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Caratteri Tecno-tipologici E Aspetti Funzionali Delle Industrie Scheggiate Dell’eneolitico Precampaniforme In Italia Centrale: Riflessioni E Problemi

The study has been carried out with an integrated methodological approach. The research has been applied either to settlements, funerary sites/contexts and flak­ing workshops. The original study of leaf-shaped arrowhead from two Tuscan caves

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  XLIII Riunione Scientica -  L’età del rame in Italia  Negli ultimi tempi gli studi sulle industrie litiche scheggiate dell’età del Rame si sono arricchiti di dati importanti derivati dai nuovi metodi di ri-cerca che oramai afancano regolarmente il più tradizionale approccio tipologico. I risultati ot-tenuti hanno inciso in modo determinante sul fattore interpretativo permettendo di osservare nella giusta dimensione una serie di fenomeni che no a qualche anno fa erano stati compresi solo parzialmente: ci riferiamo sia al orire delle indagini a carattere tecnologico che si sono de-dicate soprattutto alla comprensione delle dina-miche relative ai processi di fabbricazione degli strumenti a ritocco piatto, sia alle analisi tracceo-logiche e tecnofunzionali 1 . Come vedremo gli esiti legati a tali studi se da un lato hanno gettato nuova luce sugli aspetti economici e sociali dei gruppi eneolitici, dall’altro hanno dato luogo ad una serie di interrogativi nonché a spunti srcinali per le ricerche future.Nel prendere in esame il materiale abbiamo fatto riferimento alle tre principali tipologie di fonti ar-cheologiche note per l’età del Rame: gli abitati, i contesti funerari, le stazioni ofcina.Per quanto riguarda gli abitati, il tentativo di mettere a fuoco i tratti essenziali delle produ-zioni litiche risente inevitabilmente di una serie di carenze sia sul piano del numero, a livello e dei (1) Dipartimento di Scienze Ambientali “G. Sarfatti”, Unità di Ricerca di Ecologia Preistorica - Università di Siena, Via T. Pendola 62, 53100 Siena; tel. 3204374452; e-mail: [email protected] (2) Dipartimento di Scienze Ambientali “G. Sarfatti”, Unità di Ricerca di Ecologia Preistorica - Università di Siena, Via delle Cerchia 5, 53100 Siena e Museo Civico di Storia Naturale di Verona, P.zza Arsenale 1, 37126 Verona; tel. 3473638792; e-mail: [email protected] RIASSUNTO  - C  aratteri    teCno -  tipologiCi   e    aSpetti   funzionali   delle   induStrie   SCheggiate   dell ’e neolitiCo   preCampaniforme   in  i  talia   Centrale : rifleSSioni   e   proBlemi   - Lo studio, portato avanti con un approccio metodolo-gico integrato, prende in considerazione gli abitati, i contesti funerari e le stazioni ofcina. L’analisi di un certo numero di cuspidi di freccia provenienti da due grotte toscane (Spinosa e Tana della Volpe) è stata alla base dello sviluppo di una ries-sione più generale sul signicato funzionale di questi insiemi litici. Per quel che riguarda le stazioni ofcina, recenti scoperte hanno gettato nuova luce su un gran numero di siti deniti in passato come “campignani”; molti di questi possono oggi essere identicati come ofcine destinate alla produzione di cuspidi foliate. Sulla base dei nuovi dati gli autori propongono una revisione critica del vecchio concetto di “Campignano”, ivi inclusi anche gli insiemi provenienti dall’area Garganica.SUMMARY   - t eChno -  typologiCal   CharaCterS    and   funCtional   interpretation   of    the  p re -B ell  B eaker    lithiC    aSSemBlageS   in  C entral  i  taly  : reflexionS    and   proBlematiCS    thoughtS   - The study has been carried out with an integrated methodological approach. The research has been applied either to settlements, funerary sites/contexts and ak-ing workshops. The srcinal study of leaf-shaped arrowhead from two Tuscan caves (Spinosa, GR, and Tana della Volpe, MS) has been the basis for developing a more general reexion on the functional meaning of these lithic assemblages.  