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D. Verducci, De Persona - Università Di Macerata

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1 DANIELA VERDUCCI Università di Macerata De Persona La nozione di «status personae» o della soggettività in senso legale è da tempo in uso in ambito giuridico. Lo status personae, che è esteso a tutti gli esseri umani, affianca il più ristretto status civitatis (o di cittadinanza) nella Declaration des droits de l’homme et du citoyen del 26 agosto 1789 e concorre, da allora, alla identificazione, in tutti gli ordinamenti giuridici e in tutte le costituzioni occidentali, di due classi distinte di diritti fondamentali: i diritti della personalità, che spettano a tutti gli esseri umani in quanto tali, cioè in quanto persone, e i diritti della cittadinanza, che spettano ai soli cittadini. L’art. 7 del Code civil napoleonico, p. es., recepiva tale duplicità, proclamando come indipendente dalla qualità di cittadino, l’esercizio dei diritti civili ovvero le libertà personali di parola, di pensiero e di fede, il diritto di possedere cose in proprietà e di stipulare contratti validi e il diritto di ottenere giustizia1. Oggi, però, nell’epoca della globalizzazione inarrestabile e del globalismo giuridico, quella che era distinzione feconda tra persona e cittadino si è fatta divaricazione stridente, poichè mutamenti epocali, flussi migratori, dinamiche multiculturali e tensioni multietniche stanno mettendo decisamente in discussione i tradizionali nessi tra cittadinanza e status personae2. La distinzione stessa tra diritti del cittadino e diritti della persona è talora avvertita come ostacolo normativo alla realizzazione del principio di uguaglianza giuridica3, sancito già da quell'«universalismo dei diritti» fatto valere, a proposito delle popolazioni indie, sottomesse dagli spagnoli, da Francisco de Vitoria, nelle Relectiones de Indis recenter inventis, tenute all'Università di Salamanca tra il 1538 e il 1539 e pubblicate per la prima volta nel 1557 a Lione 4. Per questo, si coglie ora qualche tentativo di elaborare teorie della cittadinanza che, interpretando quest’ultima come lo status cui sono associati tutti i diritti, la rendono insieme nome onnicomprensivo e comune presupposto dell’intero sistema dei diritti civili, politici e sociali5. Resta, tuttavia, che la relazione d’eguaglianza così stabilita, tra le sunnominate classi di diritti e il concetto di «cittadinanza», continua ad apparire giuridicamente arbitraria, dato che non tutti quei diritti presuppongono la cittadinanza quale unico status che adeguatamente li riassume6. D’altro canto, la vicenda giusnaturalistica, entro la quale ha avuto luogo il moderno riconoscimento dello status personae, non discende, a differenza del diritto naturale antico e medioevale, né da presupposti metafisico-teologici né dal riferimento ontologico alla natura umana in quanto tale. Essa prese avvio direttamente dal terreno socio-politico della rivendicazione, di fronte al monarca assoluto, dei diritti di cui si supponeva che l’uomo godesse nello «stato di natura» 2 e che, in quanto precedenti il diritto positivo, erano ritenuti in grado di legittimare tanto la nuova idea contrattualistica di fondazione della società quanto l’altrettanto inedita «tecnica della libertà» del costituzionalismo, ordinatore del corpo socio-politico. Ugo Grozio formulò, infatti, la dottrina laica del diritto naturale, concependolo non solo come chiaro ed evidente in sé e persistente anche in guerra, ma addirittura come valido «etsi Deus non daretur»7, ovvero sulla base della sola forza del consenso razionale intersoggettivo8. In tale impostazione «volontaristica» dei principi e delle strutture di convivenza civile9, in cui si «deconfessionalizzava»10 la legge naturale medioevale, si espresse con successo la responsabilità autoconservativa delle monarchie nazionali europee, conseguendo risultati di grande efficacia sia sul versante del controllo delle forze distruttrici, scatenatesi dalla frammentazione dell’unità ecclesiale-imperiale medioevale sia su quello della regolazione dei rapporti tra stati sovrani con il diritto internazionale11. Ma quel guadagno giuridico del XVII secolo, volto a pacificare la comunità europea, appare ormai del tutto inadeguato ad affrontare con successo le problematiche bioetiche, insorgenti ai nostri giorni: le attuali biotecnologie mediche ci consentono, infatti, di operare su individui della specie umana nella fase embrionale e pre-embrionale, cioè prima che abbiano conseguito quello status personae, per il quale gli ordinamenti vigenti, eredi delle conquiste della modernità, sono attrezzati a prevedere regolamentazione e tutela. E’ per questo che la questione bioetica, di