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Mostro Di Firenze: Processo Pacciani '94 - Arringhe Delle Parti Civili (udienza Del 20-10-94)

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PROCESSO PACCIANI

– UDIENZA DEL 20/10/1994 –
ARRINGHE DELLE PARTI CIVILI

Note del trascrittore:
– L’intervento dell’Avvocato Luca Santoni Franchetti è stato già precedentemente trascritto ed
è leggibile qui: http://insufficienzadiprove.blogspot.it/2013/01/avvocato-luca-santonifranchetti_21.html
– Eventuali parti di audio mancanti saranno trascritti con la dicitura (…mancante, ndr…)

Presidente: Benissimo signori, si riprende. Chi parla? L’avvocato Ciappi? Avvocato Saldarelli,
prego…
Avvocato Saldarelli: Signori della Corte, signor presidente. Prendo le conclusioni per le parti civili
costituite: Elfride Meyer, Waltraud Sorensen e Nencini Rina da me assistite. Depositerò le
conclusioni al termine del mio dire, mi scuso sin d’ora con la Corte se, per la doverosa
ristrettezza dei tempi che mi sono assegnato, dovrò per forza di cose saltare argomenti o
considerazioni pure importanti. Soprattutto in un processo come questo, nel quale questa
parte civile ha inteso esercitare una presenza certamente sofferta perché è un processo che
riguarda fatti di eccezionale gravità. Una presenza sofferta ma anche contrassegnata
dall’attesa; perché non vi è dubbio che solo da questo dibattimento e solo attraverso la
formazione della prova, dinnanzi a questa Corte, si sarebbe potuta raggiungere la
convinzione della avvenuta acquisizione di quegli elementi che necessariamente debbono
essere il supporto probatorio ad una sentenza di condanna. Non poteva essere che un
approccio umile da parte di questa parte civile perché molti magistrati, molte autorità
giudiziarie, avevano tentato in passato di scavare in queste vicende drammatiche con esiti
contraddittori; del resto posti in evidenza dal collega avvocato Santoni Franchetti che ha
proposto a questa Corte una ipotesi che, all’avviso di questa difesa, non è certamente
conflittuale con quella che vi ha proposto il Pubblico Ministero. E che per ragioni di logica,
per ragioni di esperienza, per ragioni, soprattutto, di un corretto criterio di valutazione della
prova paiono in questa sede giudiziaria sicuramente condivisibili, fermo restando che questa
parte civile non esclude la possibilità che ulteriori indagini possano acclarare altre e
convergenti responsabilità nei confronti di altri soggetti. Ma il dato obiettivo che è emerso in
questo processo è che certamente Pietro Pacciani è colpevole dei reati a lui ascritti. Qual è,
ad avviso di questa difesa, il criterio più sereno di valutazione del materiale acquisito, degli
elementi? Sia che li si chiamino indizi, sia che li si chiamino prove: non sono due categorie
diverse. Sia che costituiscano essi prova diretta o indiretta o prova logica. Sia che essi
traggano spunto da elementi oggettivamente acquisiti agli atti di questo processo, sia che gli
stessi derivino dalle testimonianze anch’esse acquisite a questo processo. L’importante è che
si adotti sempre un criterio “di normalità”: un criterio di valutazione, secondo prudente
esperienza e secondo coscienza, che è poi il criterio che dovrebbe regolare tutte le attività
umane. È vero, ogni elemento di prova, ogni indizio è suscettibile di letture diverse; tali
letture devono essere in qualche modo fatte, ma – con riferimento a tali letture! – deve essere
scelta quella che è il frutto della normalità, di ciò che è patrimonio comune di tutti noi. Se io
vedo un albero di mele e se una certa mattina trovo che sotto questo albero vi sono alcune
mele presumo, inevitabilmente, che tali mele siano cadute da quell’albero! Non posso fare a
meno di dire che quelle mele sono cadute da quell’albero, pure esistendo una serie infinità di
altre possibilità: ad esempio che qualcuno sia andato da un ortolano a comprare un cestino di
mele e le abbia sparse attorno a quell’albero, oppure che un forte ed impetuoso vento abbia
portato sotto quell’albero mele di un altro albero… Astrattamente sono tutte ipotesi fattibili,
si può anche arrivare a dire che entità extraterrestri hanno, ad un certo punto, portato quelle
mele sotto quell’albero! Come deve essere valutata? Qual è l’esito finale del ragionamento al
quale tutti noi dobbiamo tendere e necessariamente uniformarci? L’“id quod plerumque
accidit” mi dice che quelle mele sono cadute da quell’albero. E, pure astrattamente non
escludendo le altre ipotesi, a questo punto, io chiedo, a chi sostiene queste ipotesi, la prova
rigorosa che quelle mele non sono cadute dall’albero; che quelle mele sono state acquistate
dall’ortolano e che sono state portate nottetempo sotto quell’albero per fare apparire
all’indomani essere, le dette mele, cadute da quell’albero. Ed è un po’ la regola che deve
governare la valutazione della prova in questo processo perché eh, perché questo processo è
pieno di elementi, è pieno di prove. È pieno soprattutto di riscontri: siano essi positivi o
siano essi negativi. In sostanza, e lo vedremo fra un momento perché è un aspetto
fondamentale di questo processo, ogni qualvolta si è chiesto a Pietro Pacciani di dare una

spiegazione relativa ad elementi oggettivi, che in maniera indiscutibile lo legavano ai fatti
dei quali è a processo, Pietro Pacciani ha dato una risposta falsa. La falsità è una categoria
che, sotto un profilo squisitamente giudiziario, forse non ha una grandissima rilevanza atteso
che l’imputato può mentire. L’imputato però ha una facoltà importantissima che è quella di
astenersi dal rispondere, facoltà ormai canonizzata e ribadita sia dalle norme positive sia
dalla costante giurisprudenza. L’imputato però quando…
Presidente: Chiudiamo quella porta per favore! Scusi avvocato…
Avvocato Saldarelli: … intende rispondere, direttamente o indirettamente, quando intende fornire
spiegazioni, direttamente o indirettamente, riferite a specifici episodi, a specifici fatti, a
specifici elementi che in qualche modo lo collegano al fatto-reato ha due possibilità: la scelta
di astenersi dal rispondere – di talché, da tale sua condotta non può derivarne, né può
inferirsene alcun significato –, o la scelta di dare una spiegazione, nel qual caso, se la
spiegazione e se la versione è falsa, le conseguenze, anche sotto un profilo di diritto, sono
conseguenze ben precise. Perché quando si parla di alibi ci si riferisce all’alibi assoluto e
all’alibi relativo, perché quando si parla di circostanze significative ai fini dell’accertamento
della verità si fa riferimento proprio a quegli elementi acquisiti nell’ambito del processo che
siano elementi indiziari specifici, perché quando si parla del cosiddetto alibi fallito o falso si
fa una bella differenza… E nel caso di Pietro Pacciani, e la Corte dovrà contrassegnarlo, non
si è trattato mai di alibi fallito ma di alibi falso! Dicevamo che il primo problema che questa
difesa, attraverso molti anni nei quali ha vissuto certamente non in maniera così intensa
come il Pubblico Ministero o come i Pubblici Ministeri che si sono occupati di questi casi o
di altri difensori, le vicende che hanno insanguinato questa provincia, certamente non può
non aver riflettuto su un problema fondamentale che, mi si consenta!, non è tanto del tipo di
autore ma della compatibilità d’autore. Cioè – e mi spiego meglio – fin dal primo momento
nel quale si è sentito parlare di Pietro Pacciani come indagato per questi reati, il primo
problema che istintivamente alcuni di noi si sono trovati ad affrontare era il seguente: “Ma
può essere Pietro Pacciani l’autore di questi delitti?” Perché Pietro Pacciani dava
un’immagine di sé che in qualche modo stonava, non era compatibile perché Pietro Pacciani
ha tentato, fino all’ultimo momento, di accreditare una sua immagine che “conflittava”
irrimediabilmente con colui che è stato certamente l’autore di questi fatti. Voi ricorderete il
ribadire, l’insistito dire del Pacciani sulla sua cultura agraria, sul suo attaccamento alla terra,
sull’essere un contadino, sul non aver fatto mai male a una mosca, sull’essere stato sempre
buono, sull’aver sempre lavorato… Il tentativo di accreditare un’immagine che certamente
non aveva punti di coincidenza con la efferatezza di questi delitti! Pian pianino però – e i
processi anche a questo servono… – pian pianino però il problema della compatibilità di
autore si è risolto da solo; ci ha pensato Pietro Pacciani a risolverlo: perché anche su questo
ha continuato a mentire, ha continuato a voler accreditare, nei confronti dei giudici popolari
e dei giudici togati, l’essere lui persona assolutamente incapace – per costituzione, direi – a
commettere quei delitti. In realtà è emerso da una serie di acquisizioni che ormai fanno parte
della storia giudiziaria l’assoluta compatibilità d’autore. La prima risposta al quesito non può
che essere positiva, Pietro Pacciani può essere l’autore di questi delitti: ne ha le
caratteristiche, ne ha la personalità, i suoi trascorsi giudiziari testimoniano la sua devianza;
testimoniano, oltre che la sua devianza, note caratteriali assolutamente specifiche di
violenza, di sopraffazione, tali da rendere Pacciani il possibile autore di questi delitti. Non
starò certo a dilungarmi su questo aspetto, mi permetto solo di connotare alla Corte che è
stato un aspetto che per molto tempo ha, in qualche modo, inquietato questo difensore perché
rappresentava il primo gradino faticoso di approccio alla verità. Perché se la risposta al
quesito non fosse stata positiva avrei dovuto ritenere che gli elementi indiziari a carico del
Pacciani, ancorché significativi, ancorché convergenti, ancorché univoci, forse non erano
sufficienti a spiegare o a dare la prova certa della responsabilità del Pacciani. Perché

“conflittati”, alla radice, da una incompatibilità d’autore. La verità è che, di fronte a questa
Corte, e nel metro di giudizio che questa Corte certamente utilizzerà anche con riferimento a
questa problematica, abbiamo assistito al reiterato mendacio del Pacciani che, in qualche
modo e con l’astuzia che lo ha sempre contraddistinto, ha capito immediatamente che
avrebbe dovuto allontanare da sé questi delitti. Immediatamente sotto il profilo della
compatibilità d’autore! “Non li ho fatti io, non li ho ammazzati io perché io non ne sono
capace…”. Questo vi ha detto: “Perché io sono una persona buona, sono una persona
attaccata alla famiglia, sono un contadino che ama la terra! Che ama quindi la realtà della
vita… E quindi non posso essere stato io l’autore di questi delitti perché io, Pietro Pacciani,
non mi riconosco in questi delitti…”. Che abbia detto il falso la Corte lo ha potuto
apprezzare in maniera assolutamente chiara; che abbia detto il falso e che fosse un “falso
strumentale” lo ha potuto altrettanto apprezzare. E la strumentalità del falso deriva proprio
da questa sua esigenza istintiva di allontanare immediatamente da sé i fatti ai quali è
chiamato a rispondere. Che il falso sia purtroppo stato accertato è altrettanto pacifico, e non
è certo compito di questa difesa ripetere l’elenco drammatico, fatto dal Pubblico Ministero,
su tutti gli elementi che univocamente convergono ad accettare e a stabilire questa
compatibilità d’autore. Le testimonianze penose, sofferte, impressionati che hanno dato
un’immagine del Pacciani talmente chiara, talmente evidente, talmente significativa da poter
dire… da consentire a questa parte civile di fare un’affermazione assoluta: “Pacciani può
essere l’autore di questi delitti.” Eh, superato questo scoglio iniziale, un altro problema si è
affacciato in maniera imponente, che in qualche modo consente anche una chiave di lettura
logica di una serie di omissioni, di apparenti discrepanze; oserei dire di oggettiva
impossibilità di accertare fino in fondo certe cose o certi comportamenti: l’ambiente nel
quale si muoveva il Pacciani. L’ambiente nel quale il Pacciani non solo si muoveva ma che,
in qualche modo… che in qualche modo consentiva al Pacciani di muoversi! Ambiente fatto
di reticenza, complicità; fatto e composto da soggetti che, per difendere se stessi, non
potevano che tacere. Ed hanno taciuto! Noi siamo convinti che molte persone sappiano ciò
che è successo, sappiano che il Pacciani è l’autore di questi delitti! Non verranno mai di
fronte ad una Corte a dirlo. È una complicità ed un’omertà che deriva da un esigenza
primaria di salvaguardare se stessi. Bene ha fatto il Pubblico Ministero a sottolineare questo
aspetto perché questo spiega tante cose di questo processo: come, spesse volte, alcuni testi
neghino di aver detto certe cose quando poi si è accertato, pacificamente, che quelle cose
sono state dette. O perché in alcune occasioni la memoria…
Presidente: Senta Pacciani… Avvocato Bevacqua, scusi ma non lo farà apposta certamente ma qui
disturba… Però è il tono di voce che ha, quindi o sta zitto oppure… Sennò bisogna che vada
di là… Veda un pochino: se poi non vuole stare in aula e vuole accomodarsi lì. Va Bene? Mi
scusi avvocato Saldarelli…
Avvocato Saldarelli: Presidente anzi la ringrazio. Perché non vi è dubbio che il Pacciani abbia il
diritto di lamentarsi e credo che si lamenterà – attraverso i suoi difensori valorosi,
certamente agguerriti – di quello che io sto dicendo e delle poche cose che andrò a dire tra
poco. Se ne lamenterà perché, ad avviso di questa difesa, gli elementi a carico del Pacciani
sono talmente tanti e significativi, quantomeno con riferimento a due delitti, che non
consentono di ipotizzare altre soluzioni se non quella di un affermazione di responsabilità
del Pacciani! Ma per tornare, un momentino, a quell’annotazione che mi ero permesso di
rassegnare alla Corte – direi come criterio metodologico che questo difensore ha inteso
adottare nel momento in cui si è avvicinato ad una serie di elementi testimoniali – non può
non tenersi conto della provenienza, dell’ambiente; non si può non tener conto dell’esistenza
di un condizionamento complessivo che deriva proprio dall’essere quell’ambiente quello che
noi abbiamo sentito essere in queste aule. Non lo abbiamo mica inventato noi: certo,
Pacciani ha continuato reiteratamente anche su questo a mentire, a rappresentare se stesso

alla Corte come persona che nulla ha a che vedere con quell’ambiente. Ha parlato di un
complotto nei suoi confronti, che sarebbe stato addirittura ordito e poi portato a perfezione
da un soggetto non identificato ma facilmente identificabile, convinto della sua
responsabilità di questi fatti. Ha negato tutto; ha negato, oserei dire, anche l’evidenza!
Sempre per quell’esigenza di rappresentare se stesso come soggetto incompatibile con i fatti.
Direi che sul punto ha fatto una ben misera e meschina figura; se è vero come è vero che
voce univoca, direi corale, che in questo dibattimento è emersa è che Pietro Pacciani aveva
quelle caratteristiche, faceva parte di quell’ambiente, aveva quelle devianze sessuali delle
quali abbiamo ripetutamente sentito parlare. Ho detto poc’anzi… ho detto poc’anzi,
accennando anche a quello che io ritengo essere il materiale probatorio a carico del Pacciani,
che forse un eccesso di sicurezza, forse addirittura, per certi aspetti, un desiderio o una
necessità inconscia di lasciare comunque delle tracce che in qualche modo potessero
rappresentare quella sorta di “sigillo d’autore”, certamente in due episodi gli elementi
acquisiti sono talmente rilevanti e schiaccianti da contrassegnare in maniera indiscutibile la
responsabilità del Pacciani. Io non parlerò degli altri delitti perché – vedano – secondo quella
regola generale che mi sono permesso di sintetizzare con quella esemplificazione agreste, io
debbo dire alla Corte che i fatti oggetto del presente giudizio sono tutti oggettivamente legati
tra loro in maniera indissolubile. Di talché l’autore di uno di essi non può essere l’autore
anche degli altri! Si dirà: “Ma è un protopostulato!”. No, non è vero: è un dato assolutamente
obiettivo acquisito al processo. L’identità dell’arma con la quale queste coppie sono state
uccise, questo è un elemento oggettivo talmente rilevante e talmente pesante da non
consentire in alcun modo altre ipotesi. Il problema è vedere se in uno di questi delitti, o in
più di questi delitti, vi siano elementi tali da contrassegnare in maniera univoca la
responsabilità di Pietro Pacciani. Se in uno di questi delitti, commessi con la stessa arma, vi
siano elementi che leghino indissolubilmente Pietro Pacciani al fatto. Questa sarebbe la
“prova specifica” della quale vi ha parlato l’avvocato Santoni. Beh io direi che per molti di
questi episodi vi sono elementi di prova a carico di Pacciani. Siano essi di “prova generica”,
siano essi direi appartenenti a quella sfera logica, che ancora non è prova, ma che certamente
confluisce ad affermare il criterio di valutazione della prova: ad esempio la territorialità dei
fatti, ad esempio la possibilità materiale per Pietro Pacciani, che pure è stato a lungo
detenuto ed in due occasioni, di commettere questi reati perché in quel periodo Pietro
Pacciani non era detenuto. Non è prova questa certamente, ma appartiene a quella categoria
logica che consente di interpretare il significato degli elementi oggettivamente acquisiti. Beh
io direi… io direi che Pietro Pacciani è indissolubilmente legato, siccome raggiunto da prove
di natura oggettiva e di natura soggettiva – intendendo per tali le testimonianze –
sicuramente univoche, sicuramente gravi, sicuramente tali da non consentire ipotesi
alternative se non quella della commissione di questi fatti da parte anche di altri soggetti,
oltre a Pietro Pacciani. Perlomeno in due degli episodi dei quali la Corte è chiamata ad
emettere sentenza: l’omicidio Meyer e Rush e l’omicidio Kraveichvili e Mauriot. Quando la
Corte si troverà ad analizzare questi due episodi si troverà in possesso di una serie di
elementi tali da imporre logicamente l’affermazione di responsabilità di Pietro Pacciani. E
partirò, brevissimamente perché poi io non avrò altro da dire, dall’ultimo omicidio: quello
della coppia francese avvenuto il 9 settembre ’85 in Scopeti. Non starò certamente a ripetere
la dettagliata elencazione degli elementi testimoniali a carico del Pacciani. Pacciani è stato
visto sul luogo del delitto… Pietro Pacciani è stato ripetutamente visto sul luogo del delitto!
Pietro Pacciani non è stato in condizione di fornire alcuna spiegazione: Pietro Pacciani ha
negato; Pietro Pacciani è stato trovato in possesso di quel biglietto che fa esplicito
riferimento di quella località! Pietro Pacciani è certamente l’autore di quel delitto. Ripeto e
sottolineo: può non essere stato il solo, può certamente emergere – se le indagini andranno
avanti – ulteriori responsabilità. Può essere certamente accettata la ricostruzione che ci ha
offerto il collega Luca Santoni Franchetti, che però non inclina minimamente il complesso
probatorio nei confronti di Pietro Pacciani. Ma la Corte si dovrà porre un ulteriore e