As it concerns aking workshops, recent discoveries shed a new light on a large number of sites dened in the past as “campignani”; many of these sites can be nowadays identied as workshops devoted to the production of leaf-shaped arrowheads. In a comparative perspective to deal with data based on an adequate interpretative framework it would be necessary, according to the Authors, a critical revision based on technological and functional analyses of the old concept of “Campignano”, including the assemblages from the Gargano area. 1 Una valutazione estesa anche di metodologie di indagine che integrino i vari aspetti legati alla produzione e all’uso dei manufatti (delle cuspidi nello specifico) ha permesso di mettere in luce la loro valenza di indicatori prima di tutto comportamentali oltre che cronologici o di  facies   archeologiche (Isotta e Longo, 2004).  a driana  m oroni  l  anfredini (1)  - l  aura  l ongo (2)  Caratteri tecno-tipologici e aspetti funzionali delle industrie scheggiate dell’Eneolitico precampaniforme in Italia centrale: riessioni e problemi  196  a. m oroni  l  anfredini  - l. l ongo siti conosciuti e delle singole entità industriali, sia sotto il prolo dell’edito. Ciononostante è stato possibile, in seguito all’esame di tutti i siti a noi noti per i quali fossero presenti notizie seppur minime 2 , enucleare alcuni elementi che sembrano emergere come caratteristici dei complessi di questo momento.Una prima osservazione riguarda l’uso prevalente di materie prime locali, anche in quelle aree dove scarseggia il materiale di buona qualità, e il ricor-rere, fra i litotipi di provenienza esogena, dell’os-sidiana, seppure sempre in quantità moderata. Tra i manufatti ritoccati si nota una predominanza generalizzata delle armature a ritocco piatto, prin-cipalmente cuspidi di freccia e di giavellotto pe-duncolate ma anche lame di pugnale. Questo dato acquista ancora maggior peso se consideriamo che le armature risultano con ogni probabilità sottorappresentate rispetto alla reale quantità prodotta 3 , in quanto fanno parte di una catego-ria di strumenti legata ad attività che coinvolgono anche il territorio circostante l’area insediativa.Le cuspidi peduncolate sono normalmente a spalle e presentano notevole varietà nella morfo-logia, nelle dimensioni, nelle proporzioni e nella qualità dell’esecuzione. Va tuttavia precisato che una valutazione di questi caratteri deve neces-sariamente tener conto della pratica frequente di correggere gli inconvenienti dovuti alle frat-ture apicali, intervento che determina alterazioni nell’andamento dei lati e/o nel rapporto dimen-sionale corpo/peduncolo (Cavulli et alii   2006) 4 . Facendo riferimento invece al formato dei pezzi si rileva che sembrano assenti gli esemplari molto piccoli, quelli cioè la cui dimensione massima si aggira intorno ai 2 cm; cuspidi di questo tipo diverranno al contrario abbastanza frequenti, almeno in alcune aree dell’Italia centrale, nei mo-menti più avanzati dell’Eneolitico e specialmente nella prima età del Bronzo (Guidi e Moroni Lanfredini 2000; Martini e Di Lernia 1989-90; Moroni 1990); questo accadrebbe peraltro in un contesto di generale tendenza delle industrie liti-che ad un maggiore microlitismo, marcato anche dalla comparsa dei geometrici a tranciante tra-sversale a ritocco piatto e dei segmenti di cerchio.Rimanendo nell’ambito degli oggetti a scheg-giatura bifacciale si osserva il ricorrere di forme sessili più o meno ben rinite da considerare, nella maggior parte dei casi, manufatti in corso di lavorazione (Baena Preysler 1998, p. 159). Un discorso analogo è valido probabilmente anche per certe “cuspidi” di forma losangica, più rare ma comunque presenti in alcuni abitati: né le une né le altre si rinvengono, infatti, nei corredi delle sepolture, cioè in contesti nei quali possiamo ra-gionevolmente pensare di imbatterci di norma in strumenti niti.Indizi del fatto che la fabbricazione dei foliati, almeno nelle sue fasi nali, avveniva anche lo-calmente sono presenti in quasi tutti gli abitati, grazie al rinvenimento di manufatti sbozzati non meglio deniti