81 0,35 0,02 0,60 0,01 0 0,11 0,01 0 0,02 0,29 0,09 0,01 - 1,72 0,10 - 0,32 0,03 0,06 0,63 0 0,33 0,43 0,01 0,14 0,06 0 0,03 Figura 58.6 - Superficie frontale di un pannello solare della Stazione Spaziale MIR dopo 10 anni di operazione in LEO: in alto - la contaminazione da composti del silicio forma un diffuso deposito bianco; in basso - Micrografia SEM che mostra il confronto tra la superficie contaminata (a destra) e la superficie pulita (a sinistra). Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633. G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 7 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 58 - MECCANISMI DI DEGRADO NEI VEICOLI IN AMBIENTE SPAZIALE La Figura 58.10 mostra la variazione di assorbanza media di superfici di controllo termico impiegate in diversi sistemi satellitari; si osserva come la contaminazione abbia portato in alcuni casi a variazioni di 15-20 % dell'efficienza prima del termine della vita operativa. Figura 58.8 - Variazione di trasmittanza in funzione della lunghezza d'onda a seguito di contaminazione del vetro di rivestimento di una cella solare per effetto della deposizione di un sottile film di silicone (8nm), e circa 300 giorni di irraggiamento solare. Figura 58.7 - Stazioni spaziali MIR (in alto) e ISS (in basso. Sono evidenti le ampie superfici dei pannelli solari. Ad esempio, nel caso delle celle solari assemblate con l'impiego di adesivi siliconici ad alta trasparenza e resistenza termica, l'outgassing dell'adesivo crea una "nube" di specie siliconiche volatili in prossimità dei pannelli solari. Queste specie si possono depositare durante le fasi fredde sulle superfici subendo polimerizzazione UV durante le successive esposizioni solari. Questo determina la formazione di polimeri ad alto peso molecolare che aderiscono alle superfici contaminandole. La Figura 58.8 mostra l'effetto di contaminazione da silicone del vetro di rivestimento di una cella. Va osservato che la contaminazione, come anche gli altri effetti degradativi, agisce non solo sulle proprietà ottiche in assoluto, ma anche sui rapporti di assorbimento/trasmissione/emissione alle diverse lunghezze d'onda con conseguenze importanti sulla lettura ed interpretazione dei segnali da parte della strumentazione coinvolta. Figura 58.9 - Assorbanza dello spettro solare in funzione dello spessore di tipici contaminanti in ambiente spaziale su diversi materiali (S13GLO- vernice bianca a base siliconica/ossido di Zn; Teflon argentato, OSR- riflettore solare ottico con rivestimento di quarzo) La Figura 58.9 mostra la variazione di assorbanza di alcuni materiali impiegati come superfici radianti/riflettenti in funzione dello spessore di tipici contaminanti per alcuni materiali. Figura 58.10 - Variazione dell'assorbanza delle superfici di controllo termico in alcuni sistemi satellitari Materiale didattico per uso personale degli studenti. 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Bettini 8 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 58 - MECCANISMI DI DEGRADO NEI VEICOLI IN AMBIENTE SPAZIALE Una limitazione degli effetti di contaminazione può essere effettuata sulla base di un'accurata selezione dei materiali impiegati, restringendo la scelta a quelli a basso outgassing, applicando specifiche precauzioni per evitare la contaminazione durante le fasi di montaggio a terra e adottando accorgimenti progettuali che evitano o limitano il contatto tra sorgenti di contaminazione (quali strutture sandwich, apparecchiature elettriche/elettroniche operanti ad alta temperatura, prodotti di combustione di propellenti, ecc.) ed elementi sensibili (quali pannelli solari, superfici termiche ed ottiche, ecc.). Ove necessario possono essere applicati pretrattamenti a terra per ridurre l'outgassing nello spazio; questi consistono ad esempio in riscaldamento in vuoto (vacuum baking) per ridurre il contenuto di volatili in origine. A livello progettuale può essere necessario prevedere schermature o posizionare opportunamente le fonti di contaminazione e superfici sensibili. La presenza di "vie di fuga", e la predisposizione di percorsi preferenziali per le sostanze volatili può ridurre in modo significativo il pericolo di contaminazione. La Tabella 58.3 riporta alcuni esempi di superfici sensibili a contaminazione molecolare. La Tabella 58.4 indica le linee guida alla base della minimizzazione dei pericoli di contaminazione. Tabella 58.3 - Superfici sensibili a contaminazione molecolare e relativi limiti operativi Tabella 58.4 - Linee guida progettuali per la minimizzazione della contaminazione molecolare Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633. G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 9 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 58 - MECCANISMI DI DEGRADO NEI VEICOLI IN AMBIENTE SPAZIALE La Figura 58.11 mostra un esempio di come la scelta progettuale può influire sulla possibilità di contaminazione. Un pannello solare è costituito da una matrice di celle organizzate in file parallele di celle unitarie collegate in serie; la contaminazione di una cella influisce