significativo problema, che in punto di valutazione della prova è certamente importante:
Pietro Pacciani, oltre che essere indicato da soggetti che hanno riferito essere stato Pietro
Pacciani sul luogo dell’omicidio, e quindi significativamente raggiunto da elementi di
responsabilità, la Corte dovrà dare il giusto peso anche agli elementi oggettivi. Ma forse noi
ci dimentichiamo che in questo processo a Pietro Pacciani sono stati trovati e quindi
sequestrati sicuramente provenienti da uno dei delitti dei quali si parla: il delitto dei due
ragazzi tedeschi. Può anche essere che il quadro fosse in quel furgoncino, ma a me non
interessa perché non vi è la prova che fosse in quel furgoncino; la ricostruzione offertavi dal
collega che mi ha preceduto è suggestiva: può essere, ma appartiene alla categoria delle
ipotesi che questo difensore non intende fare, non intende affrontare. Ma a Pietro Pacciani
sono stati trovati oggetti sicuramente provenienti da quel furgoncino: il blocco, le matite, il
portasapone. Perché dico sicuramente provenienti da quel furgoncino? Perché noi abbiamo
agli atti la prova che, per certo, quei ragazzi erano in possesso di quegli oggetti… e noi
abbiamo la prova, assoluta!, che con riferimento a quegli oggetti il Pacciani ha mentito!
Questo è il dato più importante, questo è il dato più importante: Pacciani ha detto prima di
averli acquistati in cartoleria, poi di averli trovati in una discarica. A me serve connotare alla
Corte questo rilievo, che è fondamentale perché quando si parla di “alibi relativo” si allude
proprio a questo: quel blocco da disegno, quelle matite, quel portasapone sono stati subito
contestati al Pacciani come elementi che lo legavano al delitto dei tedeschi. Pacciani lo ha
saputo subito, sono stati sequestrati. Pacciani ha detto la sua verità e l’ha detta… falsa! L’ha
ripetuta, falsa anche questa volta. Perché? Perché Pacciani non può dire dove li ha presi!
Non lo può dire. In questo processo Pacciani avrebbe potuto permettersi di dire “sono entrato
in una casa, l’ho svaligiata e ho rubato questi oggetti…”. Perché l’accusa che si formulava a
carico di quest’uomo era di tale rilevanza e di tali conseguenze da indurlo inevitabilmente
anche a confessare un reato, qualora tale reato avesse dato una risposta effettiva a questi
rilievi obiettivi imponenti; dei quali il Pacciani ha subito percepito la pericolosità. No,
Pacciani ha mentito perché non può dire dove li ha presi, non perché non sa dove li ha presi!
È ricorso alla storiella della discarica perché bene o male è il “rifugio in fallo”, falso
anch’esso. Perché sono oggetti che non si trovano in una discarica perché sono oggetti nuovi,
perché sono oggetti di comune utilizzazione. Perché non è il lavandino del quale ci si deve
disfare perché si ristruttura una casa! Perché sono matite, perché è un blocco da disegno
nuovo, perché è un portasapone… Ma voi ricordate che cosa ha detto il Pacciani sul
portasapone? Di averlo preso in carcere! Forse non pensando che la solerzia degli
investigatori sarebbe arrivata a tal punto da fare anche quegli accertamenti. Ha dato la prima
versione che in qualche modo, a suo giudizio, appariva compatibile: falsa anch’essa. Perché
Pietro Pacciani non può dire dove li ha presi… Perché Pietro Pacciani li ha presi in quel
furgoncino la notte nella quale ha ucciso i due tedeschi! Così come ha fatto negli altri delitti,
nei quali si è parlato di “istinto feticista”, vale a dire l’aver preso qualche oggetto
appartenuto alle vittime. Certo, c’è la componente feticista ma c’è anche quella componente
tipicamente contadina che tende a salvare ogni e qualsiasi cosa sia utile. Poi il blocco lo
ritroveremo in una particolare collocazione nella casa Pacciani, che nulla ha a che vedere col
normale utilizzo; forse quindi per quel blocco vi è una componente feticista. Ma certamente
il portasapone l’ha preso perché gli serviva, così le matite: in perfetta sintonia con quella che
è la personalità di Pietro Pacciani.
È un materiale… un materiale indiziario (la categoria giuridica dell’indizio)? È un materiale
probatorio? Io, per la verità, prescinderei da queste distinzioni. Mi limiterei solamente ad
affermare, facendo tesoro di quel presupposto logico del quale in premessa ho fatto
riferimento, che in questa vicenda la Corte non può che attenersi a principi di prudente
valutazione, rifuggendo da forzature. Rifuggendo da ipotesi che pur possono essere fatte, ma
valutando secondo la normale prudenza e diligenza; secondo le regole che debbono
governare ogni e qualsivoglia umana attività: tutto secondo buonsenso e secondo normalità.
E allora io debbo dire che a quegli indizi, che a quelle prove raccolte contro Pietro Pacciani,

e puntualmente elencatevi dal Pubblico Ministero, l’unica risposta che può essere data è che
Pietro Pacciani è l’autore di questi delitti! Non esistono nel nostro ordinamento le
coincidenze! Diceva un grande magistrato che: “Una coincidenza è possibile, due
coincidenze sono una grande sfortuna, tre coincidenze fanno prova.” Di coincidenze – se
così le vogliamo chiamare – in questo processo ce ne sono tantissime e io sono convinto che,
se le indagini avranno ulteriori prosecuzioni ed approfondimenti, forse ne troveremo molte
altre. Ma non sono coincidenze, sono prove: voi avete come criterio logico-interpretativo
alcuni dati fattuali ai quali si è chiesto spiegazione e giustificazione a Pietro Pacciani. Sono
dati fattuali che sicuramente collegano Pietro Pacciani a questi omicidi, che lo fanno ritenere
responsabile di questi fatti. Pietro Pacciani su questi elementi vi ha mentito, vi ha mentito
perché non poteva dire la verità! Perché non poteva dire che cosa effettivamente era successo
e come effettivamente ne era venuto in possesso. Su questo la suprema Corte di Cassazione
ha fatto ormai chiarezza. Non si tratta di “alibi fallito”, ma di “alibi falso”. Ed è con questa
convinzione che questa parte civile, condividendo quanto il Pubblico Ministero vi ha detto,
elogiandolo anche per la puntualità, oserei dire per la certosina pazienza nell’elencazione
scrupolosa di ogni elemento, per la onestà intellettuale che lo ha portato forse anche a svilire
di significato alcuni elementi che, contrariamente, a me sono apparsi particolarmente
significativi. A svilirli perché forse provenienti da fonte non del tutto attendibile o inquinata,
o perché in qualche modo attenuati dal tempo. Ma elementi che pur sempre si inseriscono nel
quadro probatorio a carico di Pietro Pacciani che, oltre ed in aggiunta a questi cospicui
elementi che da soli non consentirebbero di raggiungere forse il convincimento della sua
responsabilità (convincimento giuridico, non morale), è raggiunto da quegli elementi che io
mi sono permesso di enucleare sotto il profilo della loro sistematizzazione e dai quali Pietro
Pacciani ha dato una risposta che si è rivelata falsa. Sono elementi oggettivi, soggettivi,
comportamentali. E questo difensore non ha voluto e non intende trarre alcun elemento
ulteriore di convincimento dal fatto che Pietro Pacciani si sia sottratto all’esame. Non
sarebbe suo costume, è suo diritto farlo; però ha il diritto e il dovere di utilizzare comunque
quello che Pietro Pacciani vi ha detto liberamente. Perché è non sottoposto ad alcuna
pressione da parte di chicchessia, né da parte del Pubblico Ministero né da parte dei
difensori. Le due ore nelle quali Pietro Pacciani ha recitato la sua verità sono ricolme di
ulteriori e significativi elementi: basta anch’essi sintetizzarli e sistematizzarli perché
contrassegnano una condotta, anche processuale, sicuramente significativa e tale da
comportare una qualificazione specifica di quegli elementi che io mi sono permesso di
indicare a questa Corte. Chiedo pertanto che l’imputato Pietro Pacciani venga condannato a
pena di giustizia, con tutte le conseguenze in punto civile come da separate conclusioni
scritte che rassegnerò alla Corte. Grazie dell’attenzione.
Presidente: Bene, grazie avvocato Saldarelli. Allora chi parla? Avvocato Ciappi lei? Benissimo.
Avvocato Ciappi: Presidente, prendo le conclusioni per Cardini Iolanda, vedova Baldi. E
ovviamente le mie conclusioni le leggerò al termine della requisitoria che sarà brevissima…
Presidente: Benissimo.
Avvocato Ciappi: Avevo assunto un impegno di sintesi ma, venendo dopo questo Pubblico
Ministero e dopo queste parti civili, sarò ancora più aderente all’impegno che avevo assunto
perché di cose da dire evidentemente, man mano che si va avanti, ne rimangono sempre
meno. Mi sembra che il punto fondamentale sia, prima di ogni altro tipo di considerazione, la
necessità di sgombrare il campo da due equivoci che hanno rischiato di condizionare questo
processo; e che non l’hanno condizionato però per l’attenzione che ad esso è stata dedicata
dagli organi giudicanti. Mi sembra che questo processo abbia corso il rischio di essere
confuso con il processo al “Mostro di Firenze”, invece questo è un processo per otto episodi

di duplice omicidio. Quindi non si tratta di operare una sovrapposizione fra Pietro Pacciani e
l’autore di questi omicidi, ma di vedere se, in realtà, esistano elementi plurimi, gravi, precisi
e concordanti per arrivare a ascrivere a Pietro Pacciani i reati di cui si tratta. Il presidente
questo equivoco l’ha percepito, l’abbiamo percepito e vissuto probabilmente anche noi come
parti ed il pubblico, come porzione di quel popolo nel cui nome si amministra la giustizia…
(…mancante…, ndr) Quando ha dovuto fare l’avviso per cui non era l’oggetto del processo
la sovrapposizione o la compatibilità della figura di Pacciani con quella dell’autore; l’oggetto
del processo era l’accertamento di otto episodi di duplice omicidio. Dall’altro lato un altro
equivoco: il fatto che si trattasse di un processo indiziario e in qualche modo per questo di un
“processus minor”, cioè di un processo basato su indizi e quindi su prove di carattere minore,
e sol per questo di un processo che rappresentasse un arretramento del confine di “civiltà
giuridica” in ordine a questo caso specifico. E non è così, poi vedremo perché, soprattutto
con il nuovo rito processuale. In realtà i due equivoci avevano una matrice comune a mio
avviso, e cioè il fatto che si attribuiva una comprensibile importanza alla vicenda di cui si
trattava, ma si doveva tener presente che non si poteva attribuirne così tanta importanza da
alterare i parametri procedurali. E questo non è stato fatto. E allora questo processo va deciso
secondo le medesime regole procedurali e i medesimi criteri logici e giuridici del processo
più banale che si possa affrontare! Anche se banale non lo è… Il tipo di vicende di cui ci si
interessa è un tipo di vicende che comporta una complessità di accertamento ma non muta le
regole del procedere. E allora probabilmente avremmo… potremmo provare a leggere, in
realtà, gli elementi che sono in questo processo; da ciò una specifica precisazione in punto di
indizi. Per dire che gli indizi in realtà non hanno un valore probatorio inferiore rispetto alla
“prova rappresentativa”: questo ce l’ha detto la Cassazione a più riprese e nel Nuovo Codice,
in particolar modo, la previsione di una regola espressa di valutazione degli indizi che
stabilisce che laddove essi siano gravi, precisi e concordanti (e plurimi ovviamente…) essi
abbiano il valore di una “prova diretta”, essi abbiano un valore sufficiente a fondare qualsiasi
tipo di decisione. Comporta un maggior livello di garanzia nell’ambito di un processo di
questo tipo, non andiamo a dire cos’è “l’indizio certo” perché il fatto indiziante noto,
accertato giudizialmente… l’indizio grave, quello che ha capacità dimostrativa in ordine al
fatto ignoto che interessa accertare; l’indizio preciso, quello che circoscrive l’ambito delle
soluzioni a cui si può arrivare; l’indizio concordante, quello che si collega agli altri e va in
una direzione univoca. In realtà noi abbiamo un processo che sotto un profilo di indizi –
laddove letti in relazione non alla globalità della vicenda, e non in relazione alla
sovrapposizione dell’autore con Pacciani, alla sovrapposizione dell’immagine di Pacciani a
quella ancora oscura che viene proiettata nella nostra fantasia dell’autore – ma in relazione ai
singoli episodi. Qui l’avvocato Saldarelli che mi ha preceduto ha parlato di due specifici
episodi che sono quelli, secondo me, in relazione ai quali necessariamente si deve addivenire
a una conclusione di responsabilità nei riguardi di Pietro Pacciani: e cioè l’omicidio dell’83 e
quello dell’85. In realtà se noi rileggiamo tutto il patrimonio probatorio presente in questo
processo, in relazione ai singoli episodi e non in relazione alla globalità della vicenda, noi ci
rendiamo conto che, ad esempio, quella perizia balistica Spampinato-De Benedetti del ’92,
laddove ci dà delle risultanze, viene forzata sia nel quesito sia nella risposta al quesito. Viene
forzata perché il quesito è dire se vi sia identità fra tutti i bossoli di tutti gli omicidi (o
perlomeno di sei omicidi) e la cartuccia rinvenuta nell’orto di Pietro Pacciani. Se noi invece
scindiamo le singole conclusioni in relazione ad ogni singolo omicidio troviamo dei risultati
che hanno un maggior grado di significatività in ordine alla vicenda per cui si procede. E
questo è visibile: perché se noi, per esempio, leggiamo i risultati di questa cartuccia in
relazione all’omicidio Meyer Horst (Meyer e l’altro dell’83…) noi troviamo un’identità
significativa fra il solco, l’incisione sulla cartuccia, sul bossolo E2; larghezza e solco e
posizione microstrie al suo interno coincidono con quelle del Pacciani. Poi abbiamo una
reciproca coincidenza su un altro bossolo, delle microstrie. Questo è un elemento che la
Cassazione il 14 maggio del ’93, quando rigettò l’impugnazione avverso l’ordinanza del

Tribunale del Riesame che rigettava il riesame proposto dai difensori in ordine allo “status
libertatis” di Pietro Pacciani, ebbe a fraintendere valutandola “non univoca”. La Cassazione
ci disse: “Ci sono degli elementi – la cartuccia – che non portano a conclusioni univoche.”
La cartuccia non portava ad una conclusione univoca; ora noi sappiamo che l’univocità è
requisito diverso dalla capacità dimostrativa che ogni singolo indizio deve avere. Questo
rileverebbe là dove noi si volesse leggere la cartuccia in maniera scissa rispetto a tutti gli
altri elementi che, in realtà, compongono il corredo probatorio di questo processo; ma la
cartuccia è un elemento che ha capacità dimostrativa indubbiamente in relazione ad ogni
singolo omicidio! E ne ha, in modo maggiore e in modo minore, a seconda di come siano
state le risposte ai quesiti dati dai periti in relazione ai singoli fatti omicidiari. E non ha,
invece, una valenza probatoria assoluta, implicita, indipendente per cui essa debba essere
valutata da sola, scissa dal resto del contesto probatorio. E allora “l’alta probabilità” a cui
faceva riferimento l’ordinanza del Tribunale della Libertà, dice: “È molto probabile, è
altamente probabile che questa cartuccia sia passata per la stessa arma dalla quale sono
passati i bossoli che hanno costituito oggetto di raffronto nell’ambito della perizia
Spampinato-De Benedetti ‘92”. Allora questo risultato di “alta probabilità” in realtà è oltre
che sufficiente per il tipo di valutazione che oggi si va a fare, perché non ha da bastare da sé
stesso, deve essere letto nell’ambito di un contesto insieme ad altri elementi indizianti. E
allora abbiamo nel caso dell’omicidio del 1983, del duplice omicidio, abbiamo una cartuccia
che ha dei significati specifici, e sono innegabili questi significati specifici! Sono, forse, non
univoci ma sono altamente probabili: ce lo dice la Corte di Cassazione che non rinnega
quello che aveva detto l’ordinanza del Tribunale della Libertà. Si valuti che la Cassazione, in
realtà, in quel momento compie un tipo di accertamento sulla base del testo del
provvedimento impugnato; cioè la Cassazione non vede la perizia Spampinato-De Benedetti,
non vede le singole risposte dei periti ai singoli quesiti. Vede semplicemente un’ordinanza
che fa riferimento perché quando si impugna un ricorso per Cassazione, per difetto di
motivazione, un provvedimento se ne legge il testo ma non si vedono gli atti. Quindi la
valutazione della Cassazione già esce dai binari, dai parametri normali di un tipo di
valutazione di questo genere. Inutile e superfluo dire che non siete vincolati da quella
decisione perché era una decisione allo stato degli atti. Tuttavia, in quel momento, quel tipo
di valutazione è rinviato più a voi che non alla Cassazione. Allora abbiamo la cartuccia,
abbiamo lo Skizzen Brunnen. Abbiamo lo Skizzen Brunnen che in realtà costituisce per una
serie di elementi che non vi sto a elencare… Le ricognizioni effettuate sulle cifre vergate, la
consulenza tecnica del confronto di segni grafici e di saggi grafici dati da questi stessi
testimoni, la spiegazione del codice apposto sul retro, il riconoscimento della sorella e altri
elementi! Abbiamo un blocco Skizzen Brunnen che si aggiunge e che possiamo dire che
apparteneva alla vittima di quell’omicidio, al Meyer. Abbiamo le giustificazioni di Pacciani
su quel punto, che ci dà giustificazioni diverse: il 15 luglio ’92 quando ci dice che forse lo
hanno comprato le figlie, forse l’ho trovato nella discarica; ce ne dà ancora diverse il 22
febbraio ’93 in interrogatorio… “Potrei averlo trovato in una discarica…” – “Ma è in buone
condizioni, è quasi del tutto inutilizzato” gli si contesta. Allora lui ci dice: “Non l’ho mai
visto, se c’è la mia calligrafia sopra può essere un trucco!”. Poi arriva l’ultima versione:
“L’ho avuto prima dell’80, l’ho trovato in una discarica, le scritte che ci sono vergate sopra –
’80 e ’81 – lo confermano.”
Ora da questo insieme di elementi noi questo blocco lo possiamo sicuramente collocare tra
gli “indizi certi”; lo possiamo collocare tra gli “indizi certi” superando anche un’equivoca
valutazione della Corte di Cassazione in data 14/05/’93, che non poteva esprimere un
giudizio in ordine alla certezza o meno di questo indizio perché non poteva scendere in una
valutazione di merito che riguardasse lo spessore dell’elemento indiziante e la sua certezza.
Perché non è questo il compito della Cassazione in quella sede di impugnazione. Oltretutto
non avendo potuto valutare le rogatorie, le consulenze tecniche “a luce radente” per vedere
se le scritte erano ricopiate o erano estemporanee e spontanee… Come ci hanno detto i