e, in alcuni casi, di vere e proprie preforme. Tale fenomeno risulta più o meno macroscopico a seconda dei siti. A questa attività è presumibilmente da ricollegare buona parte della produzione di schegge e débris  , di cui si osserva l’utilizzo occasionale e opportunistico come supporti per strumenti, che conferisce alle industrie dell’età del Rame provenienti da abi-tato un aspetto in apparenza tecnologicamente scadente. Crediamo inne che anche alcuni dei manufatti classicati comunemente come pezzi scagliati, in particolare quelli sub-circolari con ri-tocco bifacciale che interessa la quasi totalità dei lati e asporta il bulbo, siano in realtà oggetti “ in  eri  ” riconducibili ancora una volta ai sistemi di produzione delle cuspidi.Gli utensili che recano politure da graminacee, quando presenti, sono comunque rari e costitui ti da elementi laminari eventualmente a ritocco semplice o erto; sembrano invece assenti le lame 2 Gli abitati eneolitici dell’Italia centrale presi in considerazione sono i seguenti. In Toscana  : Volpaia (Sarti et alii   1999-2000; Brilli 2005) e Via Leopardi (Martini e Morandi 1986-87) (Sesto Fiorentino), Gragnano (Gennusa et alii   in questo volume) (Alta Valtiberina). Nelle  Marche  : Conelle (Cazzella et alii   2003) e Cava Giacometti (Cazzella e Moscoloni 1994) (Arcevia), Fontenoce (Silvestrini e Pignocchi 1998-2000) (Recanati), Attiggio (Fabriano), Berbentina (Sassoferrato), Pianacci (Genga) (Lollini sd). Nel Lazio : Maccarese (Conati Barbaro 2002; Conati Barbaro e Lemorini 2002, Lemorini 2002) e Torrino Mezzocammino (Anzidei e Carboni 2000) (Roma). In  Abruzzo : Le Coste (Radi 1995, 2003) (Pescina) e Colle Longo (Di Fraia 2003) (Rocca Scalegna). 3 Basti pensare agli ingenti quantitativi di armature foliate rinvenute sporadiche, di cui un caso esemplare è costituito dalla Collezione Bellucci del Museo Archeologico Nazionale di Perugia. 4 L’analisi delle tracce d’uso ha permesso di stabilire che talora le cuspidi rotte venivano riciclate per usi diversi (Conati Barbaro e Lemorini 2000).  197 C  aratteri    teCno -  tipologiCi   e    aSpetti   funzionali   delle   induStrie ... da falcetto a ritocco piatto bifacciale, fatta ecce-zione per un grande coltello foliato polifunzio-nale proveniente da Conelle di Arcevia.Quanto al resto dello strumentario si nota, oltre alla presenza, seppure modica, di grattatoi e di erti differenziati, il ricorrere, tra i supporti, di lame regolari anche di grandi dimensioni.Un’ultima considerazione, che riguarda solo in modo indiretto le industrie litiche, è relativa alla scarsa rappresentatività, tra i resti faunistici di molti siti, delle specie selvatiche e in particolare, come sottolineato da B. Wilkens (2002), delle prede di piccole dimensioni compresi gli uccelli; quest’ultimo fattore potrebbe essere in relazione all’assenza tra le cuspidi degli elementi molto piccoli, che in effetti, vengono, in genere, indi-cati come presumibilmente destinati appunto a piccoli animali (Leonardi e Arnaboldi 1998). Si distingue in parte dal quadro suddetto l’industria di Conelle la cui particolare “povertà” tipologica è dovuta senz’altro al fatto che il materiale recu-perato nel fossato proviene da una vera e propria area di ofcina.Passando ai contesti funerari gli aspetti che ci preme sottolineare sono quelli relativi agli studi antropologici e alle indagini funzionali.Nel primo caso appare signicativo il riconosci-mento negli inumati della necropoli di Fontenoce di Recanati di patologie dovute a stress iterativi causati dall’utilizzo di armi da getto (arco e gia- vellotto) (Cencetti et alii   2005), il che ha fornito una conferma dell’effettivo collegamento esi-stente tra le azioni compiute in vita dal defunto e il valore simbolico delle armi presenti nei corredi. Analisi funzionali recentemente applicate a con-testi di questo periodo hanno messo in evidenza la presenza nei corredi delle necropoli di oggetti con tracce di utilizzo (Rinaldone tt. 1-5) (Le-morini 2004) e di manufatti non utilizzati (Lun-ghezzina, Casale del