sull'intera fila. Una configurazione con file orientate parallelamente (a destra nella figura) al braccio di collegamento ("boom") presenta un'alta esposizione al veicolo a cui è connesso e alle relative sorgenti di contaminazione. Questa configurazione risulta vulnerabile perché tutte le file risulterebbero contaminate contemporaneamente da una singola sorgente, in quanto si trovano ad uguale distanza dal veicolo. Diversamente, la configurazione con celle perpendicolari al braccio di collegamento (a sinistra) presenta un uguale esposizione complessiva al veicolo, ma con effetto elevato di eventuale contaminazione solo sulle celle delle file vicine al veicolo e proporzionalmente minore su quelle distanti che avrebbero una vita operativa superiore. inferiore a 300 nm, mentre un veicolo spaziale al di fuori dell'atmosfera, esposto al Sole, è sottoposto all'intero spettro solare. Inoltre, anche superfici senza vista diretta al Sole, ma che si affacciano alla Terra, sono sottoposte a radiazioni UV riflesse dalla Terra per effetto dell'albedo (l'energia riflessa dalla Terra è circa il 31 % dell'energia solare ricevuta). Figura 58.12 - Condizioni ambientali spaziali in funzione della distanza dalla Terra In generale viene considerato UV lo spettro compreso tra 4 e 400 nm (peraltro, nello spettro solare, l'intensità delle radiazioni al di sotto di 100 nm è molto bassa) radiazioni in questo range possono avere importanti effetti sulla stabilità dei materiali. L'effettivo spettro solare copre un campo di lunghezze d'onda molto più esteso, che va dall'UV all'infrarosso. La Figura 58.13 mostra il campo di radiazioni che agisce su di un oggetto in LEO. La Figura 58.14 mostra la densità spettrale del flusso di energia ad una distanza pari alla distanza media Terra-Sole (1 AUunità astronomica). Figura 58.11 - Possibili configurazioni progettuali per pannelli solari con diversa sensibilità a contaminazione In alcuni materiali non polimerici l'esposizione ad alto vuoto ha effetti positivi. Nel vetro, ad esempio, la riduzione della pressione a meno di 1 mbar incrementa la resistenza fino a tre volte. Molti materiali metallici mostrano un miglioramento del comportamento a fatica in alcuni casi anche molto consistente; indagini per quantificare questi effetti sono attualmente in corso a bordo della Stazione Spaziale Internazionale ISS. I materiali polimerici sono particolarmente suscettibili a degradazione da radiazioni UV poiché molti legami in polimeri organici assorbono nel campo UV e subiscono reazioni fotochimiche. Questo effetto viene amplificato dalla presenza di additivi e impurità. L'effetto di queste reazioni varia in funzione del materiale: molti polimeri subiscono scissione delle catene polimeriche con riduzione del peso molecolare, ossidazione ed eventuale formazione di sostanze a basso peso molecolare, volatili; in alcuni polimeri, la rottura dei legami è seguita o affiancata da reazioni di reticolazione che portano ad un diversa struttura molecolare. In tutti casi l'esposizione a radiazioni determina una modifica progressiva delle proprietà fisiche e meccaniche del materiale, generalmente con riduzione della deformabilità e tenacità del materiale, variazione di colore (e assorbanza solare). Nella maggior parte dei polimeri la radiazione UV viene assorbita quasi completamente nelle prime frazioni di m superficiali, che quindi subiscono i maggiori effetti. Nel caso di film di spessore sensibilmente superiore alla profondità di assorbimento UV, il materiale non degradato è in grado di mantenere l'integrità del film. 58.3 Effetti delle radiazioni N ell'ambiente spaziale sono presenti radiazioni di tipo e intensità molto diverse da quelle incontrate nell'atmosfera terrestre che possono risultare critiche per la resistenza nel tempo dei materiali esposti ad esse. Queste possono essere radiazioni dello spettro solare (in particolare UV), radiazioni ionizzanti da particelle cariche (elettroni, protoni, ioni), radiazioni fotoniche ad alta energia (raggi x, raggi gamma). I valori massimi di intensità di queste radiazioni vengono raggiunti a distanze diverse dalla superficie terrestre. La Figura 58.12 riassume indicativamente la distribuzione in quota delle condizioni spaziali più critiche per la vita dei materiali. L'atmosfera terrestre assorbe tutta la radiazione UV con lunghezza d'onda Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633. G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 10 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 58 - MECCANISMI DI DEGRADO NEI VEICOLI IN AMBIENTE SPAZIALE Figura 58.13 - Campo di radiazioni agente su di un oggetto in orbita LEO assorbito, variando le risposta ottica, la trasparenza, la riflettanza, la diffusione. I polimeri fluorurati, materiali impiegati in ambiente spaziale (ad es. FEP, PTFE), presentano sensibilità a lunga esposizione a UV, soprattutto in combinazione con AO e alte temperature. La degradazione comporta infragilimento, riduzione di deformabilità e modifica di caratteristiche ottiche, in misura diversa in funzione delle condizioni di esposizione (lunghezza d'onda, temperatura) e della struttura chimica del polimero. Alcuni materiali polimmidici (Kapton, Upilex) presentano limitata sensibilità agli UV, con scarse variazioni di resistenza e proprietà ottiche. Matrici e adesivi epossidici, quando esposti, subiscono rapida degradazione superficiale per effetto degli UV, con perdita significativa di massa già a brevi tempi di esposizione (poche ore). La degradazione può indurre formazione di cricche, riduzione della tenacità e variazioni di colore. Figura 58.14 - Densità spettrale del flusso di energia alla distanza di una unità astronomica (UA) Diversamente, nel caso di film polimerici sottili, aventi spessori confrontabili con la profondità di assorbimento e/o quando la degradazione determina erosione per formazione di frazioni volatili (anche in associazione con altri fenomeni degradativi, ad esempio erosione da AO), la possibilità di formazione di cricche e rotture diventa significativa.Un ulteriore effetto della degradazione da radiazioni è la formazione di composti cromofori. Queste portano a variazione del colore e in generale dello spettro Anche in materiali ceramici e vetrosi l'esposizione a UV provoca generalmente la formazione di difetti che inducono oscuramento, con riduzione di trasparenza e variazione dello spettro trasmesso. Lo spettro delle radiazioni ionizzanti comprende particelle cariche come elettroni e protoni e radiazioni fotoniche ad alta energia come raggi X e gamma. La degradazione dei materiali per effetto di radiazioni ionizzanti risulta funzione sia della quantità (dose) di energia assorbita che Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633. G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 11 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 58 - MECCANISMI DI DEGRADO NEI VEICOLI IN AMBIENTE SPAZIALE della velocità di assorbimento. L'unità di misura della dose è il gray (Gy), che corrisponde ad un assorbimento di 1J per ogni Kg di massa (un'altra unità comunemente impiegata, il rad, corrisponde a 0,01 Gy). metalliche (ad esempio superfici di controllo termico), in film polimerici non rigidamente supportati (ad esempio coperte isolanti multistrato) la degradazione può comportare rotture e crack negli strati polimerici esterni. Molti dei polimeri di comune impiego (ad esempio Neoprene, Mylar, acrilici, molti fluorurati) presentano una eccessiva velocità di degradazione e non sono impiegabili in missioni orbitali geostazionarie in alta quota (GEO). Nello spazio esistono diverse sorgenti di radiazioni ionizzanti. I flare solari ("eruzioni") sono emissioni di alta energia dal Sole di breve durata (minuti/ore) che producono radiazione nello spettro elettromagnetico dalle radio-onde ai raggi gamma. In particolare, le emissioni di raggi X sono state correlate direttamente ai flare solari. Le principali sorgenti di particelle cariche sono i raggi cosmici, gli eventi protonici solari, le cinture di radiazioni (fasce di van Allen). I raggi cosmici consistono di flussi di nuclei ionizzati, prevalentemente protoni, che in genere forniscono una bassa dose di radiazioni. Percorsi orbitali in bassa altitudine/inclinazione, risultano parzialmente schermati per effetto del campo magnetico terrestre. Gli eventi protonici solari, che avvengono nella massa della corona solare, danno flussi di protoni periodici (circa uno ogni 5 giorni) e di breve durata. Anche in questo caso l'intensità è funzione del percorso di missione rispetto al campo magnetico. Protoni ed elettroni sono confinati nelle cinture di radiazioni, per effetto del campo magnetici terrestre. La loro intensità presenta picchi intorno a 3000 e 25000 km di altitudine e più alti livelli in vicinanza dei poli; è funzione di posizione, energia delle particelle, attività solare. Queste radiazioni sono approssimativamente omnidirezionali e colpiscono pertanto tutte le superfici esterne del sistema spaziale. Figura 58.15 - Danno catastrofico con perdita di funzionalità di un transistor MOSFET causato da accumulo e scarica elettrica a seguito di esposizione a radiazione ionizzante Le radiazioni ionizzanti presentano effetti degradativi su molti componenti di veicoli spaziali, ivi incluso l'eventuale equipaggio, la cui esposizione deve essere limitata. Particelle ad alta energia determinano degradazione dei componenti elettronici, delle celle solari, dei materiali, oltre che dell'efficienza di strumenti ottici (CCD). Possono attivare accumulo di cariche elettrostatiche, scariche al alto voltaggio, modifica delle memorie digitali e generare radioattività per interazione con i materiali, portando a riduzione della sensibilità della strumentazione a bordo o a perdita della funzionalità, con effetti in alcuni casi catastrofici per il componente. La Figura 58.15 mostra un danno critico in un componente elettronico causato da radiazioni ionizzanti. La Figura 58.15 riporta l'effetto delle radiazioni gamma su alcuni materiali polimerici. Va peraltro considerato che i dati riportati fanno riferimento all'effetto dei raggi gamma in ari a bassa temperatura. La presenza di ossigeno