periti? Che non erano! E non ha potuto valutare ovviamente tutti gli interrogatori di Pacciani
che, più volte, si è contraddetto in ordine a questo elemento. Abbiamo il blocco… e il
portasapone “Deis”. Indicativi riconoscimenti della sorella e dell’amico del Meyer, ma
ancora più indicativa la dichiarazione di Pacciani che il 15/07/’92 ci dice: “Ho due
portasaponi, uno l’ho comprato in carcere, non so se sia quello che vi esibisco…” – e ne
esibisce uno bianco con rigature che viene sequestrato – … o se sia quello che vedo in foto.”.
Che è il Deis. Nell’interrogatorio 22/02/’93 dice: “Io ho solo un portasapone bianco!”.
L’altro lo contesta, e contesta la fotografia. Ma la fotografia non l’aveva contestata
nell’interrogatorio del 15/07/’92! E questo elemento mi sembra che vada a confermare il
riconoscimento di coloro che dicono che questo portasapone probabilmente apparteneva al
Meyer. Abbiamo l’avvistamento: la testimonianza circa la posizione di un ciclomotore
“imbarcato” vicino al furgone e la presenza di un soggetto che era descritto come
somigliante a Pacciani vicino al luogo dell’omicidio dell’83. Tre testimoni ce lo dicono:
Celli, Pratesi e De Giorgio. Abbiamo poi l’asta guidamolla di recupero che viene ritenuta,
anche dalla Cassazione, un elemento indiziante grave perché avvolta in due pezzi di stoffa
che provenivano da casa Pacciani. In relazione a questa asta guidamolla non si può parlare di
“documento anonimo”, e del contenuto del “documento anonimo”, come giustamente fa
osservare il Presidente; ha fatto osservare al collega che mi ha preceduto Santoni
Franchetti… Non si può parlare di questo. Tuttavia si può parlare del fatto che quest’asta
guidamolla arriva il 25/05/’92 ai Carabinieri e che il 20/05/’92 si ha l’intercettazione, che noi
abbiamo ascoltato in quest’aula, “ora dove la metto…”. Mi sembra che i due fatti siano
strettamente interconnessi! Abbiamo infine… L’asta guidamolla si riferisce a una pistola
calibro 22 modello 74 che rientra nella serie di pistole di cui si è servito sicuramente l’autore
degli omicidi, in base agli accertamenti svolti nelle plurime perizie sui bossoli e sui proiettili.
Abbiamo alla fine un tentativo di antedatare il blocco, del quale vi ha parlato il Pubblico
Ministero con dovizia di particolari, e che mi sembra fortemente significativo nel senso di
voler celare qualche cosa di cui si conosce il significato; altrimenti non avrebbe senso
cercare di occultare o di camuffare qualcosa di cui non si sia in grado di valutare la
provenienza e la pericolosità. Abbiamo l’altro omicidio, quello dell’85. Anche qui giocano
due elementi che hanno giocato prima: cioè la cartuccia che viene ritenuta coincidente, per
microstrie coincidenti, con tre bossoli dell’omicidio dell’85. Viene ritenuta portatrice di una
microstria identica nel bossolo, con quella portata dal bossolo F4. Quindi se si scende in
realtà nel dettaglio dei singoli reperti e delle singole valutazioni, che non siano l’oggetto di
una valutazione globale riferibile a tutti i bossoli per tutti gli omicidi, ma per i singoli bossoli
in relazione ai singoli omicidi i risultati cominciano ad essere più precisi, anche in relazione
alla perizia balistica. Abbiamo sempre l’asta guidamolla che ha quel significato, abbiamo i
testimoni che lo vedono nelle circostanze che voi sapete, abbiamo un appunto che indica
kilometraggio “Vicchio – Mercatale 132 km”, abbiamo un memoriale di Pacciani spedito in
data 17… no, è l’altro… memoriale di Pacciani che ci dà… Scusate, memoriale del
26/12/’93 dove dice: “Io mi trovavo a Mercatale il 9 settembre ’85. Senza macchina!
Interrogato e perquisito… E non ero a Vicchio a 145 km di distanza, come questo pazzo che
impostò una lettera a San Piero di Vicchio con timbro ore 9, giorno 9 al giudice Della
Monica come dicevano i giornali.” Ora i giornali probabilmente potevano dare il
kilometraggio che c’era fra Scopeti e Vicchio, cioè la distanza che c’era tra Scopeti dove si
era commesso l’omicidio e a Vicchio dove si era imbucata la lettera, ma non davano mai una
distanza raddoppiata in base al fatto che l’autore dovesse tornare indietro! Perché questo non
poteva essere saputo da nessuno ovviamente… Lui lo sapeva che distanza c’era andata e
ritorno da casa sua, da Mercatale! L’aveva cronometrata un’altra volta, l’aveva calcolata; si
era fatto un appunto che è stato sequestrato. Ed ora io dico, quando si ha un appunto che dà il
kilometraggio Vicchio-Mercatale 132 km… Lo stesso percorso stranamente fatto dall’autore
quella notte, e si imbuca la lettera in un luogo distante. Perché quel luogo distante può
servire sia a crearci un alibi perché noi abitiamo a Mercatale, cioè andata e ritorno 140 km

circa, sia perché lì si “appunteranno” le indagini più approfondite. Mi sembra che l’elemento
non sia “non significativo” sotto un profilo di valutazione globale. Si ha poi l’alibi fallito,
che non è “alibi fallito” ma è “alibi falso”. Ne ha parlato il collega Saldarelli, quindi
brevissimamente. Lui ci dice che quella sera era alla festa di Cerbaia, lo dice in un
memoriale che invia il 17/09/’90. Dice: “Sull’omicidio avvenuto a Scopeti o Chiesanuova,
che avvenne di domenica sera…”. Ora l’omicidio lui ci dice che avvenne di domenica sera,
ma la perizia De Fazio ci diceva che questo omicidio in realtà era avvenuto nella notte fra il
7 e l’8, cioè fra sabato e domenica. L’avvocato Santoni Franchetti che ha parlato prima di me
non è ancora certo sulla data di quell’omicidio, secondo lui si possono essere sbagliati i
periti. Il Pubblico Ministero ha portato tre testimoni per dirvi che quell’omicidio è avvenuto
di domenica sera perché i francesi erano vivi la domenica, quindi necessariamente sono stati
uccisi nella notte fra domenica e lunedì. Maurri ha detto che secondo lui… il professor
Maurri ha detto che, secondo lui, l’omicidio è avvenuto nella notte fra domenica e lunedì.
Pacciani fornisce un alibi in cui si disinteressa della notte fra sabato e domenica e mira dritto
alla notte fra la domenica e il lunedì. Fornisce un alibi su questo: Cerbaia, Festa dell’Unità.
Viene smentito dal teste Fantoni! Viene smentito dal teste Fantoni e in sede di interrogatorio
del 27/11/’90, laddove gli si contesta quello che lui aveva dichiarato a sommarie
informazioni testimoniali il 19/09/’85 – e non il 9/09/’85 come Pacciani continua a sostenere
–; laddove lui aveva affermato: “Di aver mangiato a casa, di essere stato a Cerbaia ma di
essere tornato alle 19; d’aver cenato a Mercatale, di essere uscito, di essere stato alla Casa
del Popolo e di essere tornato alle 2.” Lui dice: “Mi sarò sbagliato! Son tempi lontani…”.
Allora lui si è sbagliato, in realtà, il 19 settembre dell’85 quando ha detto quelle cose ma non
si sbaglia nel ’90 quando dice: ”Io ero a cena a Cerbaia, alla Festa dell’Unità e lì ho trovato
Fantoni.”? Cioè le sue dichiarazioni son più attendibili quando le rende nel ’90 in carcere di
quando le rende nell’85 ai Carabinieri nell’immediatezza del fatto… Ora, tutti questi
omicidi, e l’alibi falso si sa per giurisprudenza “pacifica” che costituisce un elemento
indiziante, laddove sia precostituito come questo e smentito come questo; perché un conto è
l’alibi che manca, e sarebbe un’inversione dell’onere probatorio dire che un soggetto deve
fornire un alibi per forza. Un conto è l’alibi che fallisce perché un soggetto è
nell’impossibilità di dimostrare quest’alibi, un conto è un alibi costituito, precostituito, che si
costruisce “ad arte” e viene smentito… e quest’alibi viene smentito sia perché Pacciani fa
riferimento a una distanza che era ben in grado di “controllare” (e ce lo dimostra l’appunto
che ha!), sia perché il teste Fantoni smentisce l’alibi, sia perché Pacciani fa riferimento a un
interrogatorio dei Carabinieri come punto di riferimento dell’alibi, appunto, che avviene
dieci giorni dopo rispetto alla data in cui lo colloca lui. E allora questo è un “alibi falso”! Se
questi sono gli elementi, in relazione a questi due duplici omicidi, come si potrebbe arrivare,
per questi due duplici omicidi, a una decisione di carattere assolutorio?! Qualsiasi processo
che sia regolato dalle regole procedurali vigenti, dai criteri logico-giuridici normalmente
operanti deve arrivare ad un’affermazione di penale responsabilità, in ordine a questi due
omicidi quantomeno. E non possono essere falsati i parametri processuali perché qui si tratta
dell’omicidio a carico del “Mostro di Firenze”, in realtà qui si tratta di un processo per otto
singoli episodi di duplice omicidio che vanno valutati ciascuno per sé stesso e poi ognuno in
relazione agli altri per i punti di collegamento che esso ha! Io non vedo come Pietro Pacciani
possa “uscire” da questo tipo di imputazione per questi due episodi. E come si collegano agli
altri? Abbiamo le perizie balistiche che ci dicono che in questi due episodi è stata usata
un’arma che, in forza dei bossoli e dei proiettili, è identificabile con l’arma con cui si sono
compiuti gli altri duplici omicidi. Abbiamo le perizie De Fazio dell’84 e dell’85 che ci
dicono, in più punti, che abbiamo: un duplice strumento lesivo, una ripetitiva scelta di
condizioni ambientali e situazionali, una ripetitiva scelta dell’oggetto dell’aggressione (una
coppia), un profilo morfologico e caratteristiche tecniche delle lesioni genitali riconducibili
ad un’unica mano; ciò è stato provato sia attraverso la visione computerizzata del tipo di
lesioni, sia attraverso dati sperimentali: venti persone diverse hanno tracciato tagli con

caratteristiche diverse, quindi era la stessa mano.
Abbiamo una progressione psicologica perché abbiamo un aggravamento – dal caso Pettini,
al caso De Nuccio, al caso Baldi al caso Cambi, al caso Rontini, al caso Mauriot – in ordine
alle lesioni che vengono apportate alle vittime donne. Abbiamo il disinteresse per l’uomo e
l’overkilling verso l’uomo e abbiamo l’interesse specifico verso la donna. Abbiamo un
identico modus operandi. Abbiamo la perizia Spampinato e De Benedetti che trova
un’identità fra la cartuccia, un’identità tra la cartuccia, le microstrie della cartuccia di
Pacciani e il bossolo dell’omicidio Mainardi-Migliorini. Abbiamo un bossolo di questo
stesso omicidio che ha lo stesso solco “da caricamento” che aveva il bossolo che abbiamo
visto dell’omicidio Meyer. Abbiamo poi le condizioni di reciproca coincidenza con gli altri,
con i bossoli degli altri duplici omicidi. Abbiamo l’asta guidamolla e la stoffa che hanno un
significato in ordine a tutti gli omicidi (e non solo a questi…) perché hanno un significato in
ordine a tutti e a ciascuno degli omicidi. Abbiamo materiale pornografico recante – dice la
Corte di Cassazione il 14/05/’93 – “…in origine o in seguito a disegni apposti di marcate
analogie con specifiche caratteristiche di alcuni degli omicidi oggetto di indagine.” E questo
è un elemento grave secondo la Corte di Cassazione 14/05/’93. Abbiamo il biglietto “Coppia
Firenze F…” in relazione al quale non occorre ricordare le giustificazioni di Pacciani. E
allora senza andare a cercare il “tipo di autore”, senza andare a cercare quello che era il
grosso pericolo di questo processo e cioè il problema di subire suggestioni che derivassero
da tutto quello che su questo processo e su questi delitti era stato, prima ancora su questi
delitti, era stato detto e scritto, bisogna valutare questo patrimonio probatorio. E bisogna
cercare di capire se, in realtà, questi elementi che non necessitano nessuno di una univoca
lettura, non necessitano nessuno del requisito della precisione, cioè della capacità di darci, a
seguito dell’applicazione ad essi di una regola inferenziale che non è sempre “l’id quod
plerumque accidit”. Giustamente il collega Saldarelli ha fatto presente il bellissimo esempio
del melo e delle mele, ed è stato un esempio fortemente evocativo: cioè ha dato a tutti la
misura di quella che è una regola inferenziale basata sulla comune esperienza e sul nesso
probabilistico. Ma rendiamoci conto che qui ci sono regole inferenziali che attingono a
scienze (balistica, dattiloscopica, medico-legale…) che attengono a criteri logici. Non
soltanto esperienze di comune percezione e condivisione perché, nel momento in cui si va a
dare un alibi mancato-falso come questo, in realtà vediamo che quello che non regge non è il
fatto, non è il criterio logico che si applica al fatto noto, cioè il fatto che lui era a Cerbaia; da
lì in base al criterio della non ubiquità lui non poteva essere a Scopeti. Questo non fallisce, il
criterio logico non fallisce mai, fallisce la dimostrazione del fatto che lui era a Cerbaia. E
quindi non sono criteri logici che comportano, da parte vostra, salti logici; sono criteri logici
che non danno scampo. Sono criteri scientifici che hanno un tasso di probabilità vicino
all’univocità della certezza in molti casi. E non occorre che la perizia Spampinato-De
Benedetti dia certezze e risposte univoche, la perizia Spampinato-De Benedetti è sufficiente
che dia risposte “altamente probabili” (e questo lo dice la stessa Cassazione!) che, lette
nell’ambito di un contesto unitario, possano portare a una conclusione unica. Era bellissima
la sentenza delle Sezioni Unite sulla valutazione sul processo di Bologna sulla valutazione
degli indizi, laddove si faceva presente appunto che occorre una preventiva valutazione di
indicatività di ciascun indizio che abbia pure portata “possibilistica e non univoca” ci dice la
Cassazione Sezioni Unite in relazione al processo di Bologna. Successivamente però ne è
doveroso, e logicamente imprescindibile, un esame globale unitario attraverso il quale la
relativa ambiguità di ciascun indizio si risolva perché l’un-indizio si integra con gli altri e si
somma in una valutazione complessiva; sicché il limite della valenza di ognuno risulta
superato e l’incidenza positiva probatoria viene esaltata nella composizione unitaria. E allora
il problema che ci si pone è questo. In realtà il collega Saldarelli ha accennato il problema
della “ipotesi alternativa”; ovverosia oggi noi abbiamo un “rito accusatorio” che esalta il
processo indiziario… Perché lo esalta? Perché mentre il “rito inquisitorio” era affidato alla
valutazione nella massima buona fede di un giudice, che però doveva pensar lui alle ipotesi

alternative perché non gli potevano essere fornite da altri, oggi noi abbiamo un rito che si
basa sullo scontro dialettico delle parti e il metodo dialettico porta alla verifica di
contrapposte ipotesi ricostruttive di un fatto che vengono suggerite dalle parti stesse. Ora
Pietro Pacciani, oggi, valentissima la Difesa dei suoi difensori, dico Pietro Pacciani oggi
quali ipotesi ricostruttive alternative, non dico di pari capacità esplicativa di questi indizi ma
dico di capacità esplicativa vicina alla verosimiglianza, ha portato? Vi dico di più, se Pietro
Pacciani avesse ammesso di essere un guardone, di essere stato sul luogo dell’omicidio
nell’83 (dopo l’omicidio!), di essere stato lui a frugare nel furgone, a sottrarre il portasapone
e a sottrarre il blocco, spiegherebbe: il blocco, il portasapone, spiegherebbe anche
l’alterazione del blocco (perché sapendo che proveniva da un omicidio poteva aver la
necessità di camuffarlo!), spiegherebbe anche il fatto di essere stato visto. Una persona a lui
somigliante, con un motorino simile al suo con il serbatoio a goccia, con l’elastico sul
portapacchi, in quel luogo subito prima o subito dopo, soprattutto subito dopo l’omicidio.
Ma spiegherebbe la cartuccia e l’asta guidamolla, anche in relazione a questo? Non la
spiegherebbe e, nonostante questo, Pietro Pacciani non ci fornisce neppure questa ipotesi
verisimile. Che sarebbe un’ipotesi verisimile che non spiegherebbe tutto, ma almeno
spiegherebbe una parte… Neppure questa! Il collega Santoni ha detto che per lui non c’era
possibilità di far chiarezza; in realtà il collega Santoni ha una sua visione di questi episodi
omicidiari, nella quale Pietro Pacciani non si colloca mai perché ha la sua tesi. Benissimo.
Cosa succede? Succede che lui si blocca dinanzi alla presenza di questi elementi che sono
tutti specificamente e concordemente indirizzati nei confronti di Pietro Pacciani. E non
riesce a spiegarli e a collocarli nel contesto di una tesi diversa! Allora lui arriva alla
conclusione di dire: “Pietro Pacciani deve essere condannato perché ha sempre mentito…
Perché è bugiardo…”. Non è questo il punto! Non occorre questo “sforzo decisionale” da
parte di questa Corte; in realtà basta una valutazione globale che risponda ai noti principi di
valutazione e di motivazione, che sono poi: la completezza, tenere conto di tutto il
patrimonio probatorio, la correttezza. Fondarsi su questo: la ragionevolezza! E cioè
l’adozione di regole inferenziali e di storie, ipotesi ricostruttive che diano congruenza
narrativa, che diano coerenza ai fatti che si conoscono; e non ipotesi ricostruttive
fantascientifiche, o immaginarie o di fantasia. Per arrivare a dire che questi elementi in
ordine a due omicidi sono schiaccianti e da quei due omicidi portano, inesorabilmente, alla
responsabilità di Pietro Pacciani per tutti gli altri omicidi. E non c’è ipotesi alternativa di
sorta che venga fornita da Pietro Pacciani! Capace di avere, ripeto, non una pari capacità
esplicativa perché sarebbe una violazione del principio della presunzione di innocenza, ma
una capacità esplicativa minima che la renda quantomeno verosimile. Se non la cospirazione,
il complotto contro Pietro Pacciani! Perché questa è l’unica spiegazione che Pietro Pacciani
dà. E Pietro Pacciani, se viene condannato, non deve essere condannato perché mente in
generale; Pietro Pacciani, se viene condannato, viene condannato per le sue singole
menzogne in relazione a elementi indizianti gravissimi, specifici che pendono su di lui. Che
non riesce a spiegare e che nel momento in cui cerca di occultare rivela ancora di più nella
loro significatività! È questo il punto, il fatto che Pietro Pacciani poi menta in generale fa sì
che lui non riesca – e non potrebbe comunque riuscirci anche se parlasse, se non dicendo la
verità – a dare un’ipotesi ricostruttiva che riesca a spiegare, in modo verosimile-congruente,
i fatti che sono a disposizione di questa Corte. Sulla base di queste premesse io presento le
conclusioni in ordine alla pretese risarcitorie della Cardini Iolanda e notula allegata. E credo
di essere stato aderente alle premesse…
Presidente: Benissimo, grazie Avvocato Ciappi. Benissimo, chi parla adesso? Avvocato Capanni,
prego. Prego avvocato…
Avvocato Capanni: Grazie, signor presidente. Signor presidente, signori della Corte: prendo la
parola per rassegnare le conclusioni nell’interesse della parte civile costituita da Rontini