Dolce) (Anzidei et alii   2003; Bistol e Muntoni 2000) e quindi forse prodotti a scopo sepolcrale. A questi dati desunti dalla letteratura aggiungiamo il nostro contributo costituito dai risultati dello studio tecnofunzionale su 24 cuspidi rinvenute alla Grotta della Spinosa nel comune di Massa Marittima (Aranguren et alii   2004; Aranguren cds) e su 13 cuspidi provenienti dalla Tana della  Volpe in Lunigiana (Casola) (Perazzi et alii   2001). Si tratta in entrambi i casi di cavità naturali adibite nel corso dell’età del Rame a sepolture collettive.La Grotta della Spinosa, riferibile alla facies fune-raria grossetana o facies dei Sassi Neri, conteneva le ossa scomposte di alcune decine di inumati in-sieme ai loro corredi costituiti da ceramica, ma-nufatti litici e metallici e oggetti d’ornamento.Le cuspidi prese in esame possono essere sud-divise in due gruppi: quelle che non presentano evidenze di utilizzo (14) e quelle che conservano ancora le fratture dovute all’impatto con il ber-saglio o che hanno subito un riadattamento (10). La tipologia delle fratture rientra nei tipi burin like  , quando interessano l’apice, e nei tipi step  e hinge fractures  , quando sono localizzate sul codolo e sul corpo; tre elementi recano interventi cor-rettivi ripetuti da identicare nell’asimmetria del codolo, del corpo, dove l’apertura delle alette è stata adeguata (ridotta) a seguito della perdita di parte del corpo, e dell’apice. Le fratture dell’apice sono sempre di modesta entità, sebbene possano ascriversi a cause di impatto contro bersagli, escludendo la loro formazione a seguito di eventi post-deposizionali. Vale la pena notare che le fratture che interessano le alette sono spesso causa di rimessa in forma della punta di frec-cia che il più delle volte acquista una simmetria differente dalla prima produzione. La presenza, accanto agli esemplari riadattati, di cuspidi non riparate è forse spiegabile supponendo che, al momento dell’inumazione, queste ultime si tro- vassero nel corpo del defunto 5 e non facessero dunque parte del corredo. Alla Tana della Volpe sono stati recuperati i resti di una trentina d’individui, insieme a cuspidi foliate, oggetti d’ornamento e ceramica tra cui alcuni frammenti trattati a spazzola. Le cuspidi analizzate, che comprendono anche una lama di pugnale, sono diverse da quelle della Spinosa in quanto realizzate con un diaspro di migliore qualità, mediamente più grandi, più slanciate e di miglior fattura; inoltre non presentano traccia alcuna di utilizzo; solo in due casi è ipotizzabile un possibile riadattamento dell’apice. 5 Meno probabile ci sembra un’interpretazione delle fratture come danni volontari effettuati a scopo rituale, secondo quanto ipotizzato, su basi etnografiche, per alcune cuspidi provenienti da sepolture della cultura neolitica siberiana di Kuznetsk-Altay (Kungurova 2008).  198  a. m oroni  l  anfredini  - l. l ongo Sebbene i reperti provenienti dalle due grotte co-stituiscano un campione numericamente limitato, colpiscono le differenze riscontrate nell’ambito di strutture funerarie simili con analoghe moda-lità di seppellimento: da un lato la deposizione di armi di fattura buona ma non eccellente in gran parte già utilizzate, dall’altro la scelta di cuspidi realizzate con notevole perizia e fabbricate, sem-bra, per esclusivo uso funerario. Uno schema afne emerge del resto anche nel Lazio dove sono state individuate tombe, come quelle del sepolcreto di Rinaldone, nelle quali prevalgono gli esemplari già utilizzati, e tombe, come quelle delle necropoli di Casale del Dolce e di Lunghez-zina i cui corredi contengono armi “nuove”. Nel quadro delle analogie rientrano pure certe af-nità morfologiche relative a singoli sottotipi, in particolare quelle riscontrabili tra alcuni dei pezzi migliori della Tana della Volpe e della tomba a fossa (t. 4) della Lunghezzina.Ma l’approccio analitico sicuramente più nuovo e signicativo degli ultimi tempi è costituito dagli studi in campo tecnologico. Seppure con un certo ritardo rispetto al Paleolitico anche