sapere quando un individuo della specie umana diventa persona, si è fatta pressante ed extragiuridica: essa si imposta ormai addirittura al di sotto del livello della definizione etimologica di persona che, nella misura in cui fa riferimento alla maschera dell’attore, la intende solo come «il segno distintivo di un ruolo o di una parte da sostenere nel contesto drammaturgico» e perciò la coglie come fattore di «nascondimento del volto»12 piuttosto che di manifestazione del suo vero essere. L’ esigenza, che così si afferma, di riguardare la persona per quello che è in sé e per il senso che ontologicamente le appartiene, indipendentemente dalla sua fase di sviluppo e prima di essere calata nel contesto dei diritti, sospinge a rivolgersi a intenzionalità conoscitive di pertinenza della filosofia, disciplina che, pur se talvolta considerata obsoleta, è ora richiamata in gioco proprio da quegli stessi saperi scientifico-tecnici che l’avevano messa da parte, presumendo di poterne fare a meno. Sono stati, infatti, gli sviluppi delle tecnologie, biomediche e biogenetiche, a porre gli scienziati e gli operatori sanitari di fronte a scelte, per le quali l’inadeguatezza delle idee tradizionali ha richiesto più aggiornate teorizzazioni e addirittura orizzonti concettuali radicalmente rinnovati. Ma la biologia, com’è noto, non si arrischia sulle impervie alture concettuali delle domande di senso, né lo fanno i medici, i giuristi o i sociologi. Allora tutti si rivolgono all’etica 13, ritenendo che le nuove flessioni di essa, quali il proceduralismo14, il decisionismo15, l’utilitarismo16, l’etica della situazione17, l’emotivismo18 possano consentire di operare scelte umane in materia di vita umana. 3 Regole etiche semplici e immediatamente applicabili seguivano, del resto, i comitati etici dei grandi centri ospedalieri statunitensi, nel decennio 1970-1980, quando l’urgenza e la pressione degli interessi in gioco li spingeva a decidere caso per caso, evitando ogni riflessione di principio 19. Al di là del giustificabile pragmatismo pratico, che lascia però insoddisfatta la domanda circa lo statuto epistemologico della bioetica, esponendo quest’ultima al rischio di «un decisionismo frammentato e incontrollato nel risolvere i singoli problemi» e all’odiosa prassi di distribuire «giudizi di liceità e illiceità di singoli comportamenti, separati da una loro motivazione di significato»20, resta che, per decidere umanamente sull’umano21, anche gli «stranieri morali» di Engelhardt 22 debbono sapere che cosa l’umano sia in quanto tale: è qui che l’etica si rivolge alla metafisica, perché, applicandosi nell’indagine ontologica, dica dell’umanità del vivente umano a chi vuole riconoscerlo, anche nelle sue apparenze più enigmatiche. Molti sono i filosofi che, nel XX sec., hanno auspicato una riscossa dell’umano veicolata dalla filosofia (Heidegger, Jaspers, Arendt, Levinas, Ricoeur, Marcuse). Solo alcuni si sono, però, dedicati a sviluppare una teoria dell’umano, comprensiva anche della sua dimensione biologica. Pensatori contemporanei, come A. Naess, si sono orientati, al contrario, a sostituire all’antropocentrismo, il biocentrismo, in cui la vita in generale, e non quella degli uomini, è messa al centro e rivendicata nel suo valore intrinseco23. Hans Jonas si è cimentato con il tema della vita umana tra biologia e filosofia e ne ha tratto utili lineamenti etici. Egli, nel noto testo Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica24, prende le mosse da una constatazione cruciale: per la prima volta nella storia dell’umanità dobbiamo mettere in conto l’ipotesi dell’annientamento di ogni forma vivente, compresa quella umana. Di fronte a questo terribile scenario un’etica della reciprocità, come quella kantiana tradizionale, si mostra inadeguata. Essa prevede, infatti, la reciprocità tra coloro che compongono la società umana, dove al dovere dell’uno corrisponde il diritto dell’altro e viceversa. Noi sappiamo, però, che le nostre azioni ricadono oggi su una sfera di viventi molto più ampia di quella costituita dalla presente comunità umana. Il sistematico esproprio delle risorse naturali, da noi praticato, ha provocato e provoca, infatti, un degrado ambientale che mette a repentaglio la sopravvivenza non solo degli uomini, ma anche di tutti quegli esseri viventi, con i quali non possiamo istituire relazioni di reciprocità. Animali e vegetali non possono reclamare diritti e neppure le nostre generazioni future sono in grado di avanzare pretese o richieste nei nostri confronti. Dunque, la nostra qualità morale è sfidata a giocarsi ora in modo inedito, perché la regola della reciprocità si è manifestata inadeguata e cadremmo nell’immoralità se ci limitassimo ad essa. L’uomo è chiamato