Marzia. L’ammonimento ieri fatto dal presidente ai difensori della parte civile affinché
contenessero, nei limiti più sintetici, la loro esposizione è ammonimento a giudizio di questo
difensore frutto solo di saggezza. Lo svolgimento del processo è stato tale… L’ampiezza, la
complessità, la minuziosità con cui in quest’aula, di fronte a voi, si è fatto luce su una
vicenda che ha agghiacciato e angosciato una città intera per un arco di tempo così rilevante
è stato di peso per tutti noi, di grande impegno e di grande fatica. Appesantire quindi il
dibattimento con quelle che, bene o male, potrebbero solo essere ripetizioni di concetti già
enucleati non pare producente e non pare giusto nei confronti di nessuno. Questa parte civile
sottoscrive in pieno le considerazioni fatte dal signor Pubblico Ministero nella sua esemplare
requisitoria, così come condivide le considerazioni fatte dai colleghi che hanno preceduto:
l’Avvocato Saldarelli, l’Avvocato Ciappi. Il problema di quest’indagine è che, al termine
della fase precedente, ovverosia mi riferisco alla chiusura dell’istruttoria del Dottor Rotella,
atti a voi noti, l’indagine è dovuta ripartire non da zero – perché è evidente che gli inquirenti,
gli investigatori avevano del materiale, materiale che poi in prosieguo di tempo è tornato
utile ovviamente – ma han dovuto riorientare l’indagine con un raggio iniziale vastissimo.
Raggio iniziale che si è andato poi riducendo di ampiezza via via che il lavoro procedeva, e
procedeva con criteri e metodologie che, a giudizio di questa parte civile, possono essere
definite solo scientifiche: con metodo e con una selezione di elementi che ha portato ai
risultati che sono stati dinnanzi a voi presentati e che poi, nel corso del dibattimento, non
dobbiamo dimenticare, si sono via via arricchiti anche di elementi originariamente
imprevisti. In questo senso l’attività della magistratura della Procura della Repubblica e degli
investigatori è un’attività che deve essere solamente lodata per un motivo semplicissimo: si è
arrivati finalmente alla celebrazione di un processo non perché un processo dovesse essere
fatto ad ogni costo, ma alla celebrazione di un processo nei confronti di un imputato
raggiunto, e poi lo vedremo, da prove che vorrei definire conclusive. Quando, nel corso degli
anni, questa vicenda si è snodata attraverso tutte le luttuose vicissitudini che tutti ormai ben
conosciamo ognuno di noi da cittadino, da lettore di giornali si è infinite volte chiesto: “Ma
lo prenderanno mai? Ma lo fermeranno mai?” Purtroppo non è accaduto… Non è accaduto
perché? Questo è il punto: non è accaduto perché le condizione pratiche, di fatto, delle quali
godeva l’autore di questi delitti erano condizioni di assoluto vantaggio; in primo luogo
rispetto alle vittime e in secondo luogo rispetto agli investigatori. È evidente, a tutti voi
ormai è assolutamente chiaro, come si svolgevano i fatti. Quest’uomo arrivava: non visto,
non sentito, nel buio; colpiva, lui armato non di una ma di due armi distinte, dopodiché
compiva quegli atti i cui risultati sono negli occhi di tutti noi e, dopodiché, se ne andava nel
buio e scompariva. Ritrovare le tracce di un individuo di questo genere, con modalità
operative di questo genere, era per gli investigatori un problema serissimo che poteva essere
risolto soltanto con un lavoro lento, minuzioso ma, soprattutto, supportato da scientificità di
metodo e di risultato. È evidente che, ai tempi dei delitti, l’autore di questi delitti poteva
essere fermato nell’immediatezza, come si suole dire nella prassi giudiziaria, poteva essere
fermato nell’immediatezza solo a condizione che, nella serie causale posta in essere, si
producesse un sovvertimento totale dei piani dell’autore. Vale a dire: che l’arma si potesse
inceppare subito all’inizio dell’azione, che le vittime reagissero perché magari una di loro
armata, che qualcuno sopraggiungesse (sappiamo bene che questo non è mai avvenuto!). Ma
era l’unica alternativa, si poteva arrivare a chiudere questo cerchio solamente,
nell’immediatezza, a queste condizioni. Altrimenti l’indagine doveva prendere la strada della
lenta risalita di una parete ripidissima! Ed è questo che è stato fatto, con i risultati, credo
tranquillanti, che voi avete visto durante questi sei mesi – perché il processo è durato sei
mesi, pur con le pause – davanti a voi. Quindi che il quadro probatorio completo, a giudizio
di chi vi parla, sia però mancante, ad esempio, della pistola è un fatto ineludibile; ma non
condiziona la serenità dell’esposizione di chi vi parla e, secondo me, non deve condizionare
la serenità del giudizio vostro perché è evidente che è così. Non poteva essere altrimenti ma
ciò che si è fatto è sufficiente, non starò a ripercorrere la stessa strada di chi mi ha preceduto

perché farei sicuramente cattivo servizio a voi e peggior riuscita. Quindi mi limiterò a
trattare dei punti assolutamente specifici riportandomi a ciò che, ad esempio, la Procura della
Repubblica vi ha esposto per quanto riguarda il resto. Vi è un dato che ricorre in tutti gli
episodi; o praticamente in tutti e, laddove manca, della mancanza del dato può essere data
una spiegazione sempre. Nel corso di queste vicende o le borse delle povere vittime di sesso
femminile sono state frugate… Mancano oggetti, vi sono state delle vere e proprie
appropriazioni, dei veri e propri furti di oggetti, oppure comunque le borse sono state
frugate. Questo processo che si svolge nei confronti di Pietro Pacciani a mio giudizio ha
mostrato che, tra tutti gli episodi contestati e – dico io – anche rispetto all’omicidio del ’51,
riguardo a questo aspetto che vi sto trattando vi è un filo che unisce tutti gli episodi, dal ’51
sino all’ultimo e che è questo… Partiamo dai dati certi; dato certo è che la sentenza del ’51
dà atto del fatto che il povero Severino Bonini, al povero Severino Bonini il Pacciani asportò
il portafoglio. Questo è un dato sicuro, la sentenza ne parla. Altro dato certo, perché
l’istruttoria dibattimentale si è svolta in modo tale che io posso dire che è certo, è che Pietro
Pacciani asportò portasapone e blocco dal furgone dei tedeschi nell’83. Perché non importa
certamente che vi riracconti la “storia” del blocco che voi ben conoscente, ma è un dato che
viene acquisito al vostro giudizio come con la forza della prova; e quindi questi due sono i
dati certi. Andiamo ai dati allora da valutarsi sotto il profilo dell’indizio e non della prova.
Nel 1968 la borsa della Locci viene frugata. Lo ha ricordato lo stesso Pubblico Ministero:
viene strappata anche una collanina (non portata via ma strappata!). Quindi è presente anche
in questo caso l’elemento del cercare, del frugare, dello sparpagliare gli oggetti della donna.
Nel 1974 ampiamente si è parlato, riguardo al delitto del 1974: in pratica viene manomesso
quasi tutto ciò che c’è nell’automobile! I vestiti del ragazzo ritirati dalla lavanderia (c’è
anche il tagliandino, viene repertato) vengono trovati fuori dalla macchina, la borsa della
ragazza viene trovata a 300 metri insieme al pullover. La madre della ragazza vi ha detto che
al suo giudizio, tra gli oggetti restituiti alla famiglia dopo lungo tempo, mancavano:
orologio, portafogli e collanina. 1981, delitto Foggi-De Nuccio: la borsa è stata frugata, gli
oggetti sono sparpagliati e rinvenuti accanto allo sportello sinistro dell’auto. Identica cosa,
uguale, nell’altro delitto del 1981 Baldi-Cambi: l’orologio, il bracciale e gli orecchini della
ragazza sono in terra, sono sparpagliati e sono vicini allo sportello sinistro all’esterno
dell’auto. Nel 1982 voi conoscete la concitata dinamica del delitto Migliorini-Mainardi:
probabilmente dato lo svolgimento dei fatti l’autore si è trovato nell’impossibilità di frugare
e, quindi, ha dovuto allontanarsi il più possibile velocemente dal luogo perché, come voi ben
sapete, quell’omicidio per poco non gli è costato caro! Nel 1983, come abbiamo detto,
abbiamo il delitto dei poveri ragazzi tedeschi Meyer e Rüsch: qui abbiamo la tematica del
blocco e del portasapone che già vi ho indicato come certa. 1984, Rontini-Stefanacci: anche
qui abbiamo una collanina strappata, quindi ritorna sempre questo elemento di ricerca di
cose che, probabilmente, vengono toccate, tastate negli oggetti femminili presenti sul posto.
Nel 1985 non abbiamo alcuna certezza: la tenda sarà stata frugata? Non sarà stata frugata?
Non sappiamo, non abbiamo idea di quali effetti personali possano mancare, anche
trattandosi di vittime di nazionalità straniera. E comunque, anche in questo caso, la
meccanica dell’aggressione dei due omicidi è tale che molto probabilmente, anzi
sicuramente!, il normale svolgimento delle cose viene stravolto dalla fuga del giovane e,
quindi, il piano, le modalità consuete “saltano” e non possono essere seguite. Vi è, quindi, in
tutti questi fatti dal ’51 all’85 un filo, una costanza di comportamento; cioè voi dovete, e
sicuramente l’avete fatto, di “immaginarvi le scene”! Il delitto, le uccisioni, le mutilazioni…
e poi? Credo che ce ne sarebbe abbastanza per chiunque, no? Questa persona ha ancora la
forza, la voglia, lo stomaco di continuare a trattenersi sul posto per frugare nelle borsette
portando via qualche feticcio! O nel furgone o dove più vi piace… Non è un elemento
secondario! Certo, vi sono prove diverse in questo processo ma è un filo che li lega tutti e
che rende attribuibili allo stesso soggetto tutti i delitti contestati.
Proprio perché è un ulteriore piccolo, me ne rendo conto, elemento; piccolo ma significativo

perché siamo in situazioni comportamentali assolutamente anormali, abnormi. E quindi tutto
ciò che colpisce l’attenzione deve essere analizzato! Perché la enormità di ciò che si è fatto,
la stranezza di ciò che si è fatto sono “un che” di complessivo nel comportamento
dell’individuo. È certo che il blocco proveniente dal furgone dei ragazzi tedeschi è stato
trovato in possesso del Pacciani, è certo che questo blocco – perché le prove che sono state
raccolte portano in questa direzione – era realmente dei ragazzi tedeschi (in particolare di
uno di loro); proveniva dalla Germania, non è mai stato venduto in Italia e quindi non può
essere trovato né in discariche né altro. Quindi a questa serie di comportamenti “si fruga, si
cerca, qualche volta si porta via” l’imputato Pietro Pacciani è indissolubilmente legato! E,
così come ci dice giustamente il Pubblico Ministero, che: l’unità dell’arma, l’unità dell’uso,
l’abilità nell’uso dell’arma da taglio unificano i delitti facendoli attribuire a una stessa mano.
Anche questo è un elemento sussidiario ma convincente dell’attribuibilità dei delitti a una
stessa mano! Perché Pacciani è legato a questo tipo di comportamenti non solo dal delitto del
’51 ma anche dal blocco. Un’ultima considerazione che riguarda la problematica già trattata
– me ne rendo conto, ma sarò molto sintetico – del proiettile rinvenuto in casa Pacciani
nell’orto. Io… Più volte in quest’aula è risuonata la parola trucchi, più volte si è dubitato o
tentato di far dubitare di questo ritrovamento, della sua genuinità. Si è velato questo
proiettile con mille possibili significati: non è un’annotazione polemica nei confronti di
nessuno, si è parlato anche di demiurghi! Signori, il Pubblico Ministero sul proiettile è stato
chiarissimo e quelle considerazioni sono ovviamente tali da essere condivise da chi, come
me, vi parla. Ma se proprio si deve continuare a dubitare di questo elemento di prova
cruciale, allora io correrò il rischio di offendere la vostra intelligenza spiegandovi una cosa
ovvia. Allora, se vogliamo partire dalla “problematica del trucco” immaginiamoci che trucco
ci sia! Chi lo può aver fatto? La Polizia oppure il “vero mostro” che vuole incastrare
Pacciani, alternative non ve ne sono. Prendiamo la Polizia: è impossibile! E la logica, a
giudizio di questo difensore, dovrebbe convincere anche voi di questo. Non voglio dire che è
impossibile perché mi fido, la fiducia è metafisica! Questi uomini, queste donne che hanno
lavorato a questa faccenda noi le conosciamo ed è evidente che ci fidiamo, ma non è questo
il problema. Non è il problema di fiducia; è un problema oggettivo, naturale, fisico. È
evidente che quel proiettile, ritrovato nell’orto del Pacciani, reca in sé impresse quelle
famose microstrie che le perizie ci inducono a credere, ci fanno… (…mancante…, ndr).
Allora potrebbe essere stato il “vero mostro”? Eh, un momento: allora dovremmo
presupporre che il “vero mostro” prende un proiettile dalla sua scorta, lo maneggia in
maniera… Quale maniera? Il proiettile deriva da un inceppamento! L’inceppamento non è
governabile da parte di colui che manovra la pistola! Perché è disassato il proiettile, ve
l’hanno spiegato. Quindi già produrre volontariamente un inceppamento credo non sia cosa
da poco, quindi già qui… Ma mettiamolo come possibile, produce questi segni manovrando
la pistola e il proiettile e lo va a mettere nell’orto del Pacciani. Perfetto: prima, dopo non si
sa… ma diciamo di sì. Eh, poi però a questo punto il nostro signor “vero mostro” che
incastra il Pacciani è costretto a far sì che il proiettile venga fuori perché averlo
semplicemente nascosto non gli serve a niente, non serve a nessuno. Allora sarebbe stato
obbligato a: mandare una lettera anonima, una telefonata anonima, qualunque sistema per far
sì che la Polizia lo trovasse! Ebbene, signori, voi sapete bene che questo innanzitutto non è
avvenuto e che la maxi-perquisizione deriva, ma loro sanno che la maxi-perquisizione deriva
dalle emergenze delle intercettazioni ambientali perché fu in base a quelle che si decise di
procedere con quella metodologia. Perché nessuno, neanche il, virgolette, “vero mostro che
vuole incastrare Pacciani”, chiuse virgolette, neanche lui poteva prevedere che la Polizia, che
la Magistratura avrebbero escogitato una perquisizione lunga dieci giorni; condotta, avete
visto i filmati, con quelle modalità, con quel dispendio di mezzi, di uomini, di tempi.
Perquisizioni a Pacciani ne avevano già fatte con metodologie completamente diverse, cioè
era inimmaginabile: io credo che quella perquisizione nella storia dell’indagine giudiziaria
italiana sia un caso unico. E quindi com’era prevedibile tutto ciò? Quel proiettile deriva dalle

manovre fatte dal Pacciani nell’arma! È un proiettile smarrito, forse a lungo disperatamente
cercato ma non trovato da lui, trovato dalla Polizia. Fu trovato al terzo giorno della maxiperquisizione, al terzo giorno mica subito! E, se ricordate quel che disse il dottor Perugini, la
terra superficiale del paletto dentro cui era occultato il proiettile era stata asportata; e quindi
si vide il proiettile perché la gente ci aveva camminato sopra. Cosa che, nei primi giorni
della perquisizione che non era piovuto, non faceva. Quindi, in realtà, è il ritrovamento frutto
di un lavoro estenuante ma con un briciolino di fortuna, la quale non deve mancare mai
perché tanta sfortuna ha avuto chi ha indagato prima. Quindi è un compenso che a mio
giudizio è necessario, un po’ di fortuna viene fuori. Non il “vero mostro” che ce l’ha messo,
non il poliziotto perché il poliziotto fisicamente non poteva! Allora, a questo punto, questo
proiettile diventa una prova; una prova che regge non soltanto al vaglio logico – che è quello
che io ho fatto adesso dinnanzi a voi –, ha retto a tali e tanti vagli scientifici che non può
essere sconfitta, non può essere sminuita da mere argomentazioni. A tutto concedere perché
quelle per cui Pacciani vuole “distruggere” questo elemento a suo carico, sono a tutto
concedere mere argomentazioni se non menzogne. E di menzogne ha riempito le vostre
orecchie! E quindi questa prova è una delle prove principali, insieme al blocco; che danno,
tutte insieme, un quadro talmente tranquillizzante che questa parte civile, avendo esaurito il
suo compito, conclude affinché piaccia all’eccellentissima Corte di Assise di Firenze
affermare la penale responsabilità dell’imputato e condannarlo alla pena ritenuta di giustizia.
Nonché al risarcimento dei danni tutti patiti dalla costituita parte civile, danni da liquidarsi in
separato giudizio. Lascio la parola un attimo all’Avvocato Puliti del quale sono sostituto
processuale.
Avvocato Puliti: Solo per dire che formalmente concludo io.
Presidente: Benissimo. Avvocato Eriberto Rosso…
Avvocato Eriberto Rosso: Signor presidente, signori della Corte: prendo la parola quale difensore e
rappresentante di Cambi Cinzia che è sorella di Cambi Susanna, massacrata in località
“Bartoline di Calenzano” il 22-10-’81; e prendo la parola in rappresentanza di Georg Meyer,
padre di Horst ucciso in “Giogoli di Scandicci” il 9-09-’83. Rassegno le conclusioni scritte
che sono nel senso di richiedere alla Corte l’affermazione di responsabilità penale del signor
Pacciani Pietro per i reati a lui ascritti. Vi è una richiesta di provvisionale, la motivazione per
la non liquidabilità allo stato del procedimento in questo processo dell’intero danno. La do
per letta e la consegnerò al cancelliere d’udienza. Signor presidente, signor giudice a latere,
signori giudici popolari: io credo che bisogna partire da una considerazione che è ovvia e
banale; che però sempre è bene ripetere nei processi e, soprattutto, in processo dinnanzi alla
Corte di Assise. Vi è un onere nel processo. Un onere ovvio dicevo, a carico dell’Accusa
Pubblica e in certa misura anche a carico dell’Accusa Privata, che faccia la scelta di essere
presente nel processo, di dimostrare, attraverso prove dirette e/o prove indirette, la
responsabilità dell’imputato con riferimento al fatto storico, al fatto-delitto che a lui è
attribuito. A me pare, è questa la mia convinzione, che la ricostruzione prospettata dal
Pubblico Ministero – per nulla suggestiva; direi anzi sin troppo diligente, paziente,
minuziosa, meticolosa – che ha ripercorso quel “mare magnum” di elementi che erano
emersi nella fase del dibattimento ha dimostrato che queste prove esistono. Che oggi questa
Corte, perlomeno questo chiede questa parte civile, si trovi nelle condizione non di poter ma
di dover condannare Pietro Pacciani per i reati a lui contestati. Alla loro valutazione sono
sottoposte prove dirette e sono sottoposte prove indirette; sono sottoposte prove storiche, che
sono immediatamente rappresentative di quella drammatica realtà scolpita nel capo
d’imputazioni, e sono sottoposte prove critiche. La distinzione, signori giudici popolari, è
molto semplice e facilmente comprensibile: le prime sono di portata orale, sono di portata
documentale, sono di portata reale e rappresentano immediatamente il fatto che si vuol