le industrie li-tiche oloceniche sono state oggetto di una presa di coscienza legata alla necessità di indagare gli aspetti tecnici intesi come ricostruzione dinamica delle catene operative intrinseche ai sistemi di produzione. Per quanto riguarda la prima età dei metalli, questa nuova tendenza è stata senz’altro stimolata dalla scoperta e dallo scavo sistematico di stazioni ofcina destinate alla fabbricazione di strumenti foliati, quali ad esempio la cava di diaspro di Valle Lagorara in Liguria (Campana e Maggi 2002). Grossomodo nello stesso periodo lo studio tecnologico dell’industria litica di Co-nelle (Albertini 2003) portava al riconoscimento dell’esistenza di un processo di lavorazione simile nelle Marche. A Valle Lagorara sono state messe in rilievo, a seguito di un dettagliato e organico lavoro di carattere tecnologico, accompagnato da attività sperimentali, le tappe salienti di un particolare processo di riduzione della materia prima (Cam-pana e Negrino 2002; Briois e Negrino 2002); tale processo passa attraverso diversi stadi di la- vorazione caratterizzati dall’ottenimento di ma-nufatti a ritocco piatto-sommario, tra i quali in ultima istanza le preforme ogivali, per arrivare alla produzione di strumenti niti a ritocco foliato, eminentemente cuspidi di freccia. Dal punto di  vista cronologico la cava risulta frequentata per un arco di tempo che va dal Neolitico nale alla prima età del Bronzo, ma l’attività di estrazione più intensa è attestata proprio nel corso dell’età del Rame (4580±50 3500-3100 cal. BC e 4060 ±50 2850-2470 cal. BC) (Campana e Maggi 2002).I risultati di questo lavoro e di quello altrettanto recente effettuato per il sito di Conelle hanno avuto il merito di riportare in primo piano il pro-blema delle stazioni ofcina, ossia di tutti quei giacimenti in prevalenza di supercie, oggetto spesso di vecchie segnalazioni, che si ritrovano numerosi in Italia centrale, in particolare sul ver-sante adriatico, e che venivano invariabilmente attribuiti al Campignano di  facies   avanzata (Rel-lini 1904; Calzoni 1928; Maviglia 1949; Percossi e Silvestrini 1986; Baldelli et alii   1987-88; Moroni Lanfredini 1995; Percossi et alii   2006).Localizzati nelle zone in cui abbonda la materia prima, vi si rinvengono, oltre a ingenti quantita-tivi di scarti di lavorazione, manufatti a ritocco piatto-sommario bifacciale, classicati nelle pub-blicazioni come strumenti campignani attribuibili in massima parte alla categoria dei generici (di-scoidi, ovaloidi, ellissoidi) 6 .Segnalazioni di stazioni ofcina si hanno princi-palmente nelle Marche dove si trovano distribuite lungo i corsi del Metauro, del Misa, del Potenza e dei rispettivi afuenti, nei cui alvei abbonda la selce proveniente dall’erosione delle formazioni della dorsale umbro marchigiana, ma anche in Umbria ad Abeto di Norcia, dove sono state in-dividuate numerose aree produttive (com. pers. di Maria Cristina De Angelis).Sul versante tirrenico il fenomeno appare al mo-mento meno evidente anche se la scoperta di una  vastissima cava di diaspro a La Pietra, in val di Farma (Siena) (Gambassini e Marroni 1998), con caratteristiche molto simili a quelle di Valle La-gorara, è destinata a cambiare il quadro relativo all’approvvigionamento delle materie prime liti-che anche in Toscana. 6 Per la terminologia adottata nella classificazione dei manufatti “campignani” vedi Azzati et alii   1969; Calattini 1981.  199 C  aratteri    teCno -  tipologiCi   e    aSpetti   funzionali   delle   induStrie ... In base alle poche notizie pubblicate si evince che queste stazioni, al di là della tipologia estrat-tiva, diversa a seconda delle circostanze, hanno caratteri in comune con quanto emerso dalle ana-lisi dei materiali di valle Lagorara e di Conelle. In particolare si osserva:- presenza di enormi quantità di débris   e di schegge di lavorazione;- presenza di numerosi manufatti bifacciali a ri-tocco piatto sommario, o scaglioso che dir si vo-glia, a vari stadi di assottigliamento;- presenza variabile, a seconda dei siti, di stru-menti