piuttosto ad assumere un’etica della responsabilità, per la quale accetta di rispondere moralmente delle proprie scelte anche nei confronti di chi non può far valere le sue richieste. Egli deve farlo, non perché sia superiore agli altri esseri viventi o alle generazioni future, 4 dato che «ogni essere vivente è fine a se stesso e non ha bisogno di una giustificazione ulteriore»25, ma per il fatto di «poter essere soltanto lui responsabile anche per loro, ossia per la salvaguardia del loro essere fini a se stessi»26. In Tecnica, medicina ed etica. Prassi del principio responsabilità, Jonas eleva la prudenza a primo precetto della bioetica, dal momento che con la manipolazione genetica «è nientemeno la natura dell’uomo a ricadere nella sfera di potere degli interventi umani»27: e ciò non solo perché l’uomo su cui si opera può essere trattato come una cosa, ma anche e soprattutto, osserviamo noi, perché rischia di subire la reificazione l’uomo che così si comporta nei confronti dell’altro uomo, nella misura in cui, appiattendosi sull’automatismo razionale scientifico-tecnologico, atrofizza quelle facoltà di discernimento valutante, essenzialmente umane, che gli permettono di riconoscere il suo simile, anche quando la sua parvenza umana è sfigurata, come nel decerebrato, o contratta, come nell’embrione. Quanto più si tratta di soggetti deboli e sottoposti al nostro controllo (p. es. gli embrioni o gli ammalati in stato comatoso) tanto più è necessità morale per noi più forti, tutelarli, proteggerli e perciò non usarli, neppure per superiori fini sociali. E’ questo il cosiddetto «criterio della scala discendente»28, antiutilitaristico e anticontrattualistico, che Jonas propone di applicare per scegliere umanamente sull’umano. Egli consiglia, inoltre, per individuare i principi di un’etica del futuro, di servirsi di un’«euristica della paura»29, nella quale la previsione negativa riscuote più credito di quella positiva, ed anche dell’argomento del «piano inclinato»30, per il quale si presta attenzione al fatto che l’accettazione di determinate scelte finirà alla lunga con il giustificare altre scelte che inizialmente non si volevano ammettere. A un simile orizzonte può essere ascritto il cosiddetto «principio di precauzione», che ha ispirato numerose dichiarazioni di organismi internazionali, intenzionate a salvaguardare contro potenziali rischi, che non sono o non sono ancora chiaramente individuabili, e a giustificare, perciò, moratorie nell’ammettere la pratica di tecnologie biogenetiche o biomediche. Tutte queste riflessioni di Jonas certamente toccano la nostra sensibilità morale e offrono nuovi e più adeguati strumenti culturali per affrontare le recenti sfide biotecnologiche. Le si potrebbe tuttavia ridurre ad appelli alla buona volontà, nella misura in cui non esibiscono documentazioni ontologiche, p. es. della eguale natura e dignità del vivente umano attuale e del vivente umano futuro o embrionale, mentre dichiarano esplicitamente di muovere da una condizione di paura e non di ricerca e deliberazione razionalmente lucida. Per svolgere la problematica filosofica sulla vita, nel suo livello fondazionale, dobbiamo rivolgerci a pensatori metafisici, che coltivano una concezione, insieme unitaria e dinamica, dell’essere come vita, ponendosi, in campo antropologico, al di là del dualismo cartesiano che a una res cogitans libera e spontanea oppone una res extensa determinata e meccanica31. 5 E’ questa l’attitudine che Max Scheler manifesta nell’affrontare la questione della vita: egli fa tesoro del dato filogenetico evoluzionistico, che vuole la specie umana inserita, come succedanea delle scimmie antropoidi, nel più generale flusso di sviluppo dell’unica vita32 e perciò senza difficoltà può mostrare il sorgere, nell’esperienza individuale, della dimensione spirituale da quella vitale precedente. Ciò accade p. es. quando proviamo stupore o meraviglia davanti a qualcosa. Compiendo questo atto, noi sospendiamo il corso della curiosità istintiva, che appartiene alla grande famiglia delle pulsioni di potere e che nelle scimmie antropoidi è suscitata da tutto quanto esuli dalla routine. Su di essa innestiamo il desiderio-di-sapere, il quale, essendo rivolto al già noto e procedendo, dunque, in senso opposto al flusso istintivo-vitale, si rivela come una deviazione riflessiva dalla vita, che testimonia, a suo principio, un fattore diverso da essa, che chiamiamo spirito33. La stessa evidenza si fa strada negli atti d’amore, nei quali a sfociare in un dinamismo autonomo, originale e immediato, che è capacità di uscire dai propri limiti per dedicarsi all’altro, è la stessa energia pulsionale-tendenziale che è comune a tutti gli esseri viventi34. Le descrizioni fenomenologiche