provare. Le seconde non rappresentano immediatamente il fatto da provare, ma da un dato
certo, da un fatto noto, attraverso un iter logico assolutamente rigoroso, portano a conoscere
ciò che allo stato è sconosciuto. Vi è già stato detto dal rappresentate dell’Accusa Pubblica,
da tutti i difensori di parte civile che mi hanno preceduto, di quali sono le regole che
sovraintendono la lettura e la valutazione di questi elementi. Di come gli indizi debbano
essere gravi, precisi e concordanti; di come la loro lettura debba essere una lettura unitaria
ex-post e che abbia presente l’intera vicenda processuale, l’intero materiale probatorio che si
è formato dinnanzi a voi nel divenire del processo, udienza dopo udienza. Eh, tale
valutazione non è una valutazione libera, è una valutazione che, pur rifacendosi al libero
convincimento del giudice, lo espone poi alla necessità di motivare quel suo convincimento.
E quindi lo espone a un controllo, a un vaglio critico. E noi non chiediamo certamente a
nessuno, e tantomeno a questa Corte, di discostarsi dalla rigida direi – come dato anche di
civiltà giuridica – normativa che presieda la lettura di questi elementi consacrata nell’articolo
192 del codice di procedura, frutto di una sofferta, lunga elaborazione giurisprudenziale e
che è certamente un dato di civiltà giuridica del nostro ordinamento. Ma io credo che proprio
sulla base di quei criteri, per quel miscuglio di prove dirette e prove indirette che vi sono
state sottoposte, voi potrete giungere a quella soluzione, a quella indicazione che io prima
preconizzavo. Sarebbe certamente inutile, certamente defaticante e certamente improprio
atteso il mio ruolo processuale che io tentassi di ripercorrere tutta la messa di elementi che
sono stati, appunto, raccolti nell’ambito del processo perché tale attività ha svolto (e ha
svolto in modo egregio!) l’ufficio della Pubblica Accusa, lo ha fatto il Pubblico Ministero di
udienza. Credo che compito dell’ “Accusa Privata” sia anche con riferimento alle posizioni
di chi rappresenta, di chi viene a testimoniare la domanda di giustizia frutto ovviamente di
sofferenza, di meditazione, di coinvolgimenti di vita che certamente determinano fatti come
quelli attribuiti a Pacciani. Credo, dicevo, che il ruolo della parte civile stia nel fornire una
sorta di approfondimento di alcuni temi, nell’inserirsi nel solco di quella riflessione
accusatoria per portare un suo contributo. E poiché difendo il padre di Horst Meyer avevo
pensato a una ricostruzione dell’omicidio di “Giogoli di Scandicci” quasi a voler proporre
alla Corte, per un attimo, di astrarsi dall’insieme delle imputazioni e questo considerare. Ho
visto che questa era idea evidentemente non originalissima perché probabilmente in
quell’omicidio si concretano gli elementi più acuti, più pesanti in riferimento alla posizione
del signor Pacciani. Altri difensori su questo si sono soffermati e, quindi, io mi limiterò a
riproporvi una lettura per titoli di quello che era un ragionamento che intendevo riproporvi.
Lasciando però inalterata la domanda che intendevo fare; e cioè se, fuori da ogni
suggestione, se fuori da ogni riflessione in ordine alla personalità dell’imputato che pure
grande spazio ha da avere nella vostra valutazione, di fronte a quel fatto-omicidio voi vi
trovaste di fronte agli elementi che io ora cercherò di indicare… Beh, vi chiedo il vostro
libero convincimento e, usando di quelle regole che ho prima richiamato e che sono le regole
che devono presiedere alla vostra attività di delibazione, quale potrebbe essere la soluzione.
Il primo dato non è il blocco, il primo dato con riferimento all’omicidio di “Giogoli di
Scandicci” è la probabilissima presenza dell’imputato sul luogo del delitto. Lo dice il teste
Celli: alle ore 7:30 del mattino, prima che l’omicidio sia scoperto, vi è una persona dalle
sembianze assolutamente rapportabili al Pacciani che si aggira intorno a quel furgone. Vi è
un elemento di riscontro a questa sorta di riconoscimento che è dato da quel motorino che
ormai tutti sappiamo essere “particolare”, non solo nella forma ma anche nella tinteggiatura.
E questa persona si aggira, è intorno a quel furgone, è sul luogo del delitto. Vi sono i risultati
delle perizie medico-legali che si addentrano anche su un campo non strettamente legato al
tavolo autoptico. Vi è, per fortuna, quell’iniziativa del professor Maurri in ordine alla
misurazione delle altezze dei fori di entrata dei colpi di arma da fuoco, che ci indicano in
1,35 – 1,40 M per l’appunto i fori di entrata. E vi è poi quella perizia, disposta dalla Corte in
sede di dibattimento, in ordine all’altezza dell’imputato dalla quale si evince che la sua
altezza alla spalla coincide perfettamente con l’altezza dei fori di quei proiettili. E quindi è

assolutamente compatibile che egli sia stato l’agente che in quella occasione ha esploso quei
colpi d’arma da fuoco. Vi sono poi i tre elementi di cui tante parti del processo hanno già
parlato, ma dalla considerazione dei quali io non mi posso certo esimere, ancorché in modo
breve, in modo succinto. Che non sono solo il blocco, ma sono anche il portasapone marca
Deis; e vedrete come, perlomeno nella ricostruzione che io propongo, questi due oggetti
sono assolutamente legati. Vi sono le matite… Blocco, portasapone marca Deis, matite
colorate: certamente appartenuti al povero Horst Meyer! Blocco, portasapone marca Deis e
matite colorate certamente ritrovate nella disponibilità del Pacciani! Risolviamo questo
secondo dato: vi sono i verbali di sequestro in atti, vi sono addirittura sul punto le difese,
ancorché fuori dal contraddittorio, dell’imputato che su tutti e tre questi elementi si misura.
Eh, una qualche valutazione in ordine anche a questo dovremmo pur farla. Torniamo ora al
primo elemento, proprietà/disponibilità dell’Horst Meyer dei tre oggetti indicati. Da che cosa
la ricaviamo? Qui non c’è nessun dato incerto, non c’è nessuna suggestione da inserire nel
processo: vi è una rogatoria internazionale, vi sono le dichiarazioni rese al dibattimento (in
sede di escussione testimoniale) dalla sorella Margherete Meyer. Eh, quella rogatoria è un
atto importante: perché non si sente una persona, non si sentono due persone… se ne sentono
veramente tante e le loro dichiarazioni sono tutte concordanti! E le loro dichiarazioni vanno
tutte nello stesso senso. E che cosa ci dicono le persone che vengono sentite? Innanzitutto la
stessa Margherete, che ci dice che quel portasapone le ha dato quella sensazione di
familiarità. Vi è poi l’amico, che ha già citato il Pubblico Ministero nel corso della sua
requisitoria. Vi è però una persona che io ritengo essere la più importante di tutti! Io mi
permetto di leggere solo alcune righe… «Posso qui aggiungere, per integrare la mia
deposizione, che, nell’attimo preciso in cui l’ufficiale di Polizia Italiana estraeva dalla sua
valigia il portasapone, ho immediatamente pensato: “Io questo portasapone lo conosco!”. In
risposta alla domanda rivoltami posso dire che, vedendolo, ho pensato subito: “È quello che
abbiamo nel nostro bagno!”. Ho inoltre notato che esteriormente era un po’ sporco, anche
questo elemento mi ha richiamato alla mente un vecchio portasapone che avevamo.»
Questa non è la sorella… Questo è Georg Meyer, questo è il padre del ragazzo! Che riferisce
che cosa? Non solo l’elemento della familiarità di quel portasapone, ma riferisce addirittura
di sentirlo attribuibile alla sua famiglia! Per una qualche macchia, per un qualche elemento
che si era determinato nella vita intima di quella famiglia. Va beh insomma, questo non è un
elemento che può facilmente essere revocato in dubbio. È un elemento forte; è un elemento
che, unito alle modalità di vita, al trasloco imminente del giovane ragazzo, rendono
assolutamente certo il fatto che quel portasapone fosse in quel furgone nella disponibilità
dell’Horst Meyer. Il blocco: eh beh, sul blocco voi avete sentito il Pubblico Ministero, avete
sentito gli altri difensori… tutti sono ritornati su questo elemento. Però, insomma, alcune
cose penso possano essere sottolineate senza che rappresentino un’inutile fatica e ripetizione,
ma perché meglio si possa assorbire un elemento che, secondo me, è dato centrale del
processo. La sorella ci dice che il giovane Horst aveva studiato in una scuola specializzata di
disegno. Era una scuola, era “un tipo di studi” (non una scuola…) che anch’essa aveva
frequentato, ancorché presso un’altra scuola. Ci dice che il fratello l’aveva consigliata ad
usare quel tipo di blocchi: lo Skizzen Brunnen! Che egli era solito acquistare in una
cartoleria specializzata di Osnabrück, il famoso negozio Prelle Shop. Ha portato alla polizia
dei blocchi simili; ed il dato che emerge, aldilà di tutte le considerazioni che già sono state
loro rappresentate (e non solo e non tanto che quel blocco in Italia non è commercializzato),
è che è un blocco per professionisti! È un blocco cioè che ha un mercato assolutamente
ristretto. Solo chi vuole fare certo tipo di disegno usa quel tipo di blocco, solo chi vuole fare
certo tipo di disegno usa certo tipo di matite; come quelle che la sorella ci ha portato in
quest’aula e che, a raffronto con quelle di cui alla foto 5 in sequestro all’imputato Pacciani,
ha immediatamente riconosciute. Soprattutto quelle di cui al numero 6 blu perché ci ha detto
che, quelle matite, sono necessarie per riprendere elementi di natura, e non certo per
strutturazione o disegno di cose; che, allora, altro elemento con altra durezza serve… Eh,

allora: se quel blocco viene da Osnabrück, se quel portasapone viene da Osnabrück, loro
hanno anche una riprova diversa. Hanno quella impronta! Alla quale, per una forte prudenza
– debbo dire – che ha caratterizzato tutta la sua requisitoria, il Pubblico Ministero non ha
voluto attribuire la importanza che secondo me ha. È dato certo – perché ciò risulta dai
verbali di sequestro, perché ciò risulta dalle perquisizioni, dalle constatazioni “de visu” fatte
dagli ufficiali di Polizia Giudiziaria – che quel blocco e quel portasapone venivano custoditi
da Pacciani Pietro in modo assolutamente autonomo. Erano collocati in parti della casa
assolutamente distanti e non comunicanti perché il blocco era tra “i valori” (e, quindi, aveva
quel tipo di modalità di custodia), mentre il portasapone era collocato in quella vetrinetta. Ed
era certamente un portasapone non usato… Eh, allora, nulla di più logico, questo si può
inferire da quel dato: che quel portasapone, che quella macchia nel blocco si sia verificata
per una attività, posta in essere nel corso di quella vacanza, nel disordine di quel furgone e
non certo successivamente dall’imputato! Vi sono anche le dichiarazioni delle commesse, vi
è la perizia che riconosce, per loro, la scrittura! Ma su questi elementi vi hanno già
intrattenuto gli altri difensori, ed io non voglio tornare sopra. Voglio sottolineare però, con
forza, con riferimento alle matite colorate che la Margherete Meyer, in quest’aula: ha portato
due astucci, ci ha detto delle modalità di custodia delle matite da parte del fratello in quella
valigetta portacolori; che, però, era valigetta che serviva solo per contenere le matite ma non
era anche “valigetta di trasporto” perché non riusciva a contenere gli albi. Era una sorta di
“castello da lavoro”, tipico di chi svolge attività manuali e che, quindi, quando le matite
venivano usate dal fratello venivano prelevate da quel luogo di custodia. E ci ha detto di non
potere escludere, in una testimonianza direi connotata di grandissima serenità, ancorché sia
persona certamente provata dalla tragica esperienza che la vita ha riservato, in primo luogo,
al fratello ma poi, ovviamente, anche a lei… Dicevo di grandissima serenità, ci ha detto di
non potere escludere che il fratello avesse con sé delle matite, avesse con sé un blocco da
disegno. Cosa che, direi, però nel dato dell’esperienza umana è assolutamente proponibile:
non solo come tesi, ma come elemento di lettura. Perché mai una persona che ha fatto quel
tipo di scuola, che è solito disegnare, che si reca in vacanza in Italia (e precisamente in
Toscana), che si sofferma, si accampa in luoghi certamente di grandissima suggestione non
deve avere con sé materiale che gli consenta di disegnare quei luoghi? Perché ha una
passione fotografica? E le due cose si escludono? È veramente dato che non riesco a leggere
in questo modo. Allora l’imputato Pacciani è raggiunto da alcuni elementi: egli è sul luogo
del delitto, egli ha alcuni oggetti che sono certamente provenienti da una delle vittime. E vi è
poi il proiettile. Anche su questo siete già stati intrattenuti a lungo, ma è bene rimarcarlo
perché nell’omicidio di “Giogoli di Scandicci”, per l’appunto, noi troviamo uno di quei
bossoli che, all’esame di comparazione, non solo presentano quelle microstriature
“interrotte” nel bossolo, per l’attività di sparo che è avvenuta, ma presenta quel particolare
solco nel fondello che anch’esso contiene microstriature; e queste sì eguali sia nel bossolo
che nel proiettile! Già vi è stato spiegato e già è stata fatta giustizia della proposizione del
Pacciani per cui quel proiettile nel suo orto ci sarebbe finito per “vie alternative”: la cosa non
è sostenibile, non tanto e non solo sotto un profilo logico ma perché dovremmo immaginare
cose che non sono immaginabili e che non hanno significato. La prima è che sia un’attività
di provocazione della Polizia: io non da fare attestati di benemerenza a nessuno, il processo
penale è un momento di verifica in cui vanno verificate tutte le ipotesi. Senza mancare di
rispetto a nessuno, questa ipotesi può anche essere considerata, ma vi è già stato spiegato
perché non è possibile! Significherebbe che le forze di Polizia, che la Squadra Anti-Mostro
che per anni ha fatto quest’indagine ha la disponibilità della pistola. E quindi sa chi è il
mostro e, quindi, porta in aula una persona diversa da quella che è il mostro. Ora, quale sia la
logica di questo comportamento, come si possa solo immaginare, non è dato sapere! Oppure
il vero autore dei delitti, nel caso in cui non sia il Pacciani. Ma sarebbe un autore talmente
qualificato in materia balistica da conoscere la possibilità della rappresentazione del
recupero di quelle microstrie sia su un proiettile esploso, e quindi sul bossolo, sia sul

proiettile inesploso. Ed è attività che, invece, casualmente è emersa e che mai prima era stata
rappresentata! Eh no, allora quel proiettile non può che essere del Pacciani. Avete, oltre a
questi elementi, la causale. Perché loro possono escludere, in modo certo, in modo decisivo
veramente aldilà di ogni ragionevole dubbio, che quell’omicidio che si è verificato in
“Giogoli di Scandicci” e che ha visto come vittime i due poveri ragazzi tedeschi non può
avere causale diversa da un suo inserimento in quegli otto duplici omicidi che sono oggi
contestati a Pietro Pacciani. Non esiste nessuna motivazione, non esiste nessuna causale
diversa che si può prospettare: non certo un furto perché quelle cose vengono trovate nella
disponibilità del Pacciani; non certo motivazioni personali rapportabili a persone diverse
perché essi erano lontano dai loro luoghi abituali di “frequentazione di rapporto”, ancorché
in via astratta si dovesse andare alla ricerca di un movente. Le modalità di quel fatto sono
certamente rapportabili a quell’unico movente. Che è un movente che vi è già stato,
lungamente, descritto che trova le sue ragioni ed origini in una terribile perversione sessuale;
che ha armato la mano anche degli altri episodi contestati al Pacciani. E allora: se questa è la
realtà, se questi sono gli elementi a carico del Pacciani, se il processo viene – come dire –
“ripulito” da tutti gli elementi di contorno e, forse, da quegli eccessivi elementi
endoprocessuali di cui tutti siamo a conoscenza per la grande risonanza dei mass-media…
Ma stiamo al dato processuale, stiamo al dato della utilizzabilità delle cose che in questo
dibattimento abbiamo raccolto. Se il Pacciani di quell’omicidio dovesse rispondere io non ho
dubbi che nessuna Corte di Assise lo manderebbe mai assolto! E se questa riflessione ha un
senso e un significato e non è solo un assemblaggio di parole… Ma è logica, come io credo;
e si fonda su dati certi e su prove logiche. E si inserisce a pieno titolo in quel solco più
generale, oggi disegnato dall’Avvocato Saldarelli, e a pieno titolo in quella ricostruzione
(precisa, puntuale, meticolosa…) ricostruita dal Pubblico Ministero. Io credo che rendere
giustizia in questo processo sia aderire alla domanda della Accusa Pubblica e dell’Accusa
Privata ed affermare la responsabilità di Pietro Pacciani. Vi ringrazio.
Presidente: Bene, direi di sospendere signori. Rimane l’avvocato Colao… l’avvocato Pellegrini.
Nessun altro? Ecco, scusate perché…
Avvocato Pellegrini: A che ora riprendiamo?
Presidente: Alle tre e un quarto. Vi va bene?
Avvocato Pellegrini: Tre e mezzo
Presidente: Tre e mezzo, però mi raccomando: puntualità e sintesi. Come è stato per tutta la mattina
e per gli altri difensori. Ci vediamo più tardi. Buongiorno… (Pausa, ndr)
E la parola allora all’Avvocato Pellegrini. Va Bene?
Avvocato Pellegrini: Sì, signore…
Presidente: Prego, avvocato…
Avvocato Pellegrini: Conclusioni nell’interesse delle parti civili Rontini Renzo e Winnie Kristensen
nel processo a carico di Pacciani Pietro, imputato dell’omicidio pluriaggravato e del
vilipendio del cadavere di Pia Rontini commesso in Vicchio il 30 luglio ’84. Piaccia alla
Corte affermare la penale responsabilità dell’imputato, condannarlo alla pena ritenuta di
giustizia e condannarlo a risarcire i danni – da liquidarsi in separato giudizio – subiti da Pia
Rontini in ordine ai quali concludenti agiscono “iure successionis”; e quelli subiti dai
genitori di lei, in ordine ai quali concludenti agiscono “iure proprio”. Piaccia alla Corte
assegnare intanto una provvisionale, immediatamente esecutiva ex lege, di lire 500 milioni

da imputarsi nella liquidazione definitiva, oltre al pagamento delle spese come da notula. Mi
sono assunto il compito di dire in tre parole, anche a nome degli altri colleghi di parte civile,
perché non abbiamo chiesto (nessuno di noi ha chiesto…) che venisse liquidato il danno in
questa sede, cosa che tendenzialmente l’articolo 538 prevede come prioritaria rispetto alla
soluzione che abbiamo adottato. Perché la questione del risarcimento del danno, portata in
questo processo, avrebbe appesantito il processo stesso perché ci sono problemi molto
complessi da un punto di vista civilistico. E noi, peraltro, siamo le parti civili quindi ci
compete questo aspetto; pero ci siamo resi conto che metterci a parlare della distinzione del
diritto al risarcimento, inteso come diritto proprio o diritto che si eredita dalla morta in
questo caso, avrebbe creato soltanto un allungamento e, probabilmente, una coda processuale
non gradita e nemmeno di facile soluzione perché si sarebbero dovuti portare documenti,
dimostrare redditi… Insomma, tutta una serie di cose: dimostrare la qualità di eredi, le quote
ereditarie… Cioè sarebbe stato un “fuor d’opera” rispetto al contenuto, alla natura, all’entità,
ai problemi “veri” (diciamo veri…) di questo processo. E quindi, in linea astrattamente
astratta e teorica, abbiamo pensato: “Molto meglio limitarsi a chiedere la provvisionale.”
Sappiamo perfettamente che non c’è spazio, non c’è consistenza perché possano essere
pagate le provvisioni. Ma, d’altra parte, non potevamo nemmeno svilire le nostre richieste,
dal momento che si tratta di danni addirittura incalcolabili sotto il profilo morale e sotto il
profilo dell’aggressione all’integrità psico-fisica dei parenti, soprattutto quando sono genitori
– come nel mio caso e come in quasi tutti gli altri casi – hanno subito da questa orrenda
morte dei loro figli… E quindi questo avrebbe creato soltanto una situazione poco consona a
questo dibattimento. Nei limiti in cui è chiesta la provvisionale credo che non ci siano
problemi, ai sensi del 539, a considerare raggiunta la prova che l’entità del danno almeno è
quella che abbiamo chiesto. Con questo, sgomberato il campo; e mi ero impegnato, appunto,
a spiegare le ragioni molto semplici che ci hanno indotto a seguire questa linea. C’è da dare
anche un significato: è stato detto anche dagli altri colleghi di parte civile, ma lo devo
riaffermare perché ognuno di noi deve riaffermare questo principio. I parenti si sono
costituiti non tanto in vista di un risarcimento che non verrà mai (e che comunque non
avrebbe neanche molto senso, di fronte a quello che è successo!). D’altra parte è
indispensabile, per essere presenti, azionare una richiesta di danno che altrimenti
mancherebbe la nostra legittimazione alla presenza. Ma la nostra presenza nasce da un
diritto-dovere di tutt’altra natura: un diritto e dovere di natura morale! Che ci impone di
essere qua a rendere testimonianza della sofferenza inaudita che quei ragazzi hanno subito. E
della sofferenza inaudita che i loro familiari, di conseguenza, subito dopo, hanno subito e
continuano a subire tutt’ora. È una partecipazione diretta che si è voluta in questa termini, si
è fortemente voluta soprattutto da parte della persona che io rappresento, che è sempre stato
presente, in questo processo, fino dal 30 luglio ’84: Renzo Rontini! Si è voluta questa
partecipazione diretta alla rievocazione di quei fatti, al giudizio che di quei fatti si darà e si
sta dando nella considerazione che quei fatti hanno sconvolto la vita di tante persone e
turbato profondamente un’intera città. Questo è il senso della nostra presenza qua! È del
resto pacifico (e quindi direi che non c’è nessuna possibilità di equivocare!), che il Pacciani
non fa nessuna “gola” dal punto di vista della risarcibilità del danno. Altro discorso se fosse
venuto fuori un personaggio come si pensava: un ricco professionista, qualcosa del genere…
Con ville, conti in banca. Pacciani nulla di tutto questo! Ma noi siamo ugualmente qua
perché il nostro dolore, la nostra testimonianza prescindono dalla persona imputata;
ovviamente attenendo solo alla sfera più intima del dolore, della sofferenza dei miei assistiti
e anche di tutti gli altri. Le parti civili si sono poste in questo processo – se mi è consentito,
se non la ritenete una presunzione da parte nostra – si sono poste come ulteriori giudici delle
tesi accusatorie. Siamo entrati in quest’aula dicendo tutti espressamente, o implicitamente,
che ci mettevamo alla finestra per vedere se il processo portava elementi sufficienti onde
consentirci di concludere a carico di Pietro Pacciani. Siamo tutti qua, nessuno di noi ha
revocato la costituzione di parte civile e tutti stiamo concludendo a carico di Pietro Pacciani.