può modificare i meccanismi di degradazione rispetto al vuoto variando in modo significativo la velocità di degradazione. Anche la temperatura e la presenza di radiazioni UV agiscono in modo sinergico con le radiazioni ionizzanti in misura diversa nei diversi materiali, rendendo difficile discriminare e quantificare gli effetti delle diverse cause. Film polimmidici (Kapton, Upilex) sottoposti a test di valutazione per applicazioni in strutture dispiegabili gossamer hanno mostrato discreta resistenza alle radiazioni, anche se hanno presentato incremento di assorbanza solare a seguito di esposizione. Un ulteriore effetto delle radiazioni ionizzanti in alcuni polimeri è quello di aumentare la conducibilità elettrica, riducendone la capacità di isolamento. Nei polimeri, a differenza degli UV, le radiazioni ionizzanti interagiscono con i nuclei atomici e gli elettroni circostanti indipendentemente senza alcuna specificità in relazione al tipo di legami. I polimeri subiscono degradazione delle proprietà fisiche e meccaniche in funzione della dose totale di radiazione assorbita. Mentre l'effetto di infragilimento e irrigidimento può essere di limitata importanza per film e materiali rigidamente solidali con strutture Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633. G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 12 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 58 - MECCANISMI DI DEGRADO NEI VEICOLI IN AMBIENTE SPAZIALE Tabella 58.5 - Effetto delle radiazioni gamma su alcuni materiali di interesse spaziale. La riduzione degli effetti dell'irraggiamento UV e delle radiazioni ionizzanti sui materiali viene effettuata da un lato mediante una opportuna scelta dei materiali da impiegare in funzione delle condizioni di missione, dall'altra utilizzando rivestimenti superficiali protettivi per i materiali sensibili. Rivestimenti metallici come alluminio depositato da vapore (VDA - vapor deposited aluminum) sono in grado di ridurre gli effetti degli UV, mentre rivestimenti a base di ossidi metallici (SiO2, TiO2, Ta2O3) sono stati impiegati per mitigare gli effetti di radiazioni gamma su polimeri fluorurati. L'efficacia di questi rivestimenti tuttavia, viene fortemente ridotta dall'effetto combinato di sollecitazioni termiche e meccaniche che possono provocare la formazione di rotture e distacchi, determinando la perdita di continuità della protezione. esempio mediante l'impiego di sistemi ridondanti e di monitoraggio continuo o periodico della funzionalità. Va considerato che particelle ad alta energia posseggono un'alta profondità di penetrazione nei materiali a bassa densità, come i polimeri, e vengono assorbite dal materiale superficiale solo parzialmente. La Figura 58.16 mostra la dose di radiazioni ionizzanti in funzione della profondità e del tempo stimate per una superficie in polimero fluorurato FEP in orbita LEO, quale quella del telescopio Hubble. Per la protezione di componenti elettronici, ottici, termici critici sono quindi necessari materiali con superiore capacità schermante. Una parziale protezione può essere effettuata mediante schermi metallici (alluminio o metalli pesanti come tungsteno e tantalio). Tali schermi possono ridurre sensibilmente il flusso di elettroni ma sono molto meno efficaci nella protezione da protoni. La Figura 58.17 mostra l'effetto schermante dell'alluminio su elettroni e protoni. Figura 58.16 - Profili di assorbimento di radiazioni ionizzanti nel FEP stimati per l'ambiente del telescopio spaziale Hubble: (a) esposizione a raggi X da flare solari; (b) esposizione a elettroni e protoni da cinture di radiazioni La progettazione di questi sistemi deve quindi considerare la possibilità sopperire alla riduzione o perdita di funzionalità di alcuni componenti, ad Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633. G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 13 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 58 - MECCANISMI DI DEGRADO NEI VEICOLI IN AMBIENTE SPAZIALE dove  è la costante di Steffan-Boltzmann (5,67 10-8 Wm-2 K-4), A è la superficie irradiante, T è la temperatura della superficie;  è l'emissività media della superficie. Quando un corpo è esposto a irraggiamento (ad esempio solare), parte della radiazione viene assorbita, parte viene riflessa, parte viene trasmessa. Una semplice relazione di bilancio mostra che:  dove e sono rispettivamente la quota assorbita, la quota riflessa, la quota trasmessa. Per un corpo opaco, quest'ultima è normalmente trascurabile. La potenza assorbita P vale: P =  S A p dove  è il coefficiente di assorbimento medio (solare), S è l'intensità della radiazione incidente, Ap è la proiezione della superficie in vista della radiazione. Le tecnologie spaziali fanno uso di diversi materiali o rivestimenti superficiali per ottenere l'effetto desiderato sull'equilibrio termico. In particolare rivestimenti bianchi, neri, riflettenti, dotati di diversi valore del rapporto  vengono impiegati per controllare i diversi contributi di trasporto del calore. La Tabella 58.6 - Assorbimento solare ed emissività infrarossa di