di Scheler, attestanti nel vissuto umano il sorgere dello spirito dalla vita, possono ben corroborare l’osservazione biologica, che documenta come, anche prima della formazione del sistema nervoso centrale (6a-8a settimana di sviluppo), l’embrione mostri la qualità di organismo umano: la sua autonoma evoluzione vitale tende, infatti, immancabilmente a sviluppare gli organi, che gli consentiranno di esercitare le funzioni della persona umana e, in tale tensione alla maturazione delle condizioni di possibilità di espressione della dimensione spirituale-personale, l’unità morfo-funzionale è assicurata dalla vita stessa, attraverso l’integrazione e coordinazione dei processi metabolici intracellulari e le relazioni intercellulari, operate dalla attuazione programmata del genoma dell’embrione stesso 35. Insieme a Tertulliano, dunque, anche noi possiamo dire, con ragioni filosofiche e biologiche adeguate al nostro tempo: «E’ già uomo colui che lo sarà»36. Ancora più incisiva è in questo senso la fenomenologia della vita di Anna-Teresa Tymieniecka, che autonomamente si dirama dallo stesso piano della neurobiologia dei viventi, investigata a partire dal 1973 dai due neurofisiologi cileni Humberto R. Maturana e Francisco J. Varela, con la nuova chiave ermeneutica dell’autopoiesi del vivente, procedimento unitario cui può essere ricondotta, quanto alla sua genesi e al suo sviluppo, l’intera organizzazione di ogni singolo vivente37. Anche nella riflessione di Anna-Teresa Tymieniecka, il primo dato è costituito dall’intreccio di coscienza e vita, esibito dal vissuto del «conscio-corporeo» (das Leiblichbewusste)38, che esperiamo ogni volta che avvertiamo la successione, l’intreccio e la motivazione dei processi psichici in generale. In tali nostre esperienze, la coscienza compare de-assolutizzata, in quanto immancabilmente preceduta e sostenuta dalla vita e in intima e costitutiva relazione con 6 essa. Questo confermano le ricerche di psichiatria fenomenologica sulla destrutturazione del campo di coscienza e sugli stati onirico-confusionali; questo attestano anche le tipiche formazioni della fantasia collettiva, espressione della spontaneità vitale formante del sistema conscio 39. Il corpo umano risulta, così, completamente trasfigurato: da mero sistema degli organi della percezione sensibile, punto «0» della genesi coscienziale, esso assume infatti la funzione essenziale di «disposizione primitiva del conscio» (Uranlage des Bewussten) e, addirittura, di originario promotore del vivere conscio, nella misura in cui, sostenendolo nel suo graduale dispiegamento, lo abilita a raggiungere la maturità della coscienza e a svolgere quel ruolo individualizzante e liberamente creativo, che a quest’ultima compete40. L’essere umano cosciente appare ora pienamente coinvolto nel tumulto del processo generativo della vita, poiché è dal procedere autopoietico del flusso vitale naturale, come genesi evolutiva di forme sempre più complesse e individualizzate, che la fase, in cui la condizione umana si configura, viene raggiunta41. E’, poi, solo a partire dall’instaurarsi, nello sviluppo autopoietico della vita, di tale condizione umana, che una nuova corrente vitale si innesta sulla vita naturale, corredandola di potenzialità inedite, quali il poter sapere e decidere di sé 42. La condizione umana vivente, infatti, porta con sé virtualità creative originali che, a seguito dell’attività immaginativa e simbolica, trasfigurano conoscitivamente l’intera realtà43 e permettono all’uomo di rapportaglisi non deterministicamente ma in modo innovativo o ontopoietico44. Un tale «creare secondo l’essere» o ontopoiesi non va limitato, pertanto, a quanto si sviluppa durante la vita post-natale, né si deve più ritenere che l’essere umano operi soltanto quale «agente-che-dà-significato» (meaningbestowing agent) e produce il suo mondo-della-vita. L’uomo comincia prima a «creare secondo l’essere», fin dal suo primo formarsi biologico, perché, come si esprime la Tymieniecka, «la sua autentica vita è in se stessa l’effetto della sua autoindividualizzazione-nell’esistenza tramite l’autointerpretazione-inventiva che appartiene alla sua più intima movenza vitale» (his very life in itself is the effect of his self-individualization in existence through inventive self- interpretation of his most intimate moves of life)45. A proposito dello statuto personale dell’individuo umano vivente, dunque, le ragioni filosofiche convergono con quelle della biologia contemporanea, che mostra lo sviluppo embrionale e fetale umano come un processo fisiologico coordinato, continuo e graduale che, a partire dalla fecondazione, non conosce arresti o discontinuità, se non a seguito di eventuali deviazioni patologiche o processi degenerativi. In questo senso, conclude anche R. Spaemann, al termine della sua ampia disamina della differenza tra «qualcosa» e «qualcuno»: «Può e deve aversi un unico criterio per la personalità: l’appartenenza biologica al genere umano…L’essere della persona è la vita di un uomo»46. 