Questo è il segno! E non è un segnale di parte perché vi ho detto prima che non abbiamo
interesse economico a sostenere la tesi dell’accusa a carico di Pietro Pacciani, ci poteva far
comodo un altro imputato. Magari l’altro, o gli altri che, forse, potrebbero anche venir fuori
ci potranno dare maggiori garanzie. Pietro Pacciani no! Però la tesi dell’Accusa, giorno per
giorno, si è concretizzata, si è materializzata e ci ha convinto. E noi siamo qua, adesso, sicuri
di potere aggiungere un granello alla ricostruzione puntuale, esaustiva fatta dal Pubblico
Ministero. Io ritaglio il mio intervento su due elementi soltanto, quindi non parlerò del
dedotto e del deducibile che già sono stati affrontati con maestria da Paolo Canessa e anche
dagli altri difensori, si intende ognuno per la sua parte. Parlerò soltanto di due cose: la
presenza di Pacciani nel Mugello; le assonanze (per il momento così le definisco, ma già il
Pubblico Ministero le ha chiamate “identità”!) fra l’omicidio, fra l’episodio, fra i fatti del ’51
e quelli che sono seguiti dal ’74 in poi con ovvio particolare riferimento ai fatti che, dal ’74
in poi, si sono verificati nel Mugello. E cioè, per l’appunto, l’episodio del ’74 e quello
dell’84 che più direttamente mi riguarda. Sapete ormai perfettamente che il Mugello ritorna:
come luogo, come teatro; certamente il più frequente, il più esteso, il più “ritornante” in
qualche modo in questa vicenda anche per quella spedizione, avvenuta da San Piero a Sieve,
di quella infame busta con i ritagli di seno inviati alla Dottoressa Della Monica. Quindi nel
Mugello forse è la chiave di lettura di tutto questo… E allora ricordiamoci che Pacciani è
nato a Vicchio; e che è stato a Vicchio e a lavorato a Vicchio… Non a Vicchio scusate, nel
Mugello, traferendosi da Vicchio a Rufina, l’ultimo passaggio dal ’70 al ’73. Poi col ’73
lascia la zona e si trasferisce…
Presidente: Comunque è nato a Vicchio, eh…
Avvocato Pellegrini: Sì nato a Vicchio, sì. Ma non abitato sempre a Vicchio ecco, ma abitato sempre
in zona. Nel ’73 si trasferisce a La Rufina. I due omicidi del ’74, quel duplice omicidio del
’74 è avvenuto a “Fontanine di Sagginale” e quello dell’84 a “Boschetta di Vicchio”. Dopo,
dopo ambedue, dopo che Pacciani si era trasferito da La Rufina in quel di San Casciano.
Dove aveva abitato per 48 anni, salvo l’interruzione del carcere, dove aveva lavorato per
altrettanto tempo conoscendo da buon contadino, che ha un particolare rapporto col
territorio, palmo a palmo la zona a lui familiarissima. Quando non vi abita più perché,
appunto, si è trasferito a La Rufina si verifica, poco dopo, un anno poco più, si verifica il
primo omicidio Pettini-Gentilcore. Cos’è? Un’attrazione fatale verso i luoghi natali?
Un’attrazione fatale verso il luogo del primo omicidio, quello del ‘51? O un’accorta
valutazione? Perché ormai lo sappiamo, questo non è in discussione: Pacciani è astuto,
Pacciani è una volpe. Ho quindi attenta considerazione della precostituzione di una specie di
alibi: “Io ora non sto più in zona. Nessuno mi può sospettare se in zona, dove fino ad un
annetto fa stavo, succedono delle cose strane…”. Potrebbe essere una delle due, una delle tre
ipotesi. Sta di fatto questi sono i dati concreti: dalla Rufina si sposta a San Casciano. Dopo
poco comincia la serie, dal Mugello parte o ri-parte la serie degli omicidi che hanno
insanguinato la provincia di Firenze fino all’85. Sulle varie ubicazioni dei posti di lavoro e
delle residenze di Pacciani nel Mugello fino al ’73 non sto a tediarvi! Le conoscete, le potete
rivedere sulla carta geografica. E, anzi, vi prego di farlo perché è impressionante vedere la
coincidenza dei luoghi toccati da Pacciani in quel periodo in quella zona rispetto ai luoghi
dei tre omicidi: Tassinaia nel ’51, Fontanine nel ’74, Boschetta nell’84. E siamo al delitto del
’51. Passionale? Era stata contestata a Pacciani “omicidio premeditato a scopo di rapina”, in
quell’occasione; la sentenza fece giustizia di questo, tanto che poi la pena fu modesta:
omicidio passionale, duplice strumento lesivo. Coltello, bastone o forse scarpa! Leggendo la
sentenza del ’51 sembra, potrebbe darsi. La perizia, la necroscopia dicono che può darsi che
gli sia stata schiacciata la testa con il tacco, con il tacco di una scarpa. Comunque la testa
restò maciullata di quel Bonini… Siamo in un bosco, in una località isolata, fu trascinato il
cadavere del Bonini per circa 300 metri. Queste cose, via via, vi richiamano necessariamente

alla mente tutto quello che poi si svilupperà successivamente. Lasciò il Bonini,
abbandonato/nascosto nel fogliame (e anche questo vi ricorderà qualche cosa…), gli procurò
orrende mutilazioni: alla testa ho detto, l’occhio, l’orecchio sinistro quasi staccato di netto.
Ma prima che questo avvenisse c’è un altro atteggiamento del Pacciani, che ritorna anche
successivamente: spiò, si mise a spiare i due (Bonini e Bugli) che stavano sopraggiungendo e
che stavano poi facendo “quel che facevano”… I punti di contatto sono questi, le identità
sono queste; è inutile ripeterle ritrovando nei singoli omicidi, nei singoli episodi dal ’74 in
poi i punti di contatto perché sono troppo evidenti e sono già stati messi in luce dal Pubblico
Ministero. Sono tali e tanti che ci sembra impossibile che possano costituire delle semplici
coincidenze e che ci possano consentire di pensare che l’autore non sia la stessa persona! Io
credo di poter dire, con sufficiente cognizione di causa ed attendibilità (perché questa è la
convinzione che mi sono fatto), che l’episodio del ’51 è la madre di tutte le battaglie che
successivamente si scateneranno nell’animo di Pietro Pacciani. Che era già incline
ovviamente, e lo stesso episodio del ’51 lo dimostra, a una violenza fuori misura: per
aneddoto (eh, forse è meglio…) si può rammentare che, durante un litigio, mise il proprio
padre a sedere sulla graticola del focolare acceso; già prima del ’51, quindi già prima del
raggiungimento dei 26 anni. Questo è il personaggio, conosciuto in zona per la particolare
violenza e per la particolare attitudine a imporsi, con la violenza appunto!, sugli altri. È una
violenza brutale, di cui ha dato dimostrazione con le modalità di uccisione di quel Bonini (e
non ritorno su questi particolari che possono soltanto aggiungere truculenza a truculenza).
Ma vi sono anche altri particolari di quell’omicidio, meno truculenti meno macabri, che
ritornano negli episodi successivi e anche di questo vi è stato parlato. I furtarelli, eh?
Furtarelli anche strani se si vuole: di piccole cose, di poche cose, praticamente senza valore
economico, che si riscontrano da allora in poi. Allora furono sottratti 11000 lire, un
portafoglio con 11000 mila lire. Eravamo nel ’51 ma non era una grossa somma nemmeno
nel ’51! Successivamente le cose sottratte dalle borse o dalle autovetture sono veramente
insignificanti sotto il profilo economico, non lo saranno poi sotto il profilo probatorio (ma di
questo io non parlerò…). Nell’interrogatorio che Pacciani rese ai Carabinieri il 13 aprile del
’51 disse testualmente, quindi due giorni dopo l’omicidio disse testualmente: «Non appena il
Bonini ebbe pronunciata tale frase…» – e cioè “se mi dai retta ti do 2000 lire, così ti compri
un vestito…” – «la mia fidanzata acconsentì alla proposta e si sdraiò supina tenendo le
gambe aperte. Subito dopo il Bonini si buttò sopra alla mia fidanzata, la quale
contemporaneamente si tirò fuori la mammella sinistra. Fu così che io vidi che i due si
congiungevano carnalmente. Io non potendo più resistere nel vedere l’orrendo spettacolo e
risentito del comportamento della mia fidanzata…». Quel che è successo dopo lo sappiamo.
Cosa è successo? O cosa pensiamo che sia successo… Ma credo che se ai criminologi di
Modena (o di altra università) avessimo dato incarico di trovare le similitudini, di trovare la
matrice comune con riferimento all’episodio del ’51 credo che oggi ne saremmo tutti molto
più convinti. Quando l’esame è stato fatto, sugli episodi dal ’74 in poi, nessuno aveva in
mente Pacciani come autore dei reati, quindi nessuno poteva pensare agli episodi del ’51. Ma
la correlazione fra quello e questi è estremamente importante: io credo che potremmo
veramente capire meglio, molto meglio di quello che io riuscirò a far capire perché non sono
un esperto di criminologia, quale possa essere il significato profondo, conturbante di quel
fatto rispetto a tutto quello che è successo dopo. Tutte le volte in cui Pacciani vedrà, negli
anni successivi, una ragazza che si concede a un uomo Pacciani vi rivede la propria
fidanzata! Guardate, anche queste sono piccole cose ma da sottolineare. In quel brano di
interrogatorio che vi ho letto, composto di quattro frasi, la parola «la mia fidanzata» si ripete
tre volte. Eh, è questo che ha creato questo trauma nel Pacciani; cioè la sua fidanzata, una
“proprietà” sua, eh, lo sappiamo che quest’uomo è padre-padrone… ma è padrone nel vero
senso della parola! Quindi la sua fidanzata, qualcosa che gli appartiene, osa concedersi o
stare per concedersi ad altri. È questa la frase… È questo il momento, è questa la cosa che
suscita quell’orrore, quell’ ”orrendo spettacolo”: tutte le volte che rivede negli altri uno

spettacolo analogo scatta in lui l’avvelenamento subito nel ’51. Deve intervenire perché
ancora ossessionato da quella visione! Mi si può dire: “Ma nel ’51 non uccise la donna.
Allora tutto questo discorso che l’Avvocato Pellegrini sta facendo non torna, l’analogia
crolla…”. Direi che è tutto il contrario! Nel’51 egli punì ed umiliò la Bugli costringendola
all’accoppiamento, si trattò di violenza carnale vera e propria; stranamente gli fu contestato
ai due gli “atti osceni”, come se la Bugli fosse stata consenziente… In realtà sotto la
minaccia di essere uccisa anch’essa da un uomo che aveva dato dimostrazione, tre minuti
prima, che cosa era capace come faceva a sottrarsi alla richiesta del Pacciani me lo dovete
spiegare voi. Ma, sottostando alla violenza del Pacciani, la Bugli si salvò e lui la risparmiò.
Del resto a quella ragazza, allora diciassettenne ma già abbastanza chiacchierata in zona, non
parve vero di cavarsela a buon mercato, eh: stava per essere uccisa. Ma è proprio la mancata
eliminazione della donna che condiziona e determina tutto il comportamento successivo,
negli anni a venire. Perché, dal ’74 in poi, è proprio la donna che egli vuole eliminare e
punire! Questa volta in maniera molto più definitiva che nel ’51: uccidendola perché deve
completare quell’operazione, quell’azione iniziata nel’51 e lasciata in sospeso o chiusa là;
con un comportamento che, in quel momento, fu di sua soddisfazione… ma che poi, negli
anni successivi, nel ripensamento forse del carcere (14 anni sono pochi rispetto a un
omicidio efferato, ma sono anche tanti per fare le proprie valutazioni), ha capito di aver
sbagliato – dal suo punto di vista, si intende – a non uccidere anche la Bugli. Di aver
commesso un errore e non se l’è più perdonato! La Bugli poi non lo ha aspettato alla uscita
del carcere, e questo ha rafforzato sicuramente la sua convinzione di avere commesso un
errore madornale. E allora vi rimedia! Vi rimedia poi punendo le donne che stanno facendo
l’amore. I ragazzi, i giovani li elimina perché non può fare a meno; è ovvio, è naturale,
inevitabile. Ma contro di loro non ha un “conto aperto” perché il conto lo aveva chiuso con
la parte maschile di quella coppia nel ’51! Il conto è aperto solo nei confronti della parte
femminile, nei confronti della donna. È tutto l’atteggiamento successivo, anche al di fuori
degli episodi che particolarmente ci riguardano: dimostrano l’odio di Pacciani per le donne.
Pensate alla moglie, pensate alla figlia, pensate probabilmente anche a quella “sperduta”,
quella Sperduto che insomma può essere un’altra delle sue vittime… Vi è una smania di
vendetta e un’ansia punitiva che lo accompagnerà per tutta la vita e che condizionerà anche
la vita di tutti coloro che gli stanno vicini. Nel ’51… Perché dobbiamo onestamente vedere
accostamenti e scostamenti: ma vorrei riuscire a convincervi, come mi sono convinto io, che
quelli che sono apparenti scostamenti fra quell’episodio e quelli successivi, in realtà, in un
quadro psicopatico si completano, combaciano perfettamente, si sovrappongono. Nel’51,
dopo l’uccisione del Bonini, ha quella manifestazione di sessualità che abbiamo testé
rammentato. Sessualità bestiale direi io, ma sempre sessualità. Dopo no, di questa sessualità
in questi termini non vi è più traccia; si può spiegare a mio parere, e alcuni passi poi delle
conclusioni delle valutazioni dei periti confortano quello che sto dicendo (non sto
inventando, non sto improvvisando una tesi qualsiasi!), si può spiegare quello che dopo non
succede proprio col fatto che quell’aspetto della sua vendetta fu consumato allora e, quindi,
non è più necessario ripeterlo. È l’uccisione con i riti macabri, che conosciamo
perfettamente, che prendono il posto di quella violenza carnale! L’omicidio della donna, che
successivamente potrà “sfogare” dal ’74 in poi, finalmente lo appaga; finalmente gli fornisce
quella gratificazione sessuale che non ha più, quindi, bisogno di ricercare nella “sessualità
agita” sul luogo del delitto. I criminologi parlano di “coazione a ripetere” i gesti che
provocarono il trauma, il turbamento psichico iniziale. Io credo di potere aggiungere che vi è
anche una coazione non solo a ripetere ma a perfezionare, a completare. L’escissione del
pube e del seno equivale all’atto sadico, è l’equivalente sadico… Scusate, è l’equivalente
sadico del rapporto sessuale perché è la realizzazione di un’idea fantasticata. Anche queste
sono parole non propriamente mie. Dopo la permanenza in carcere si scatena in quest’uomo
un delirio di potenza. Esce dal carcere a 39 anni, è ancora nel pieno delle forze. Forse è
anche questa una ragione della sua convinzione che, tutto sommato, la si può fare anche