alcune superfici.riporta i valori del coefficiente di assorbimento solare e di emissione di alcune superfici. Come già accennato, l'effetto degradativo di AO e radiazioni modifica le proprietà ottiche dei materiali, variandone i coefficienti. La Tabella 58.7 riporta i valori di  e di superfici termiche dopo invecchiamento. Figura 58.17 - Efficienza schermante dell'alluminio sugli elettroni e capacità di penetrazione di protoni 58.4 Effetti della temperatura e dei cicli termici Tabella 58.6 - Assorbimento solare ed emissività infrarossa di alcune superfici. L' ambiente orbitale terrestre provoca variazioni significative della temperatura quando il sistema passa da zone illuminate a zone d'ombra. Il numero di cicli termici atteso dipende dall'orbita di missione. Così, ad esempio, un'orbita in LEO viene completata approssimativamente in 90 minuti, mentre in orbita geostazionaria il ciclo orbitale dura un giorno. Il campo di temperature che il materiale incontra durante un ciclo termico dipende dalle sue proprietà termoottiche (assorbanza solare e emittanza termica), dall'orientamento rispetto al Sole, alla Terra e alle altre superfici del veicolo, dai tempi di esposizione a luce ed ombra, dal calore prodotto dai componenti propri. Va infatti considerato che nello spazio o in atmosfera molto rarefatta, l'unico meccanismo significativo di trasmissione del calore da e verso l'ambiente esterno è l'irraggiamento. Inoltre la conduzione e la resistenza di contatto giocano un ruolo fondamentale nella trasmessione del calore tra i diversi componenti. Considerando un corpo posto nello spazio, la potenza emessa per irraggiamento P è espressa come: Rivestimento superficiale    Vernice bianca Vernice nera Alluminio depositato da vapore (VDA) Oro Argento 0,21 0,97 0,08 0,86 0,87 0,024 0,24 1,11 3,23 0,19 0,05 0,020 0,013 9,5 3,9 Tabella 58.7 - Assorbimento solare ed emissività di alcuni materiali dopo esposizione per cinque anni nello spazio  Materiale Quarzo* Teflon* Vernice bianca Vernice nera Kapton P =T4 A  non invecch. 0,08 0,08 0,26 invecch. invecch. 0,2 0,13 0,44 non invecch. 0,8 0,78 0,88 0,96 0,91 0,91 0,84 0,4 0,67 0,7 0,73 0,8 0,75 0,88 Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633. G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 14 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 58 - MECCANISMI DI DEGRADO NEI VEICOLI IN AMBIENTE SPAZIALE per irraggiamento attraverso la coperta. I film sono separati da una rete distanziatrice per minimizzare la conduzione del calore tra i vari strati; nel vuoto la convezione è nulla. Beta cloth 0,24 0,35 0,88 0,88 Le temperature e i cicli termici presentano un pericolo per la durabilità dei materiali per diverse ragioni. Innanzitutto, per materiali diversi a contatto, come ad esempio nei compositi o nei rivestimenti, la differenza dei coefficienti di dilatazione termica (CTE) può generare rotture o delaminazioni. Inoltre, le caratteristiche meccaniche dei polimeri sono ampiamente variabili con la temperatura. Quindi, durante un ciclo orbitale, un polimero può presentare riduzioni nella resistenza o nella duttilità che lo rendono maggiormente suscettibile di cedimenti. Se si considera che l'effetto delle radiazioni modifica le proprietà prevalentemente in superficie, il materiale risulta possedere caratteristiche disomogenee attraverso lo spessore; questo lo rende vulnerabile agli effetti delle dilatazioni termiche differenziali. Il flusso di calore Q' irradiato attraverso la coperta è: Q' = A (T4w-T4c) dove  è la costante di Steffan-Boltzmann, A è la superficie, Tw e Tc sono rispettivamente la temperatura del lato caldo e del lato freddo;  è l'emissività globale della coperta, che viene minimizzata aumentando il numero di strati riflettenti. La Figura 58.19 mostra l'emissività effettiva di coperte multistrato in film poliesteri (Mylar) alluminizzati con diverso numero di strati. La degradazione, l'infragilimento e la rottura di questi film, a seguito di esposizione a radiazioni, AO e cicli di temperatura, comporta importanti modifiche dell'equilibrio termico dei componenti con conseguenze potenzialmente critiche. La Figura 58.18 mostra le microcricche in un rivestimento metallico applicato ad un composito strutturale grafite/epossidica esposto a cicli termici e ossigeno atomico in orbita LEO. Figura 58.18 - Micrografia SEM delle microcricche in un rivestimento in Cr/Al su composito grafite/epossidica esposto a cicli orbitali su LDEF in orbita LEO Figura 58.19 - Emissività effettiva di coperte multistrato in film poliesteri (Mylar) alluminizzati in funzione del numero di strati. Compositi in carbonio e matrice epossidica esposti a cicli termici ripetuti presentano formazione di microcricche già dopo pochi cicli e raggiungono saturazione dopo alcune centinaia di cicli. Compositi con matrice cianatoestere, che possiede maggiore stabilità dimensionale, presentano maggiore resistenza a microcracking e saturazione ad un numero di cicli superiore alle migliaia. I cicli termici in genere agiscono in modo sinergico con altri meccanismi degradativi aumentandone