7 Parole antiche tornano, in questo caso, appropriate all’attualità. E, infatti, Giovanni Paolo II ha potuto osservare che «nella biologia della generazione è iscritta la genealogia della persona»47, così come San Tommaso, secondo le categorie filosofiche e scientifiche del suo tempo, oggi superate nella loro ripetizione letterale, ma non nel loro senso essenziale, aveva affermato che «l’anima intellettiva viene creata da Dio a coronamento della generazione»48. 1 L. Ferrajoli, Cittadinanza e diritti fondamentali, in «Teoria politica», 3, 1993, pp. 63-76; Id. , Dai diritti del cittadino ai diritti della persona, in D. Zolo (a cura di), La cittadinanza. Appartenenza, identità, diritti, Roma-Bari, Laterza, 1994, pp. 263-292. 2 Cfr.: R. Dworkin, Taking rights seriously, London, Duckworth, 1977; trad. it. di F. Oriana, I diritti presi sul serio, Bologna, il Mulino, 1982. N. Bobbio, La dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, in: M. Bovero (a cura di), Teoria generale della politica, Torino, Einaudi, 1990, pp. 443-45. S. Cassese, La crisi dello Stato, Roma-Bari, Laterza, 2002. 3 L. Ferrajoli, Diritti fondamentali. Un dibattito teorico, in: E. Vitale (a cura di), Diritti fondamentali. Un dibattito teorico, Laterza, Roma-Bari 2001, p. 5. 4 Per le opere di Vitoria si può fare riferimento all'edizione curata da T. Urdánoz, Obras de Francisco de Vitoria. Relecciones teológicas, La editorial catolica, Madrid 1960. La Relectio de Indis di Vitoria si può leggere anche nella traduzione italiana di A. Lamacchia, La questione degli Indios, Roma-Bari, Laterza, 1996. Di recente è stata inoltre pubblicata da C. Galli con traduzione italiana la Relectio de iure belli, Roma-Bari, Laterza, 2005. 5 Nel senso di tale appiattimento dei diritti sui soli diritti di cittadinanza, va l’elaborazione teorica di T. H. Marshall, Citizenship and Social Class, Pluto Press, London 1992; trad. it. a cura di P. Maranini Cittadinanza e classe sociale, UTET, Torino, 1976, p. 9. 6 L. Ferrajoli, Dai diritti del cittadino ai diritti della persona, cit., p. 265. 7 Cfr.: U. Grozio, De jure belli ac pacis libri tres in quibus ius naturae et gentium item iuris publici praecipua explicantur (1625), curavit B. J. A. De Kanter-Van Hettinga Tromp, Scientia, Aalen, 1993 (Rist. fotomeccanica dell'ed. Brill, Leiden, 1939), Prol. § 11; tr. it parziale di G. Fassò, Prolegomeni al diritto della guerra e della pace, Napoli, Morano, 1979. 8 Così si esprime G. Giorgini, curatore della voce «Giusnaturalismo» in: L. Ornaghi (a cura di), Politica: vocabolario, Milano, Jaca Book, 1996. Cfr. inoltre: A. Barbera (a cura di), Le basi filosofiche del costituzionalismo. Lineamenti di filosofia del diritto costituzionale, Roma-Bari, Laterza, 2004. 9 A proposito della collocazione del giusnaturalismo nell’ottica del volontarismo propone interessanti osservazioni: G. Torresetti, Crisi e rinascita del diritto naturale in Leibniz. La razionalità del diritto, Milano, Giuffrè, 2000, pp. 133205. 10 Cfr.: J. Rohls, Geschichte der Ethik, Tübingen, Mohr, 1991; tr. it. di P. Kobau, Storia dell’etica, Bologna, il Mulino, 1991, p. 235. 11 Ibid., pp. 11-12. 12 Così afferma V. Melchiorre in Essere e parola. Idee per un’antropologia metafisica, Milano, Vita e Pensiero, 1982, pp. 50-51. In nota, all’etimologia latina e greca, egli aggiunge anche il riferimento all’etrusco «phersu» e ai testi tradizionali sull’argomento, da A. Trendelenburg, Zur Geschichte des Wortes «Person», «Kant-Studien», 13, 4, 1908 a H. Rheinfelder, Das Wort «Person», Halle-Tübingen, M. Niemeyer, 1928, a M. Nédoncelle, Remarques sur l’expression de la persone en grec et en latin, in: Exploration personnalistes, Paris, Aubier-Montaigne, 1970 (ibid., nota 26 di p. 51). 13 Stephen Toulmin in un brillante saggio del 1982, How Medicine saved the life of ethics, in: «Perspectives in Biology and Medicine», 25, 1982, pp. 736-750, ha osservato che è stata la biologia a resuscitare l’etica, strappando gli studiosi di etica razionale dagli accademici dibattiti metaetici e costringendoli a cimentare le loro teorie con gli interrogativi morali connessi alla sperimentazione e alla prassi medica. 