abbastanza franca e, via via, si convince; forse (forse, avanzo un’ipotesi), forse c’è anche
quell’episodio del ’68 con altre connotazioni dove potrebbe darsi che Pacciani abbia agito,
sparato magari al soldo di qualcun altro? Chi lo sa, ma anche quella volta non viene trovato:
gli viene confermato che si può uccidere. La prima volta gli è andata male (o maluccio), poi
si convince che si può anche uccidere senza pagare pegno. E allora si può uccidere, si può
seviziare. Si può soggiogare col terrore la moglie, le figlie, i conoscenti, i testimoni. Quindi
il ’51 è la chiave di lettura, da un punto di vista psicologico, proprio per quell’impulso a
ripetere, quella “coazione a ripetere” e a perfezionare; è la chiave di lettura, a mio parere,
che dà la spiegazione degli atteggiamenti successivi. Venendo a parlare brevemente – credo
di rientrare nel tempo che mi è stato concesso – del delitto dell’84 è pacifico che non vi sono
elementi specifici riferiti a quell’omicidio a carico di Pacciani. Ma quell’episodio, con quella
matrice psicopatica che dicevamo adesso, è così uguale a tutti gli altri che gli elementi
probatori, trovati in relazione ad altri episodi particolarmente l’episodio dei tedeschi e
particolarmente l’episodio dei francesi (che sono certamente più documentati rispetto a
quello di Vicchio), si estendono inevitabilmente – e direi su questo non c’è ombra di dubbio!
– anche all’omicidio di Pia e Claudio. Tornando un attimo anche ai luoghi, e quindi al
Mugello, tenete presente che Boschetta, dove è stata uccisa Pia e Claudio, è un luogo così
appartato che solo un conoscitore dei luoghi (un perfetto conoscitore dei luoghi!) sa che lì i
ragazzi, i giovani si appartano per le loro intimità. E, guarda caso?!, che Pacciani aveva
lavorato finché era nel Mugello a pochi metri da quel luogo, nel podere di un certo Cesari
che, in linea d’aria, dista 500 metri da Boschetta! Sono tutte coincidenze? Diceva un vecchio
magistrato che: «Una coincidenza non conta, due coincidenze sono sfortuna… ma tre
coincidenze cominciano a far prova!». Tralasciamo, non contiamo, trascuriamo le continue
menzogne del Pacciani. Anche stamattina qualcun altro si è convinto di concludere in un
certo modo proprio partendo dalla inspiegabilità delle menzogne del Pacciani. Non contiamo
le testimonianze contro Pacciani. Uno di questi testimoni sarebbe stato svilito perché
soprannominato “La Ciuca”, io non credo che le ciuche abbiano l’attitudine a mentire. Non
contiamo i risultati delle intercettazioni ambientali, gli evidenti scivoloni del Pacciani
quando cerca di spiegare/banalizzare tutto. Io vi ricordo soltanto che, quando abbiamo
ascoltato tutto il trambusto, che in quella notte documentata da un’intercettazione ambientale
l’abbiamo sentito, Pacciani volle spiegare quel trambusto dicendo che cercava la caffettiera
per farsi un caffè perché malato di cuore. Notoriamente il caffè ai malati di cuore fa
benissimo! Ma, dico, in casa propria ognuno va a colpo sicuro, prende la caffettiera: non ha
bisogno di spostare il frigorifero come è successo per trovarla. Sono tutti elementi di
giudizio quelli che risultano da questo “panorama” di prove, o quantomeno di gravi indizi
(ma sono tanti: sono precisi e sono concordanti…), che, perlomeno dal ’74 in poi,
raggiungono inevitabilmente e, direi, sicuramente Pietro Pacciani. Per quanto riguarda, e
concludo, l’omicidio dell’84 – che, ripeto, non è così corroborato specificamente da prove o
da elementi indiziari – è pacifico che: la unicità della pistola (di cui non si può discutere!), la
unicità della mano (di cui non si può discutere!) collegano indissolubilmente tutti quanti gli
episodi; sicché, attribuendo la responsabilità di uno (certa, inequivocabile), di uno di questi
episodi a Pacciani, è inevitabile concludere per la responsabilità di Pacciani anche in
relazione all’uccisione di Pia Rontini.
Presidente: Le conclusioni le ha già depositate… Vero, Avvocato Pellegrini?
Avvocato Pellegrini: Sì. Sì signore…
Presidente: Benissimo, grazie. Allora: Avvocato Colao. A lei la parola…
Avvocato Colao: Signor Presidente, signor giudice a latere e signori della Corte. È inutile dire che
questa serie di delitti si è presentata come effettuata dall’autore con una duplice arma: arma

da fuoco calibro 22 e arma bianca. Io mi soffermerò sull’arma bianca, mi soffermerò
sull’arma bianca perché – come il Pm ha rilevato – l’autore di questi omicidi e l’imputato si
sono rilevati, diciamo, abili maneggiatori di questi strumenti di armi bianche. In particolare
partirò dal fare alcune considerazioni sulle perizie medico-legali: il professor Maurri parla di
un’arma bianca che è larga e che sicuramente degrada a punta. Questo è un lato
inequivocabile. Poi parla anche che sul corpo della povera Pettini Stefania – e anche nel
rivelamento di quest’arma si rilevava, si riferiva a questo episodio – ci sono sempre, o per la
maggior parte, ferite da punta che hanno un angolo acuto e un angolo ottuso. E questi sono
elementi riferiti all’arma sul corpo della Pettini Stefania. Poi ha parlato di un tagliente che
aveva una costola, il professor Maurri, sagomata; raramente Maurri si è spinto sulla
seghettatura, è sempre rimasto su una costola sagomata ed era un tagliente e questo è un
elemento… ed era un monotagliente, ecco. Ora, passando poi a esaminare le ferite sul seno
sinistro di Mauriot, la povera francese, il professor Maurri, nel fare la descrizione della
escissione che come sapete – non voglio dilungarmi tanto – parte da ore 23 poi si porta ad
ore 7/8 e, in punto, ad ore 3 c’ha una leggera intaccatura. E poi dopo da ore 7/8, nel ritornare
ad ore 23, produce delle intaccature; una serie di intaccature. Una serie di inteccature
fintanto che, poiché all’autore di questi misfatti interessava avere il seno intero ed integro il
più possibile, questa doveva essere un’unica azione di taglio. Quindi ecco come si verificava
questa circostanza, così come spiegava il professor Maurri. Ora il professor Maurri,
commentando questa serie di lembetti di cute, di intaccature, ha sempre detto: “È un’arma di
cui io non mi so spiegare come possa essere, per me è un’arma che non ho la più pallida
idea…”. E questo, con grande franchezza e sincerità, l’ha sempre sostenuto. Se passiamo a
considerare lo schema della perizia De Fazio vediamo che questo corrisponde, anche per
quanto riguarda la perizia De Fazio; è uno schema che, naturalmente, è in perizia (è uno
schema che è in perizia…) e qui si vede meglio. Non ho voluto prendere una foto, ecco: già
era stato troppo truculento… Tutte queste visioni! Ho preso questo schema e qui ancora si
vede meglio quale è stata, oggettivamente, la rilevazione fatta dai tecnici di questa
escissione. Poi, se passiamo, bisogna considerare che il seno sinistro della Mauriot era largo
13 cm: attenzione, questo è un dato molto importante! Dico attenzione a me. Era largo 13
cm. Se passiamo a considerare, invece, la escissione del seno della povera Pia Rontini
sappiamo che le modalità più o meno sono le stesse; soltanto che le intaccature ci sono
anche, fra le tre e le cinque, e ci sono ancora sotto delle piccole seghettature, e il seno è largo
18 cm. Quindi fra i due seni c’è una differenza di 5 cm: e questo, secondo l’ipotesi che io
porgo alla Corte, è una cosa molto interessante per una possibile ricostruzione della effettiva
dinamica di come si è svolto tutto questo. Bene, oh, su questo punto il professor Pierini, nel
volere associare la possibilità di compiere un taglio del genere tutto intero, parlava di
adduzione dell’ulna sul radio per blocco fisiologico arrivato alla massima potenzialità di
torsione del braccio. E quindi, addirittura, inversione del filo di lama: per cui, dall’altra
parte, sarebbe risultato seghettato e nel salire dava luogo a tutto questo. Questa è la
ricostruzione. Ora mio devo fermare, eh. Io poi presidente, se crede, ho fatto la “memoria
scritta” che depositerò e quando poi saremo un po’ più avanti le farò un’istanza, in modo sia
un po’ più comprensibile, no, il fatto. Ho fatto anche un piccolo grafico, un piccolo scritto…
Presidente: Poi ce lo consegnerà…
Avvocato Colao: Ecco, questo è tutto. Però dicevo: se consideriamo la ferita al polso destro del
ragazzo francese, la quale è stata una ferita che ha lasciato uno stampo nel radio perché,
essendo l’osso rigido come più volte vi hanno detto i periti, e voi sapete benissimo perché
queste cose le avete sentite, risentite… Però le devo dire. L’osso è rigido e quindi,
naturalmente, non è soggetto a deformazioni e di conseguenza lascia proprio il calco della
parte di arma che è penetrata nell’osso. Questo è un dato inattendibile? Questo è un dato,
certo, del tutto inconfutabile. Ora questa ferita “a stampo”: io, se non vi spiace, darei lettura

a quanto dice su questo qui il professor Pierini. E quindi passerei a leggere; il professor
Pierini dice (nell’udienza del 15/07/’94, pagina 32-33 fascicolo 74), dice: «Una misura un
po’ più precisa si ricava dalla ferita da punta “a stampo” sul radio del ragazzo perché è una
ferita a sezione triangolare. Questa sezione triangolare ha angoli di 20 gradi circa e fanno
pensare quindi ad un coltello con una carena di rinforzo…». Successivamente, mi pare nella
stessa udienza (sì, nella stessa udienza del 15/07/’94) dice: «Per quanto riguarda il tipo di
coltello, ho detto anche che l’unico caso in cui è stato possibile fare un po’ di
“modellistica”… Cioè per “modellistica” si intende il recupero della forma tridimensionale
dell’oggetto perché, normalmente, durante l’esame delle lesioni da taglio si hanno soltanto
dei piani bidimensionali. Però, nel caso dell’impronta stampo sul radio del ragazzo francese,
il piano osseo permette di mantenere la forma proprio per mancanza di elasticità, quindi
certe misure sono precise. Infatti è l’unico caso per il quale mi sono spinto a fare una misura
angolare del filo di taglio, cioè 20 gradi, ammettendo quindi che l’osso abbia funzionato da
calco. Dalla parte opposta all’angolo di 20 gradi c’è l’altro angolo acuto che però è
frammentato, scheggiato.» «Come si spiega questa differenza?» si pone il professor Pierini.
Ed io credo, dopo che avrò descritto anche il trincetto, di poter rispondere a questo. Come si
spiega questa differenza? In ipotesi sempre, poi a voi giudicare. Se noi immaginiamo una
piramide in sezione, quindi un triangolo con la base molto lunga e l’altezza abbastanza
breve, rimangono due angoli di 20 gradi. Ancora leggo queste poche righe, precisazioni sul
punto: la relazione autoptica d’ufficio svolta dal professor Maurri e dai dottori Bonelli e
Cafaro descrive in dettaglio le caratteristiche della ferita “de quo”. E ci danno altri dati che
possono, diciamo, completare quelli che mancano da parte del professor Pierini: «In
corrispondenza del dorso dell’epifisi distale del radio, soluzione “di continuo” o variforme,
con asse maggiore parallelo al maggior asse dell’arto di cm 1,5.» Quindi è piccola, una ferita
piccola! «Con margini abbastanza regolari e che fa evidenziare il tessuto aponevrotico
muscolare sottostante. L’esame di detta soluzione permette di evidenziare il piano osseo
radiale, ove si apprezza un’incisura di forma triangolare parallela al maggior asse dell’arto;
con base rivolta verso il carpo di mm 2, vertice verso l’epifisi prossimale del radio, verso il
gomito. I lati appaiono netti e di questi il radiale è di 1,2 cm e l’ulnare è di 1 cm. Tale
incisura si approfonda per circa 2 mm nello strato osseo sottostante. Foto 26, 27 e 28…». E
questo è l’altro aspetto che ci dà la profondità, cioè il professor Maurri ci dà anche la
profondità. A questo punto sarebbe opportuno, presidente io gli avanzo questa richiesta, se
lei naturalmente l’accoglie bene… Sennò io posso proseguire oralmente. Però non so quanto
possa essere efficace io nello spiegarmi e, quindi, alcuni di voi se possono avere una
comprensione piena o no. Sarebbe opportuno che io avessi qui sul banco i corpi di reato
perché su questi corpi di reato, armi bianche, vorrei in particolare illustrare il trincetto
grande…
Presidente: Avvocato, perché non me l’ha detto prima? Ora dobbiamo andarli a recuperare là…
Avvocato Colao: No, il momento è ora. Certo glielo potevo dire prima. Ma si anticipava: ognuno si
fa la scaletta sua e segue un suo ordine. Però comunque, se lei dà disposizione, io posso
andare avanti e intanto quando c’ho i corpi del reato qui illustro…
Presidente: Vada avanti nel frattempo avvocato, via…
Avvocato Colao: Prego.
Avvocato Bevacqua: Vorrebbe anche un cadavere?
Avvocato Colao: Prego?

Avvocato Bevacqua: Vorrebbe anche un cadavere?
Avvocato Colao: Ma io penso che non è opportuno che ti risponda…
Avvocato Bevacqua: Poi è incompleta…
Avvocato Colao: Per me è spiacevole scusa che tu mi dica così…
Presidente: Signori, non perdiamo tempo! Eh adesso farò portare il corpo di reato però la
raccomandazione che le ho fatto di sintesi…
Avvocato Colao: Io sto facendo una ricerca… Presidente, allora, per avvantaggiarmi…
Presidente: No, no. Ora ora glielo faccio portare… Bisogna che io vi trovi Romano(?). Da soli i
corpi di reato non vengono!
Avvocato Colao: Presidente, io per avvantaggiarmi, per avvantaggiarmi… Presidente Ognibene, io
per avvantaggiarmi farò delle osservazioni sui trincetti in generale perché è un presupposto
molto importante questo. Allora il trincetto, come sapete tutti voi meglio di me (ed i calzolai
ancora meglio!), è il trincetto un arnese da calzolaio. Viene fornito dalla fabbrica appuntito e
i trincetti… I calzolai che vogliono fare il mestiere (oppure coloro che vogliono dilettarsi in
questo) lo spuntano appena in cima di 2 o 3 mm trasversalmente, trasversalmente per il
motivo che vi dirò. I trincetti servono sia per tagliare il pellame e allora, in questo caso, la
punta si conserva, però è necessario che il filo su cui si taglia il pellame non sia né tagliente
né semitagliente. Quindi deve avere una bella costola, uhm. Oppure per far le scarpe e basta!
Allora in questo caso si taglia la suola, si inchioda sul tomaio e quando il calzolaio per
adattare il bordo della suola al tomaio fa il cosiddetto “fino”, è così che si dice in gergo. Mi
sono informato presso uno, due, tre calzolai: ho voluto approfondire bene questo discorso.
Allora cosa succede: nel fare il fino deve tagliare, come sbucciare una mela, la suola “torno
torno” e la punta non ci deve essere. Perché se ci fosse quella “puntina”, che è stata
scapozzata/troncata, si taglierebbe il tomaio: quindi è tutto qui! Deve avere una “puntina”
tronca in cima. Ora i corpi di reato che io ho esaminato e che ora poi vedremo presentano
delle caratteristiche… In particolare uno, il più grande. Sono tutti e due appuntiti: quindi, per
questo motivo, non sono atti a risolare le scarpe e a fare il fino. Se l’imputato è stato in un
calzaturificio e vi ha lavorato a lungo e adoperato la mola mi potrà comprendere bene in
queste asserzioni, se le dico giuste o no. Quindi questi due trincetti non sono idonei a fare il
fino, quindi per far le scarpe non sono adatti. Possono essere adatti per altri usi, per usi
impropri! Bene poi, inoltre, il trincetto, in particolare il più grande di cui vi dirò le misure, è
una vera e propria baionetta perché voi avete modo di guardarlo con attenzione, controllando
tutto quello che io vi dico: i dati, le misure, tutto quello che vi fornirò; in maniera tale per
verificare quello che io vi dico. E questo trincetto si presenta come? Largo 2,3 cm. Poi ha
una costola di lungo 28,4 cm; ha la costola della parte sinistra di 1,8 mm. Alla fine del
millimetro e otto c’è un tratto che è stato modificato dal proprietario: è stato molto inclinato,
rispetto alle caratteristiche del trincetto, per cui ha formato un tratto inclinato di 1 cm, il
quale è semi-tagliente perché molato dalle due parti; e quindi non è un tagliente ma un semitagliente e confluisce a punta con l’altro tratto, lungo 5cm e mezzo, che è affilato. Il quale, a
sua volta, si porta alla base del trincetto con una costola di 1 mm, degrada da 1 mm a 1 mm.
Al centro ha una concavità di 0,9 mm e lo spessore al centro è di 1,4. Questi dati hanno la
loro importanza, almeno penso, poi sta a voi giudicare. Ora c’è da mettere in evidenza
ancora altre caratteristiche di questo trincetto perché io mi sono spinto a fare, oltre col
calibro le misurazioni che vi ho dato ora riguardo allo spessore e alla concavità, mi sono
spinto a fare la misurazione degli angoli. Per cui: l’angolo che viene formato dalla costola di

1,8 mm e il tratto di 1 cm è un angolo ottuso di 139 gradi. L’angolo che si forma dal filo
tagliente di 5,5 con l’altra intersezione del tratto di uno è un angolo acuto di 55 gradi.
All’interno della punta, se prendiamo la tangente, ha una leggera smussatura che è sul filo di
5,5 in fondo; si forma un angolo acuto di 55 gradi. Queste sono le misure, queste misure
ritengo che hanno importanza. Ritornando alla possibile ricostruzione del trincetto grande,
delle ferite…
Presidente: Prego, avvocato…
Avvocato Colao: Io fornirei, se mi è possibile, a lei questa copia, intanto che vi può seguire in
questo discorso del difensore anche questo schizzo. Mettendo subito in rilievo che io non
sono né un geometra né ingegnere, qui queste qui non sono in scala, ma viceversa questo
punto qui è in scala…
Avvocato Bevacqua: Come avrebbe tagliato il seno. Quindi c’è il seno e il coseno anche perché
siamo in geometria…
Voce indefinibile: Menomale c’è gente allegra!
Avvocato Bevacqua: … Cerchiamo di essere allegri, no?
PM Canessa: Io no, caro…
Avvocato Bevacqua: Lei no, lei non può essere allegro…
Presidente: Bene, signori. Prego avvocato, continui. Intanto le farò portare questi corpi di reato, eh?
Avvocato Colao: Dunque beh, a questo punto, se non li portano più è lo stesso perché… Che vi
devo dire? C’ho un modellino e farò su quello se lei ritiene…
Presidente: Ora arrivano avvocato. Se me lo diceva prima…
Avvocato Colao: Ecco va bene. D’accordo. Però non voglio farvi perdere tempo, questo in maniera
categorica quindo voglio andare avanti. Magari con altri argomenti in attesa di questo. Bene,
allora illustro allora questo schizzo. Questo è la sezione della piramide con il triangolo, con
la sezione piramidale del triangolo, che si forma dagli angoli al vertice di 20 gradi; così
come ci sono stati dati dal professor Pierini. E l’altro angolo di 20 gradi. Questo è l’angolo di
140 gradi alla base, con un’altezza di 2 mm. Il radio che sopra/di fronte qui si vede, si può
apprezzare il triangolo scaleno visto di sopra. Ha l’altezza, ha una base di 2 mm: è scaleno
perché un lato era 12 mm e quell’altro era 10; quindi era chiaro venisse scaleno. E allora ha
il lato verso il radio, è di 12 mm. Mi sono permesso di mettere il vertice in viso scritto
gomito(?), e da quest’altra parte ho segnato le dita, no, il senso della direzione e verso l’ulna
è di 10 mm. Oh, per conseguenza questo angolo che si forma di 140 gradi corrisponde,
coincide! Poi questa… Io ho fatto questa ricerca, poi a voi controllare tutte queste misure:
verificarle, accettarle o meno, correggerle, integrarle, non tenerne conto. Non lo so, però il
punto è questo: che io, facendomi questo modellino e mettendo in scala da 1 a 1 (cioè in
scala al vero), l’incisione così come si forma con questa angolatura di 20 gradi, il punto del
modellino che mi ero fatto coincide perfettamente con l’angolo di 139 gradi e con la costola
che è 1,8 mm. Queste sono le mie considerazioni. Avevo già detto prima che, diciamo, non
c’è da sorprendersi del fatto, un domani, in ipotesi, che queste armi perché il trincetto grande
senz’altro non è più… È un’arma! Così come si presenta è tale. Oh, rimane il fatto che c’è da
fare anche questa considerazione molto semplice. Questi sono una serie di omicidi: avvenuti

in territori di campagna, avvenuti nel nostro circondario campagnolo. Qui si affonda le radici
nella cultura contadina, che è tanto saggia e buona nel bene e tanto perfida, come è stato in
questo caso; in questa occasione tanto perfida e diabolica. Perché è stata la “diabolicheria
massima” il potere conservare anche e modificare i trincetti, che è un’arma irripetibile. Eh,
intendiamoci: un trincetto così… non ce ne può essere altri! Perché è stato modificato, ha dei
connotati ben precisi. Allora, dicevo, è chiaro che in una mente che ha istinti primitivi in
certi momenti… In altri momenti quella stessa mente può essere ilare; istinti di ilarità, di
saggezza, di simpatia. Ma, in certi momenti, quando scattano gli istinti primitivi, quella
mente, se è una mente contadina, pensa al trincetto come arma! Perché il trincetto è tenuto
nelle campagne in grande considerazione: è l’arma per eccellenza. Quanti delitti sono stati
fatti con i trincetti?! Non solo, ma il contadino associa la resistenza del trincetto, la capacità
di taglio alla stessa capacità di taglio di un bisturi. Perciò noi possiamo dire che il trincetto
sta al contadino come il bisturi sta al medico, se la vogliamo fare a livello di equazione; e
questa mi pare una considerazione molto importante…
Presidente: Questi sono i trincetti avvocato. Lei li fa vedere poi ai suoi colleghi…
Avvocato Colao: Bene!
Presidente: La Corte poi li vedrà.
Avvocato Colao: Grazie.
Avvocato Bevacqua: Possiamo vederli anche noi?
Avvocato Colao: Allora, questo è il trincetto che interessa. È il trincetto grande. Mi riferisco a
questo angolo ottuso di 139 gradi. Questo è il tratto molato (di qua e di la), a parte un po’ lo
sporco che c’è sopra; e questo angolo qui è acuto di 55. Il trincetto è lungo 28,4 e largo 2,3.
Ha una costola di 1,8… Che qui è 1,8, in questo tratto così modificato, con questa forma
caratteristica che tutto è fuorché un trincetto! Soltanto nel nome… È un trincetto modificato
a mo’ di arma da offesa.
Presidente: Vabbè, così lei ritiene insomma avvocato eh…
Avvocato Colao: Presidente, se mi consente io verrei lì e poi lo faccio vedere ai miei colleghi. E
vorrei fare l’esperimento di mettergli il trincetto su questo…
Presidente: Vabbè avvocato, combaciano perché penso che…
Avvocato Colao: Combaciano perfettamente!
Avvocato Bevacqua: Ci voleva il cadavere…
Avvocato Colao: Combaciano perfettamente! Guarda, mi prendo il dovere di farlo vedere anche a
te… Verso la tua grande correttezza come professionista.
Avvocato Bevacqua: Grazie.
Avvocato Colao: Quindi ecco, io so che se tu ti rendi conto di questo che è un fatto… Io sono
venuto a rappresentare i fatti!
Avvocato Bevacqua: La tua versione dei fatti…