significativamente la velocità di azione. Film in FEP con rivestimenti in alluminio o in ossidi metallici impiegati in isolamenti termici multistrato recuperati in missioni sul Telescopio Hubble (HST) hanno mostrato un sensibile incremento della velocità di degradazione quando l'esposizione a radiazioni è accompagnata da severi cicli termici. La Figura 58.20 mostra l'effetto di radiazioni elettroniche accompagnate da cicli termici (tra -100 e +50 °C) su FEP rivestito. La Figura 58.21 confronta la variazione nelle proprietà meccaniche dopo diverse condizioni di esposizione applicate in laboratorio e in missioni HST. Sistemi di controllo termico a protezione di componenti e strumentazione sensibile sono spesso costituiti da coperte multistrato (MLI) composte da strati di film polimerici sottili (fino ad oltre 30 strati metallizzazione superficiale su entrambi i lati (spesso in alluminio depositato da vapore) avente lo scopo di aumentare la riflettività e di ridurre il calore trasmesso Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633. G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 15 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 58 - MECCANISMI DI DEGRADO NEI VEICOLI IN AMBIENTE SPAZIALE Questi test evidenziano il fatto che le reali condizioni in orbita risultano spesso sensibilmente più critiche di quelle impiegate in test di laboratorio in condizioni apparentemente simili, proprio a causa di possibili effetti combinati. La Figura 58.22 mostra l'allungamento a rottura a seguito di solo trattamento termico, di trattamento termico dopo esposizione a raggi X, e trattamento termico di film esposti in LEO (Hubble). Si nota come il solo trattamento termico o la sola esposizione a radiazione non comporti alcuno o solo limitato infragilimento del materiale. I due effetti sommati portano a quasi completa fragilizzazione del film quando la temperatura supera i 100 °C. Va rilevato che la dose di esposizione in laboratorio è superiore di alcuni ordini di grandezza rispetto a quella stimata nell'esposizione reale. Figura 58.20 - Micrografia SEM di un film in FEP rivestito con ossidi di Si, Ti e Ta esposto a radiazioni elettroniche e cicli termici. Le zone scure indicano il distacco del rivestimento. Figura 58.22 - Allungamento a rottura di film in FEP tal quale, esposto a raggi X in laboratorio, recuperato in missioni Hubble. La difficoltà di correlare la risposta tra test di laboratorio a terra con le effettive condizioni in orbita rende a volte problematica la selezione dei migliori candidati per una specifica applicazione. Una possibile metodologia consiste nel calibrare i test a terra sulla base dei risultati ottenuti su materiali recuperati in missioni nello spazio allo scopo di determinare i livelli di esposizione (temperatura, dose di irraggiamento, durata, ecc.) richiesti per riprodurre le condizioni di degradazione in orbita. I materiali polimerici impiegati nelle coperte MLI son costituiti da polimmidi (ad esempio Kapton), poliesteri (Mylar), polimeri fluorurati (FEP) eventualmente supportati o rinforzati. 58.5 Micrometeoriti e detriti orbitali I micrometeoriti sono di origine extraterrestre e di conseguenza hanno un flusso che è approssimativamente costante nel tempo. La loro velocità è tipicamente dell'ordine di 4-5 km/s. I detriti orbitali derivano dai residui di combustibile solido di lanciatori, materiale da rotture e distacchi di satelliti e altre cause di Figura 58.21 - Effetto di radiazioni e cicli termici sulle proprietà meccaniche di FEP valutate in test di laboratorio e su materiale recuperato dopo 3,6 e 6,8 anni di esposizione sul Telescopio Hubble; (a) resistenza, (b) deformazione a rottura Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. 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Figura 58.23 - Flusso di impatti da micrometeoriti e detriti previsto nel 2010 per un orbita a 400 km altitudine e inclinazione 51.6°. L'impatto su superfici rivestite può provocare delaminazione e distacco del rivestimento, con perdite dell'effetto protettivo e incremento del rateo di degradazione ed erosione da radiazioni/AO degli strati sottostanti. L'emissione di materiale da impatto può inoltre dare origine a contaminazione. Impatti con particelle di grandi dimensioni, in grado di danneggiare seriamente serbatoi in pressione o componenti strutturali, sono piuttosto rari. Nel materiale recuperato a seguito della missione LDEF, durata 69 mesi, il cratere più grande aveva un diametro di 5,7 mm. Sulla base del flusso di impatti previsto è possibile valutare l'intervallo di tempo atteso tra due impatti (Tabella 58.8). Tabella 58.8 - Intervallo di tempo atteso tra due impatti in funzione delle dimensioni delle particelle. Micrometeorite Detriti >0,1 mm 0,68 giorni 0,49 giorni >1 mm 3,43 anni 0,53 anni >10 mm 34000 anni 4000 anni La protezione viene effettuata sia a livello di definizione dei percorsi, durate, tempi della missione in modo da ridurre la probabilità di impatti, sia a livello di progettazione del sistema, in modo da ridurre gli effetti degli impatti. Componenti sensibili come