14 Gli autori di riferimento in proposito sono comunemente J. Rawls e J. Habermas, dei quali segnaliamo le seguenti opere: J. Rawls, A Theory of Justice, Oxford, Oxford U. P., 1971; tr. it. a cura i S. Maffettone, Una teoria della giustizia, Milano, Feltrinelli, 1982; Id., Political liberalism, New York, Columbia U. P., 1996; tr. it. di G. Rigamonti, Liberalismo Politico, Milano, Edizioni di Comunità, 1999. J. Habermas, Erlauterungen zur Diskursethik, Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1991; tr. it. di V. Tota, Teoria della morale, Roma-Bari, Laterza 1994; Id., Faktizität und Geltung. Beiträge zur Diskurstheorie des Rechts und des demokratischen Rechtsstaats, Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1992; tr. it. di L. Ceppa, Fatti e norme. Contributi a una teoria discorsiva del diritto e della democrazia, Milano, Guerini e Associati, 1996. In Italia, possiamo citare U. Scarpelli, Etica senza verità, Bologna 1982; Id., La bioetica. Alla ricerca dei principi, in: «Biblioteca della libertà», XXII, 1987, pp. 7-32. Il filosofo Scarpelli, scomparso qualche anno fa, rappresenta il punto di riferimento riconosciuto della cosiddetta bioetica laica italiana, la quale, negando che ci sia una 8 verità sul bene della vita, basa l’etica sulla ricerca intersoggettiva di un accordo (proceduralismo o utilitarismo) o sull’arbitrio di una scelta ultimamente non razionalizzabile (emotivismo o decisionismo). Così L. Melina, Riconoscere la vita. Problematiche epistemologiche della bioetica, in: A. Scola (a cura di), Quale vita? La bioetica in questione, Milano, Mondadori, 1998, p. 81 e nota 17 di p. 360. Anche dall’ambito economico-manageriale, tuttavia, si è levato recentemente l’auspicio per uno stop al proceduralismo e un ritorno alla valutazione soggettiva e al ragionamento. Cfr.: S. Blyth, Età della ragione o età della procedura, in «Risk Italia», 4, novembre 2004, pp. 43-44. Stephen Blyth è «managing director» e responsabile londinese di Deutsche Bank in «European Arbitrage Trading». 15 Il decisionismo si esplicita, nella teoria politica, con Carl Schmitt, di cui menzioniamo: Der Begriff des Politischen, Berlin, Duncker & Humblot, 1991; tr. it. a cura di G. Miglio e P. Schiera, Le categorie del politico. Saggi di teoria politica, Bologna, il Mulino, 1972; Id., Die Tyrannei der Wert. Überlegung eines Juristen zur Wert-Philosophie, Stuttgart, W. Kohlhammer, 1960; tr. it. a cura di G. Accade, La tirannia dei valori, Roma, Pellicani, 1987; Id., Verfassungslehre, Berlin, Duncker & Humblot, 1954; tr. it. a cura di A. Caracciolo, Dottrina della Costituzione, Milano, Giuffrè, 1984. Inoltre: H. Kelsen, Reine Rechtslehre. Einleitung in die rechtswisseshaftliche Problematik, Wien, F. Deuticke, 1934; tr. it. di R. Treves, Lineamenti di dottrina pura del diritto, Torino, Einaudi, 1986. 16 Da J. Bentham, An Introduction to the Principles of Morals and Legislation del 1781, (ed. by J. H. Burns and H. L. A. Hart, in: «The collected works of Jeremy Bentham», Oxford, Clarendon Press, 1996), attraverso John Stuart Mill, Utilitarianism, liberty, representative government del 1863 (London-New York, Dent-Duton, 1971; tr. it. a cura di P. Beraldi, Utilitarismo, Bari, Editoriale Universitaria, 1974) e H. Sidgwick, Methods of Ethics (London, Macmillan & Co., 1962; tr. it. a cura di M. Mori, I metodi dell’etica, Milano, Il Saggiatore, 1995), l’utilitarismo etico ci raggiunge oggi con P. Singer: Practical Ethics, Cambridge, Cambridge University Press, 1979; tr. i. di G. Ferranti, Etica pratica, Napoli, Liguori, 1989; Id., How Are We to Live? Ethics in an Age of Self-interest, Melbourne,Text Publishing, 1993; Id., Rethinking life and death: the collapse of our traditional ethics, New York, St. Martin’s Press, 1994; tr. it. di S. Rini, Ripensare la vita, Milano, Il Saggiatore, 2000; Id., Writings on an Ethical Life, New York, Ecco, 2000; tr. it., La vita come si dovrebbe, Milano, Il Saggiatore, 2001. Si prospettano anche scenari di superamento dell’utilitarismo: cfr., A. Sen -B. Williams, Utilitarianism and beyond, Cambridge, Cambridge University Press, 1982; tr. it. a cura di S. Veca, Utilitarismo e oltre, Milano, Il Saggiatore, 1990. 17 J. F. Fletcher, Situation Ethics. The New Morality, Philadelphia, Westminster Press, 1966; tr. it. di M. Vittorio, Etica della situazione. La nuova morale, Catania, C.U.E.C.M, 2004. 18 Padre riconosciuto dell’emotivismo è C. L. Stevenson con The Emotive Meaning of Ethical Terms, «Mind», XVI, 1937, pp. 14-31. Inoltre: Id., Ethics and language, New Haven, Yale University Press, 1953; tr. it. di S. Ceccato, Etica e linguaggio, Milano, Longanesi, 1962. 19 Questo atteggiamento è documentato dalla cosiddetta bioetica clinica di A. R. Jonsen, Clinical ethics: a practical approach to ethical decisions in clinical medicine, New York, McGraw-Hill, 1992; tr. it. a cura di A. Spagnolo, Etica clinica. Un approccio pratico alle decisioni etiche in medicina clinica, Milano, McGraw-Hill, 2003. Jonsen si era già dedicato ad esplorare l’antica pratica della casistica, apprezzando anche la tradizione casistica della morale cattolica in: A. R. Jonsen and S. Toulmin, The abuse of casuistry: a history of moral reasoning, Berkley, University of California Press, 1988. 