Avvocato Colao: Sì d’accordo, per carità. Puoi controllare! Come vedi…
Avvocato Bevacqua: So che sei liftato (?) anche a vedere lì i reperti… Giusto? Addirittura a vedere
dei peli.
Avvocato Colao: Certo…
Avvocato Bevacqua: Ecco hai visto anche i peli che c’erano… addirittura dei peli di pube…
Presidente: Beh, vabbè comunque…
Avvocato Bevacqua: Quindi sai, questa è stata disegnata là sotto abbi pazienza. Ah, via: c’è chi fa
parte della Sam e chi del Gam. Tu fai parte del Gam?
Avvocato Colao: No, io vorrei fare una precisazione a questo punto. Io come avvocato di parte
civile posso esaminare i corpi di reato! Articolo 116 del Codice…
Avvocato Bevacqua: Ma dicci allora che li hai già esaminati… Che li hai già esaminati e che guarda
caso…
Avvocato Colao: E le misura come le prendevo?!
Avvocato Bevacqua: È perfettamente identico quel benedetto trincetto, benedetto o maledetto che
sia…
Avvocato Colao: Maledetto, maledetto!
Avvocato Bevacqua:… A quella tua fotografia. Diciamo le cose come stanno…
Presidente: Vabbè avvocato, se ha esaminato i corpi di reato è una sua… Signori, sia ben chiaro che
tutti voi avevate diritto!
Avvocato Bevacqua: Avevamo diritto, certamente.
Presidente: Io ora non so, non c’ero se lo avete fatto o no. Ma se lo avete fatto era nel vostro diritto.
Ho lasciato le chiavi a Romano proprio per questo motivo… Poi naturalmente ognuno ne
trae le conclusioni che vuole. L’Avvocato Colao ritiene che questo sia…
Avvocato Colao: Il Pm è stato informato passo passo di questo mio procedere…
Pm Canessa: Ci mancherebbe…
Presidente: Ma lei non ha fatto nulla di illecito, Avvocato Colao…
Avvocato Colao: Perché io volevo procedere con tutti i crismi della legalità…
Pm Canessa: Non si preoccupi…
Avvocato Colao: Ho portato dei fatti…
Presidente: Non perdiamo altro tempo! Non peridamo altro tempo…

Avvocato Colao: Sto cercando di dare una dimostrazione…
Avvocato Bevacqua: Chiedo scusa, sennò sembra che io sia maleducato.
Presidente: No, quando mai, quando mai…
Avvocato Bevacqua: Cerco di non esserlo, no col collega col quale mi vincola una sicura amicizia.
Avvocato Colao: Grazie di questo. E anche da parte mia… No, anche da parte mia. Eh, diciamolo…
Avvocato Bevacqua: Il problema è soltanto questo. Mi scusi presidente, un attimo soltanto, mi
perdoni. Qua si piglia un trincetto, si dà addirittura da parte della parte civile una forma di
questo trincetto che lui non avrebbe visto. In realtà il trincetto…
Avvocato Colao: No la foto! Se mi lasci spiegare…
Avvocato Bevacqua: La forma! E la forma si adatta perfettamente alla forma del trincetto…
Presidente: Lui ritiene…
Avvocato Bevacqua: No, la forma…
Avvocato Colao: Io ritengo…
Avvocato Bevacqua: Abbia pazienza presidente, l’abbiamo visto qui lui. L’ha disegnato, ha fatto la
forma e da lì ha costruito i seni e i coseni… Basta.
Presidente: Va bene.
Avvocato Colao: Se mi consenti, io non ho fatto la forma del trincetto. Il trincetto ha quella forma!
Presidente: E lui ritiene che sia… a quel tipo di ferita descritta eccetera, via…
Avvocato Colao: Io, esaminando il corpo di reato, ho misurato quei dati che oggi sono in grado di
fornire alla Corte! Ho fatto quelle misurazioni che oggi sono in grado di riferire. Se questi
dati io ho sbagliato nel farli… vuol dire che ho sbagliato! E l’ho detto subito…
Presidente: Si farà una perizia eventualmente, via…
Avvocato Colao: Non lo so, presidente. Decida lei come crede meglio…
Presidente: Andiamo avanti, no io non decido semmai la Corte…
Avvocato Colao: Io non ho nessun problema, mi sentivo in dovere: me ne sono accorto e l’ho fatto e
l’ho svolto!
Presidente: Va bene, va benissimo. Lei ha fatto ciò che riteneva giusto e quindi nessuno le può dare
sulla voce… Ecco, prego però vorrei andare avanti.
Avvocato: Sì, prego. No, sarò molto… sarò molto sintetico. Dunque io mi voglio soffermare un
attimo ancora su un particolare che può essere trascurabile… Ma qui sembra trascurabile
tutto e niente! E quindi viene che, a un certo punto, cose che sembrano trascurabili viceversa

non lo sono. Bene, fra i disegni al volume otto, fra i disegni fatti dal Pacciani, che l’altro
giorno nelle dichiarazioni spontanee ha detto che “siamo tutti fratelli perché figli di Adamo
ed Eva…”, c’è un disegno che il Pacciani riferisce di avere ricalcato da non so dove. Però io
so anche che, questo ricalco, non è possibile perché corrisponde a tutte la facce degli altri
disegni che fa il Pacciani; e questo è il primo elemento, non potrebbe ricalcare di qua e di là
con le stesse facce, le stesse fisionomie. Poi, inoltre, ci sono delle caratteristiche un po’
sgraziate, no, nelle articolazioni, quindi sono disegni… Per me io li qualificherei disegni del
Pacciani, però con qualche riserva. Allora c’è “Eva ed Adamo”: è questo il disegno; non so
se lei, se l’avete mai visto… “Eva ed Adamo”: lo sguardo pare nel vuoto (nel “vuto”, non
so). Allora qui si dice: “Ho vieni ho ti strozzo. Non mi vedi? Ti aspetto!”. Questo potrebbe
essere una cosa da poco, però non è da poco. Se voi osserverete attentamente al volume otto
del dibattimento, questo qui è stato sequestrato quando usciva dal carcere il 6/12/’91 (sono
stati sequestrati insieme a molti altri…); osserverete c’è sul tavolinetto un punteruolo e un
pugnale: questo è sintomatico dell’idea che vi dovreste fare. Io me la sono fatta la mia, non
la dico neanche! Però esprime violenza; la violenza col coltello fu tremenda su Pettini
Stefania, talché gli sfondò lo sterno e gli staccò l’osso xifoide. E violenza è stata quella fatta
dall’imputato al guardiacaccia Ricci che l’ha intimorito come un coniglio. Eppure, a suo
tempo, il Ricci doveva girare spavaldo per i boschi col suo fucile a tracolla! Perché gli ruppe
un rene con un calcio, e questo è un aspetto. Poi, parlando ancora di alcuni disegni che ci
sono, l’imputato nelle dichiarazioni spontanee… A parte che è stato confutato da tutti i testi
quello che lui ha detto che non è un guardone perché i testi sono venuti a dichiarare che lui
lo è, sia la Lapini sia la Sperduto e tanti altri. Fa un disegno pornografico: non lo mostrerei,
ma siamo in aula di udienza di Corte d’Assise. Qui, ad un certo punto, non bisogna farsi
nessuno scrupolo di nulla. E allora questo disegno, che ha le stesse fattezze più o meno
dell’altro, dice: “Copia ricalco fumetto”. Sui fumetti ho già parlato prima, dice:
“L’accoppiamento del sesso – pornografia – fumetto”. Si vede un uomo che si può definire
un “assatanato del sesso” che si slancia addosso ad una donna, la quale sta in posizione con
gambe divaricate ma ha i sessi molto prominenti, no? Da questi disegni appaiono questi sessi
molto evidenti… Sembra che non ci sia altro! I visi… Però dice la donna: “Guarda lassù” –
dice la donna – “Mi vergogno”. Questo qui, non lo so: potete pensare… Naturalmente voi ne
farete l’uso che riterrete e i collegamenti meglio di me. Però denota: un’ossessione sessuale,
esasperati sono i particolari erotici. E, secondo me (mi posso sbagliare), ma l’autore descrive
una scena vissuta e si compiace, l’autore, della donna che si turba. Questa qui è un’altra foto,
sempre da questa serie di album, in cui l’autore, in cui l’imputato, nelle dichiarazioni
spontanee, ha detto che lui non conosceva (quasi o che) le armi. Dice “atta tiramolla”, non
pronunciava neppure… “Tiramolla… Che vogliono questi? Cosa tiramolla…”. Non sapeva
nemmeno quest’asta tiramolla che cosa potesse essere!? Viceversa questi sono disegni
dettagliatissimi di armi: con pistola automatica fatta alla perfezione, fucile, c’è un fucile
mitragliatore, ci sono tante altre armi… Ecco e naturalmente non si può dire che lui non
sapesse cosa fosse un’asta tiramolla! Poi devo evidenziare, anche se con la massima
professionalità (intesa proprio in senso professionale…), che in questo stesso volume otto
del dibattimento c’è un rapporto erotico triangolare. Oh, ma questo cosa significa? Non è qui
fine al rapporto erotico triangolare, ma fra queste due persone in accoppiamento, diciamo
“accoppiamento proprio”… ecco definiamo “accoppiamento animale”. Ecco, fra queste due
persone in “accoppiamento animale” c’è di mezzo un’altra persona che si inserisce e, poiché
è a fumetti, dice: “Lei gli dice mettilo lì, ma lui lo sa. Certo che lo sa, non è mica scemo”.
Però, rifacciamoci a quello che ci hanno detto i periti: cosa ci hanno detto i periti? Che… Il
professor Beduschi in particolare cosa ha detto? Ha detto che quest’azione fatta dall’autore
dei delitti è sempre stata tesa a separare, a dividere l’uomo dalla donna. Allora anche questo
ha il suo collocamento, uomo o donna che sia la figura che è in mezzo. Divisa perché?
Perché l’uomo viene ucciso. A volte con undici, sono stati sparati anche undici colpi (di
questo poi ne parleremo per il proiettile) in due delitti: quello della Pettini e in quello della

Mauriot. Ma l’uomo viene ucciso, la donna viene “divisa”, separata; come se si portasse via
un pezzo di carne da una parte. Però si porta lontana e su questo si è detto: “Si porta lontana
– dicono i periti – perché ci vuole più agio, più spazio… e quindi più agio”. Ma non è vero
niente perché in certi punti che erano occultati, dopo che la donna poteva essere tirata fuori
dalla macchina, poteva stare lì vicino al margine della macchina! Invece viene presa e
trascinata sempre lontano, sempre via. Cosa è, cosa vuol dire questo? Si vuole separare!
Come bene ha detto il mio collega Pellegrini, le radici affondano nell’omicidio del’51 e lui
vuole sempre separare la donna dall’uomo; e ucciderla e punirla! Così come separò la Bugli
dal Bonini ammazzando il Bonini. Non fu una separazione, fu una “separazione traumatica”
con l’omicidio. Un altro punto mi soffermerei, poi sarei quasi a fine e mi voglio soffermare
su questo: il professor Luberto, unitamente al professor Beduschi, al professor Pierini, ci
hanno evidenziato che ci sono state due fasi nel tipo di autore di questa serie di omicidi. Che
sono fasi, diciamo: una frenetica e un’altra calma-fredda. Di questo ne ha parlato anche, a
lungo, il Pm. Però ciò non toglie che vorrei mettere in rilievo questo: eh c’è stata, diciamo,
questa fase frenetica in cui l’autore spara. Spara tutti i colpi che ha. Ricorderete che
nell’omicidio del ’74 di Pettini-Gentilcore lui non riuscì, benché avesse sparato undici colpi,
a ucciderli tutti e due. Non ce la fece, al che la ragazza girò dall’altra parte; la ragazza gli
dette un morso o gridò e sul labbro qui c’è il segno di un’unghiata. A questo seguì un grosso
fendente sul viso perché si accanì sul viso della povera Pettini. Si accanì sul viso perché il
viso era quello che aveva più a portata di mano! Questa è la ricostruzione. Però, ritornando
alle due fasi “frenetica e fredda”, come fu domandato ai periti: “Si può ipotizzare che questa
fase frenetica fosse dovuta a stato di eccitazione da orgasmo?” I periti non lo esclusero;
certo, dissero: “Tracce da orgasmo noi non le abbiamo trovate sui posti, però è possibile.”
Dissero: “Come no, è possibile sì. Perché poi diventa freddo, sfogato, calcolato…”. Come, in
realtà si sa, che quando un orgasmo è fatto avviene, no? Si acquista una lucidità, una
freddezza, una compostezza. Allora vi ricorderete il caso di Luca Iandelli? Questo caso ha
lasciato tutti noi molto perplessi, per tanto tempo. Sia perché Luca Iandelli, in un primo
tempo, aveva detto alla fidanzata (ora sposata): “Ho visto il Pacciani.” E poi perché aveva
ritrattato… Ma soprattutto ci aveva lasciati perplessi per la dinamica dell’esposizione di
questa aggressione che aveva subito Luca Iandelli, che ci era sembrata veramente strana e
anche stigmatizzabile perché sembrava veramente assurdo che uno stesse con le mani così
attaccato alla macchina e che quello girasse… Luca Iandelli girasse nel piazzale per
scaraventarlo di sotto. Bene, a parte il fatto che questo episodio che lui, in un primo tempo,
aveva detto che era il Pacciani è stato confermato sia dalla fidanzata; da brava cittadina,
venuta qui a confermarlo insieme addirittura al marito con cui si era sposata, quindi un senso
civico elevatissimo. Però rimane il fatto che anche Luca Iandelli, pur avendolo smentito e
avendone già parlato con un altro, con un certo Calosi, di questo fatto poi l’ha smentito…
Però Luca Iandelli ha detto due cose: la mano era molto grossa e il polso era molto grosso.
Quindi c’ha dato caratteristiche della mano che corrispondono all’imputato. Ma venendo alla
fine, a conclusione di questa parentesi, in quell’episodio loro se la cavarono perché l’autore
era sotto una fase di orgasmo! Ecco perché! È la mia interpretazione, chiaramente sta a voi
giudicare se idonea o no; se io sbaglio o meno… Per carità, siamo tutti fallibili! Però, sennò
non si spiegherebbe altrimenti; ecco che si era creato… E se la cavarono perché in questa
fase lui non sparò, però era pronto allo sparo. C’è un altro aspetto e poi sarei arrivato a
termine. Un’altra foto, o meglio un altro disegno fatto sempre dal Pacciani in carcere.
Volume otto – sequestro 16/12/’91: è intitolato “Amor di Madre” e si vede una tigre
veramente grossa, anche se lambisce la lingua. Quindi in atteggiamento bonario, che
sovrasta un’altra tigre più piccola; la quale, a sua volta, ha atteggiamento di essere la madre
di questo cane che è disegnato qui sotto. E c’è scritto: “Il cane truccato”, e c’è: un pennello,
un secchio di vernice e la vernice che cola.
Bene, io mi sono chiesto: «Questo cane truccato… Pacciani che ha fatto questo disegno…
Cosa voleva intendere il “cane truccato”? Chi è il “cane truccato”? È questo “povero

agnelluccio”, come l’ha sempre dipinto fin dall’inizio il valido, attento, accurato Dottor
Canessa che ci ha portato a queste conclusioni? È quel “povero agnelluccio”?». Anche per
me è così, lui raffigura questo cane dentro una tigre; quella tigre che sì, quando ha gli istinti
perversi fa quel che fa, però è un “cane truccato”! Poi denota anche che a questo signore
piace fare trucchi, addirittura li idealizza perché sono scene che lui vive nella fantasia. Si sa
che il pittore fa questo discorso qui, questo ormai è provato; sto sfondando una porta aperta,
sono cose che voi sapete benissimo. Con questo chiudo. Confermo le mie conclusioni,
chiedendo che vogliate ritenere la penale responsabilità dell’imputato. Mi riporto
all’indennizzo chiesto a favore dei miei rappresentati per quanto è richiesto, cifra di mezzo
miliardo, e presento la mia notula e le conclusioni. E la memoria…
Presidente: Bene, grazie avvocato. Bene signori, allora abbiamo chiuso con le difese di parte civile.
Allora, Avvocato Bevacqua e Avvocato Fioravanti… Mi avevate fatto presente, appunto, il
desiderio di parlare la prossima settimana: lunedì, martedì, mercoledì…
Pm Canessa: Addirittura tre giorni!
Avvocato Bevacqua: Che Dio ce la mandi buona e senza vento. Con l’acqua ci siamo…
Presidente: Quindi, mi confermate questo desiderio. Quindi, se siete tutti d’accordo, noi possiamo
andare allora… Rinviare il processo in prosecuzione a lunedì 24 ottobre ore 9 per la difesa
dell’imputato. E poi in prosecuzione il 25 e il 26… D’accordo? Bene, l’imputato sarà
tradotto ovviamente. L’udienza è tolta signori. Buona sera!
Pm Canessa: Buona sera, presidente…