sistemi elettronici, memorie digitali, generatori di energia, ecc. sono spesso composti da sistemi ridondanti in grado di sopperire al cedimento di uno o più elementi. Sebbene il flusso di meteoriti possa essere considerato omnidirezionale e detriti si possano muovere secondo diverse direzioni orbitali, a causa della velocità del veicolo, la probabilità di impatto è superiore per le superfici esposte nella direzione di movimento. L'impatto di un micrometeorite o un detrito con un sistema spaziale normalmente possiede sufficiente energia per causare la vaporizzazione della particella impattante e per produrre un cratere di dimensioni molto superiori a quelle della particella stessa. Ad esempio, l'energia cinetica di una particella di alluminio a 6 km/s è sufficiente per vaporizzare l'alluminio e formare un cratere con diametro cinque volte più grande della particella. La Figura 58.24 mostra l'immagine al microscopio elettronico a L'adozione di sistemi di protezione in grado di distribuire l'energia di impatto su un'area estesa, riducendo il danno, può risultare a volte necessaria. In questo contesto, strutture multiparete o sandwich presentano doti di leggerezza, caratteristiche strutturali, capacità di protezione superiori ai materiali monolitici. La Figura 58.25 confronta lo spessore di protezione necessario per Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633. G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 17 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 58 - MECCANISMI DI DEGRADO NEI VEICOLI IN AMBIENTE SPAZIALE un sistema a singola parete e a doppia parete: a bassa velocità di impatto (< 3 km/s circa per una lega d'alluminio) la particella non viene distrutta e i due sistemi sono quasi equivalenti; ad alte velocità, nel sistema a doppia parete, la distruzione della particella determina l'estensione della zona di impatto sulla seconda parete con una maggiore efficienza protettiva. 58.6 Test di spaziali simulazione di condizioni P er verificare le caratteristiche e il comportamento di un satellite o di un veicolo nell'ambiente dello spazio, questi vengono sottoposti a numerosi test in vuoto/temperatura. Diversamente dalle prove meccaniche, in prevalenza destinate a validare il comportamento nella fase di lancio, le prove in termovuoto sono destinate a qualificare il sistema, nel suo complesso, nelle fasi operative successive, nello spazio. A differenza delle prove di qualificazione condotte sui singoli materiali, i test su parti o sull'intero satellite consentono di valutare il comportamento complessivo e le eventuali interazioni tra componenti. Le condizioni spaziali simulate durante i test in termovuoto sono le basse pressioni corrispondenti a orbite ad alta quota, le basse temperature delle spazio esterno e le diverse fonti di calore (generazione interna, radiazione solare, albedo e radiazione terrestre) e il loro effetto sul bilancio termico del satellite. A causa dell'alto vuoto, lo scambio termico è determinato essenzialmente dall'irraggiamento; l'irraggiamento solare e la bassa temperatura esterna (di background) determinano la presenza di elevati gradienti termici. Figura 58.25 - Spessore di protezione in funzione della velocità di impatto per sistemi a singola e a doppia parete Un satellite/veicolo spaziale è costituito da una moltitudine di materiali, componenti e sottosistemi, ciascuno dei quali deve essere mantenuto all'interno dei propri limiti di temperatura operativa per assicurare adeguato funzionamento (ad esempio i sottosistemi elettronici) o per evitare danno ai materiali o distorsione di parti strutturali (ad esempio, antenne e riflettori). Un’ulteriore strada per proteggere le superfici esposte da AO è quello di destinare alle coperte MLI, impiegate per l'isolamento termico, anche la funzione di protezione da impatti adottando film rinforzati con fibre ceramiche, in vetro o arammidiche (Nomex), eventualmente in aggiunta a strutture sandwich. Per assicurare la compatibilità con i campi di temperatura in tutte le fasi della missione possono essere impiegati molti diversi meccanismi attivi e passivi di controllo della temperatura, a partire da superfici specifiche (nere, bianche, riflettenti, ecc.) con definite proprietà di assorbimento/emissione, per continuare con coperte termiche MLI, scambiatori attivi, elementi di riscaldamento elettrico. Il complesso dei sistemi di adattamento della temperatura adottati viene comunemente definito il sottosistema di controllo termico (TCS), sebbene non possa essere in realtà trattato come un effettivo sottosistema indipendente come ad esempio il riflettore di un antenna o un componente strumentale. Un materiale di protezione spesso impiegato, che spesso fornisce buona protezione dalle alte temperature, da erosione AO e da impatto di particelle è il Beta cloth, costituito da tessuto in fibre di silice rivestite in PTFE per migliorarne la resistenza meccanica e all'abrasione. Il tessuto è in grado di resistere a temperature superiori a 600 °C e viene impiegato anche per tute spaziali. La Figura 58.26 mostra un tessuto di Beta cloth danneggiato da impatto di particelle. Nel passato la configurazione del TCS era essenzialmente il risultato di un processo sperimentale basato su dati di prova. Ora, la maggior parte del processo di configurazione viene effettuata mediante computazioni numeriche. Queste, peraltro, richiedono la corretta descrizione e valutazione delle proprietà termiche e fisiche oltre che delle loro correlazioni. Bilancio termico - Una funzione importante dei test in termovuoto, ed in particolare delle prove di bilancio termico (TB), e quella di fornire dati misurati per specifiche situazioni di carico termico. Normalmente la verifica di alcune specifiche situazioni, in genere estreme, Figura 58.26 - Tessuto di Beta cloth danneggiato da impatto di particelle. Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633. G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 18 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 58 - MECCANISMI DI DEGRADO NEI VEICOLI IN AMBIENTE SPAZIALE è sufficiente per validare la funzionalità in tutte le effettive condizioni di missione con opportune funzioni di adattamento dei modelli. produzione (acqua, idrocarburi, siliconi, esteri, ecc.). La velocità del satellite in orbita è dello stesso livello (o maggiore) della velocità molecolare del materiale volatilizzato alla pressione di 10-5 mbar; per questo le sostanze volatilizzate non si separano dal satellite, ma formano una nube di gas e si possono condensare sulle superfici fredde, contaminandole. Test di bilancio termico vengono condotti all'interno di una termocamera raffreddata a temperatura di -180 °C (con azoto liquido), per simulare la temperatura dello spazio di background. Ciascuna fase di missione viene quindi rappresentata da un corrispondente livello di radiazione solare o da piani riscaldati per simulare l'irraggiamento terrestre e l'albedo. Dopo stabilizzazione, vengono registrate le temperature di equilibrio nelle diverso posizioni del satellite. Prove in termo-vuoto - Le prove di bake-out sono spesso combinate con cicli di temperatura in vuoto. Il numero di cicli e i livelli di temperatura minima e massima vengono definiti in funzione della missione. Tipicamente le basse temperature sono nel range -100/-180 °C, mentre le alte temperature sono nel range +80/+130 °C anche se in alcune missioni sono richieste temperature fino a +200 °C. Il materiale di prova viene portato alla temperatura richiesta per irraggiamento con le pareti della camera o per contatto con una piastra termica. Sistemi complessi possono essere sottoposti a livelli di temperatura diversi nei loro componenti o a cicli particolari. Pannelli solari, ad esempio, dopo raffreddamento a -180 °C, vengono irradiati su un lato con lampade IR, che ne determina il riscaldamento fino a +130 °C in 30 min, per evidenziare eventuali difetti di fabbricazione, distacchi di parti, cambiamenti di colore. Riflettori di antenne vengono sottoposti a test con cicli di temperatura al fine di rilevare l'entità delle distorsioni termoelastiche o da outgassing. Prove di bakeout ("cottura") - La qualificazione di componenti con specifica relazione con lo spazio (pannelli solari, antenne, componenti elettronici, ecc.) sono un'altro importante compito dei test di termovuoto. I test di bakeout vengono condotti su ogni parte importante del satellite che va nello spazio. Durante questo test, la parte o l'intero satellite è esposto ad alto vuoto allo scopo di attivare outgassing nelle condizioni di temperatura simili, ma superiori, a quelle operative. In funzione delle condizioni di missione e del tipo di componente, le temperature tipicamente impiegate sono nel range +80/+150 °C. La durata del test è almeno di 24 ore, ma a volte molto più lunga. Le prove di bakout a terra assicurano l'outgassing della maggior parte dei composti volatili derivanti dal processo di La Figura 58.27 mostra lo schema di una camera termovuoto dotata di un sistema di simulazione solare. Figura 58.27 - Schema di una camera termovuoto dotata di un sistema di simulazione solare presente presso i laboratori per prove di simulazione spaziale IAABG di Monaco di Baviera. Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633. G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 19 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 58 - MECCANISMI DI DEGRADO NEI VEICOLI IN AMBIENTE SPAZIALE Bibliografia [1] J. Denver, B. Banks, K. de Groh, S. Miller, "Handbook of Environmental Degradation of Materials, Cap. 23 - Degradation of Spacecraft Materials", M. Kutz editor, William Andrew Publ., Norwich NY, 2005 [2] A. C. Tribble, B. Boyadjian, J. Davis, J. Haffner and E. McCullough, "Contamination Control Engineering Design Guidelines for the Aerospace Community", NASA Contractor Report 4740, 1995. [3] J. I. Kleiman, R. C. Tennyson editors, "Protection of Materials and Structures From the Low Earth Orbit Space Environment", Kluwer Publ., Norwel MA, 1999 [4] W. Ley, K. Wittmann, W. Hallmann, "Handbook of Space Technology", J. Wiley Publ., Chichester UK, 2009 [5] J. 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