20 Cfr.: L. Melina, Riconoscere la vita…, cit., p. 77. 21 Già secondo Aristotele chi ignora ciò che fa, agisce involontariamente, cioè in modo non pienamente umano, essendo «il volontario…quello il cui principio sta in colui stesso che agisce, conoscendo le circostanze particolari in cui si attua l’azione», Etica Nicomachea, tr. it. di C. Mazzarelli, Milano, Rusconi, 1993 (Collana Testo a Fronte), III, 1111a 15-20, pp. 114-115. Anche per Tommaso D’Aquino, «si dice atto umano non qualsiasi atto compiuto dall’uomo o nell’uomo, perché in alcuni atti gli uomini operano come le piante e i bruti, bensì un atto proprio dell’uomo» (Quaestiones disputatae, De virtutibus, q. 1, a. 4. Textum Taurini 1953 editum ac automato translatum a Roberto Busa SJ in taenias magneticas denuo recognovit Enrique Alarcón atque instruxit), tale, cioè, che, snodandosi attraverso le tre fasi della deliberazione, del consiglio e della scelta o elezione, comporti la collaborazione dell’intelletto e della volontà (Summa Theologiae I-II, qq. 6-21. Textum Leoninum Romae 1891 editum ac automato translatum a Roberto Busa SJ in taenias magneticas denuo recognovit Enrique Alarcón atque instruxit). 22 Cfr.: H. Tristram Engelhardt jr., The foundations of bioethics, New York, Oxford University Press, 1986 ; tr. it. di S. Rini, Manuale di bioetica, Milano, il Saggiatore, 1999, pp. 39-40. La posizione di Engelhardt è quella di una secular bioethics, puramente procedurale: essa prevede l’accordo tra le parti come unica via per risolvere le controversie morali, in quanto queste sorgono a partire da ethos contrastanti e inconciliabili (ibid., p. 97 e ss.), e stabilisce il primato del principio del permesso su quello della beneficenza (ibid., p. 143). 23 Cfr.: A. Naess, Il movimento ecologico: ecologia superficiale ed ecologia profonda. Una sintesi, (1973), tr. it. in: M. Tallacchini (a cura di), Etiche della terra. Antologia di filosofie dell’ambiente, Milano, Vita e Pensiero, 1998; Id., Ecology, community and lifestyle: outline of an ecosophy, (english trans. by D. Rothenberg; tit. orig.: Okology, samfunn og livsstill), Cambridge, Cambridge University Press, 1989; tr. it. di E. Recchia, Ecosofia. Ecologia, società, stili di vita, 1976, Red, Como 1996. 9 24 H. Jonas, Das Prinzip Verantwortung. Versuch einer Ethik für die technologische Zivilisation, Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1984; tr. it. a cura di P.P. Portinaro, Il principio responsabilità. Un’etica per la società tecnologica, Torino, Einaudi, 1990. 25 Ibid., p. 57. 26 Ibid., p. 124. 27 H. Jonas, Technik, Medizin und Ethik: zur Praxis des Prinzips Verantwortung, Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1987; tr. it. a cura di P. Becchi, Tecnica, medicina ed etica. Prassi del principio responsabilità, Einaudi 1997, p. 122 28 Ibid., p. 101. 29 H. Jonas, Dem bösen Ende näher : Gespräche über das Verhältnis des Menschen zur Natur, Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1993; tr. it. di A. Patrucco Becchi, Sull’orlo dell’abisso. Conversazioni sul rapporto tra uomo e natura, Torino, Einaudi, 2000, p. 8. 30 H. Jonas, Tecnica, medicina ed etica, cit., p. 153. 31 31 Cfr.: R. Descartes, Discours e la méthode et Essais, in: Oeuvres de Descartes, (11 voll.), a cura di Ch. Adam e P. Tannery, Paris, Cerf, 1897-1913, t. VI; ed. it. a cura di E. Garin, Discorso sul metodo, in Opere filosofiche, Roma-Bari, Laterza, 1994, pp. 60-61: «Dopo, esaminando con attenzione ciò che ero, vidi che potevo supporre di non avere nessun corpo e che non esistesse mondo né nessun luogo dove io fossi, ma che non potevo per questo supporre di non esistere; al contrario, per il fatto stesso che pensavo di dubitare della verità delle altre cose, ne seguiva con estrema evidenza e certezza che io esistevo, mentre se solo avessi cessato di pensare anche se tutto il resto che avevo immaginato fosse stato vero, non avrei avuto alcun motivo per credere di essere esistito; da ciò inferii che ero una sostanza la cui essenza o natura non è altro che pensiero, e che per esistere non ha bisogno di alcun luogo né di dipendere da nessuna cosa materiale». 32 M. Scheler, Die Stellung des Menschen im Kosmos, in: Gesammelte Werke (d’ora in avanti: GW), hrsg. v. M. Scheler e M. Frings, Bern-München, Francke, 1975, IX, «Späte Schriften»; tr. it. di R. Padellaro, La posizione dell’uomo nel cosmo, in: M. T. Pansera (a cura di), La posizione dell’uomo nel cosmo, Armando, Roma 1997, pp. 169-170. Inoltre: Id., Die Formen des Wissens und die Bildung, in GW IX, cit.; tr. it. di A. Trotta, Le forme del sapere e la Bildung, in: A. Kaiser (a cura di), La Bildung ebraico-tedesca del Novecento, Milano, Bompiani 1999, pp. 184-185. 