a ritocco piatto niti nei quali si riscon-trano frequenti incidenti di taglio;- bassa incidenza, in genere, di strumenti sensu   Laplace (Laplace 1964), dalla fattura spesso sca-dente;- presenza di rari picchi;- assenza delle forme più classiche del Campi-gnano a larga base tagliente (fondamentalmente  veri e propri tranchets e scalpelli).Quanto all’inquadramento cronologico, sebbene si disponga solo di dati di cronologia comparata, è verosimile un arco di tempo che non va oltre l’antica età del Bronzo; è noto infatti come nelle regioni centrali la produzione di armi in pietra subisca un drastico calo n dalle prime fasi della media età del Bronzo, contrariamente a quanto è attestato per il mondo terramaricolo dove si con-tinua ad utilizzare cuspidi di freccia ed elementi di falcetto in selce prodotti nelle ofcine della Lessi-nia (Bareld e Cremaschi 1991-92) no a tutto il Bronzo recente. Dando credito a tale interpreta-zione, che sembra oramai comprovata da diversi fattori, il fenomeno delle ofcine litiche viene ad assumere un signicato del tutto nuovo di cui si inizia adesso a valutare appieno la portata.Queste considerazioni hanno stimolato la nostra curiosità spingendoci inevitabilmente a guardare sotto una nuova luce anche altri complessi “cam-pignani” della penisola, sebbene ciò non rientrasse strettamente nell’argomento di questo lavoro.Importanti aree estrattive e produttive sono pre-senti, com’è risaputo, nel Veneto, nella regione dei Monti Lessini (Chelidonio 2007; Longo e Ta-gliente 1997), in Puglia, sul Promontorio Garga-nico, e in Sicilia sui Monti Iblei. Nel primo caso il ciclo cronologico di riferimento è, come abbiamo già anticipato, molto ampio e si conclude con l’età del Bronzo recente. Per quel che concerne le stazioni siciliane, viene proposto un inqua-dramento che a partire dal Neolitico medio non  va oltre l’antica età del Bronzo (Nicoletti 1996, 1997). Nel Gargano, inne, la tecnica “campi-gnana” compare contestualmente alle prime ma-nifestazioni neolitiche e si esaurisce alle soglie dell’età del Bronzo.Le stazioni del Promontorio sono state oggetto di studi approfonditi da parte di Arturo Palma di Cesnola e dei suoi collaboratori negli anni ’80 (Azzati et alii   1969; Calattini 1981, 1987; Calat-tini e Cresti 1980; Calattini e Cuda 1988; Palma di Cesnola 1981a-b, 1982, 1987), studi in base ai quali si è giunti ad una formulazione delle caratteristiche tipologico-strutturali del Campi-gnano garganico anche in senso diacronico, in-dividuando più fasi di sviluppo correlabili con i diversi aspetti culturali che si sono susseguiti sul territorio nell’arco di tempo considerato.Per quanto riguarda i complessi riconducibili all’età del Rame e al primo Bronzo, vi si può senz’altro riconoscere, a livello di prodotti-obbiet-tivo, la presenza di almeno due componenti: l’una prettamente campignana in cui gurano utensili a larga base tagliente, quali tranchets, accette e scalpelli, l’altra formata da strumenti a ritocco piatto, corredati da una serie di forme di passag-gio. Siamo dunque in presenza di almeno due distinte catene operative nelle quali le preforme, alias discoidi, ovaloidi ed ellissoidi, rivestono un ruolo intermedio, in quanto sembra appurato che oggetti di questo tipo possano, allo stesso modo, costituire dei supporti sia per foliati che per asce scheggiate o levigate (Cupillard e Affolter 1995; Irribaria 1995; Campana e Maggi 2002).La questione è naturalmente complessa; perciò, in attesa di una revisione critica del Campignano garganico basata su indagini tecnologiche che prevedano un apparato interpretativo adeguato alle attuali conoscenze, ci limitiamo ad osservare che la nuova realtà pone il problema dell’omoge-neità e della sincronicità dei materiali provenienti da questi giacimenti. La qual cosa non signica escludere a priori   la possibile appartenenza delle diverse catene operative ad una medesima -liera che preveda allora la produzione non solo di armature ma anche di strumenti per costruire aste e manici di legno. Rimane comunque il fatto