33 M. Scheler, Probleme einer Soziologie des Wissens, in GW VIII, «Die Wissensformen und die Gesellschaft», 1960; tr. it. di D. Antiseri, Sociologia del sapere, Roma, Abete, 1976, p. 127. Id., Erkenntnis und Arbeit, in GW VIII, cit.; tr. it. di L. Allodi, Conoscenza e lavoro, Milano, Angeli, 1997, pp. 112-113. 34 M. Scheler, Wesen und Formen der Sympathie, GW VII, 1973; tr. it. di L. Pusci, Essenza e forme della simpatia, Roma, Città Nuova, 1980, pp. 234, 239, 244. Inoltre: Id., Conoscenza e lavoro, cit., p. 108. 35 Così il prof. A. Bompiani, in occasione della XII Assemblea Generale della Pontificia Accademia della Vita, Città del Vaticano, 27-28 febbraio 2006: « Queste proprietà [continuità, gradualità e coordinazione dello sviluppo embrionale]– all’inizio quasi trascurate nel dibattito bioetico – vengono sempre più considerate importanti in epoca recente, a motivo delle progressive acquisizioni che la ricerca in vitro offre sulla dinamica dello sviluppo embrionale anche nelle fasi morulari che precedono la formazione della blastocisti. L’insieme di queste tendenze costituisce la base per interpretare lo zigote già come un "organismo" primordiale (organismo monocellulare) che esprime coerentemente le sue potenzialità di sviluppo attraverso una continua integrazione dapprima fra i vari componenti interni e poi fra le cellule cui dà progressivamente luogo. L’integrazione è sia morfologica che biochimica. Le ricerche in corso già da qualche anno non fanno che apportare sempre ulteriori "prove" di queste realtà». Cfr. anche: Ph. Caspar, Pour un principe d’individuation des êtres vivants, in: «Revue des questions scientifiques», 155, 1984, p. 425 ; Id., L’individuation des êtres : Aristote, Leibniz et l’immunologie contemporaine, Paris/Namur, Lethielleux, 1985 ; G. R. Burgio, L’io biologico. Dalle difese immunitarie alla consapevolezza della individualità, in: «Rivista Italiana di Pediatria», 14, 1988, pp. 255261. P. Parisi, Discussion on biological and genetic identity: personal identity and the case of identical twins, in: «Human Reproduction» 4, 1989, pp. 103 e ss.. S. F. Gilbert, Developmental Biology, Sunderland MA, Sinauer Associates Publishers 1991, p. 19; tr. it. di A. M. Casali, Biologia dello sviluppo, Bologna, Zanichelli, 2005. M. Johnson, Delayed hominization. Reflections on some recent catholics claims for delayed hominization, in: «Theological Studies», 56, 1995, pp. 743-763. J. Porter, Individuality, personal identity and the moral status of the pre-embryo: a response to Mark Johnson, in: «Theological Studies», cit., p. 765. 36 Q. S. F. Tertulliano, Apologetico, (con testo latino a fronte), tr. e note di A. Resta Barrile, Bologna, Zanichelli, 1980, IX, 8. 37 Cfr.: H. R. Maturana - F. Varela, Autopoiesis and cognition. The realization of the living, Dordrecht, Reidel, 1980; tr. it. di A. Stragapede, Autopoiesi e cognizione. La realizzazione del vivente, Venezia, Marsilio 1985. In tale volume, pubblicato in lingua inglese, è confluito il contributo: Autopóiesis: la organización de lo vivo, scritto da Varela nel 1970 e apparso insieme all’articolo di H. R. Maturana, La neurofisiología del entiendimiento, sotto il titolo: De máquinas y seres vivos. Una teoría de la organización biológica, Santjago, Editorial Universitaria, 1973. 38 A.-T. Tymieniecka, Die Phänomenologische Selbstbesinnung, in «Analecta Husserliana», 1, 1971, pp. 2-3. 39 Id., Tractatus brevis. First principles of the methaphysics of life charting in the human condition: man’s creative act and the origins of rationalities, in «Analecta Husserliana», 21, 1986, p. 3. 40 Id., Die Phänomenologische Selbstbesinnung, cit., p. 9. 10 41 Id., Tractatus brevis, cit., p. 10. Ibid., p. 11. 43 Id., Logos and Life: Creative Experience and the Critique of Reason, Book 1, «Analecta Husserliana», XXIV, 1988, pp. 25-26. 44 M. Kronegger and A.-T Tymieniecka (eds), Life. The Human Quest for an Ideal, in: « Analecta Husserliana», XLIX, 1996, p. 15. 45 A.-T Tymieniecka, Creative Experience and the Critique of Reason, cit., p. 5. 46 R. Spaemann, Personen. Versucheüber den Unterschied zwischen „etwas“ und „jemand“, Stuttgart, J. G. Cotta’sche Buchhandlung, 1996; tr. it. di L. Allodi, Persone. Sulla differenza tra “qualcosa” e “qualcuno”, Roma-Bari, Laterza 2005, p. 241. 47 Giovanni Paolo II, Evangelium vitae, § 43, lettera enciclica (25.03.1995). 48 S. Thomae Aquinatis, Summa Theologiae, I, q. 118, a. 2, ad 2; tr. it. a cura dei Domenicani italiani, La Somma teologica, (35 voll.), Bologna, ESD, 1985, vol. 7. 42 ----------------------------------------------------------------